martedì 31 ottobre 2017

COME VOLEVASI DIMOSTRARE! ….. LE BANCHE CONTROLLANO TUTTA L’ECONOMIA GLOBALE…

COME VOLEVASI DIMOSTRARE! ….. LE BANCHE CONTROLLANO TUTTA L’ECONOMIA GLOBALE…

Di Orazio Fergnani

Si voleva arrivare a rilevare elementi inconfutabili che dimostrassero l’opera invasiva e pervasiva messa in atto dalle Banche Internazionali…. Il metodo è stato quello di sviscerare i database con i dati di marketing della Orbis nel 2007, raccogliendo file su più di 30 milioni di operatori economici (imprese di ogni genere ed investitori) di tutto il mondo, incluse le posizioni patrimoniali.

L’eccellente e doveroso studio chiamato “La rete del controllo globale corporativo”  : http://arxiv.org/PS_cache/arxiv/pdf/1107/1107.5728v2.pdf  è stato condotto da Stefania Vitali, James B. Glattfelder e Stefano Battiston, a Zurigo, in Svizzera.

I risultati sono estremamente istruttivi, interessanti, addirittura disvelatori …. anche se ormai perfettamente prevedibili .

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista New Scientist, molto rispettata nel panorama della scienza “mainstream”. http://www.newscientist.com/article/mg21228354.500-revealed--the-capitalist-network-that-runs-the-world.html

L’elemento primario emerso dalla ricerca è l’estrema ed assoluta “CONCENTRAZIONE” azionaria “In primis”, e conseguentemente anche di ricchezza di beni, risorse, mezzi, uomini, materie prime, industrie… ma su tutto di mezzi finanziari e infine e SOPRA A TUTTO  della detenzione del potere di emissione bancarai mondiale in quanto azioni e proprietari delle Banche di emissione di mezzo mondo….

Con questa indagine si è chiarito che ci sono circa 43.000 aziende transnazionali secondo la definizione dell’OCSE, di cui 1.318 fra queste sono le più importanti ed influenti (sempre a livello mondiale ed hanno varie caratteristiche comuni rilevanti :

1. Tra di loro, generano il 20% del reddito mondiale.

2. Si possiedono l’un l’altra, infatti il database Orbis ha dimostrato insindacabilmente che la maggior parte delle azioni di queste 43.000 società sono possedute dagli altri membri del gruppo dei 1.318. Ciò significa che le imprese più grandi, più redditizie e influenti del mondo si possiedono l’un l’altra in un unico grande cartello finanziario (alla faccia delle leggi antitrust), o addirittura andando a formare monopoli oligarchici e sono perciò in competizione solo a livello nominale, di logo.

3. Il nucleo centrale possiede tutte le altre 43.000 aziende transnazionali. Queste aziende generano un altro 60% del reddito mondiale. Se ne deduce che il controllo arrivi a livelli così capillari da formare un monopolio quasi totale. Ecco perché l’accanimento contro l’Italia che con i suoi milioni di piccole imprese ed artigiani, comunque era un fastidio ed un rischio…..

4. L’80% del controllo totale è nelle mani di un gruppo ancora più ristretto di 737 aziende.

5. Spingendosi ancora ad un più in alto livello di analisi si scopre che concentrazione arriva a solo 147 aziende che controllano direttamente il 40% della ricchezza totale.

Come si può vedere dall’elenco allegato in fondo le più importanti 50 del gruppo delle 147 imprese che controllano direttamente il 40% della ricchezza totale sono tutte e soltanto banche o altri istituti finanziari.


Quindi non è un’allucinata iperbole affermare che il sistema bancario è UNO. (Pure se ripartibile in dodici correnti famigliar/imprenditoriali : http://realcurrencies.wordpress.com/2012/03/07/understand-that-the-banking-system-is-one/

Non si esagera, quando si dice che è un unico cartello enorme, che il “Sistema Bancario” possiede tutto, …… inclusi tutti i principali settori industriali mondiali…. Finanche l’educazione, i sentimenti, l’etica e l’anima delle persone.

L’industria del petrolio, delle armi, dei farmaci, dell’alimentazione, delle telecomunicazioni, ecc.
Si tratta di un unico, granitico monopolio, controllante tutta l’attività economica, politica, sociale, assistenziale, culturale, etc., etc., dall’alto verso il basso.

Il Potere Monetario è reale e questi ricercatori svizzeri hanno fatto un lodevole lavoro ed opera umanitaria esternando i numeri e le dimensioni del problema.

Verrebbe da domandarsi : Come agiscono queste aziende, se sono tutte controllate dalle stesse persone? Noi sappiamo però che all’interno di questi consigli d’amministrazione convivono molte anime di casati più o meno “nobili”, i cui nomi sono sempre i soliti del “gotha internazionale” della high society, che probabilmente per hobby e per noia si combattono aspramente in lotte intestine che le sfiniscono … il che periodicamente, intenzionalmente o meno, conduce a crisi economiche come l’attuale che stiamo vivendo… E la “Teoria del complotto” acquisisce anche con questa nuova documentazione sempre più veridicità e valenza reale


Le 50 top delle 147 superconnesse compagnie

1. Barclays plc
2. Capital Group Companies Inc
3. FMR Corporation
4. AXA
5. State Street Corporation
6. JP Morgan Chase & Co
7. Legal & General Group plc
8. Vanguard Group Inc
9. UBS AG
10. Merrill Lynch & Co Inc
11. Wellington Management Co LLP
12. Deutsche Bank AG
13. Franklin Resources Inc
14. Credit Suisse Group
15. Walton Enterprises LLC
16. Bank of New York Mellon Corp
17. Natixis
18. Goldman Sachs Group Inc
19. T Rowe Price Group Inc
20. Legg Mason Inc
21. Morgan Stanley
22. Mitsubishi UFJ Financial Group Inc
23. Northern Trust Corporation
24. Société Générale
25. Bank of America Corporation
26. Lloyds TSB Group plc
27. Invesco plc
28. Allianz SE 29. TIAA
30. Old Mutual Public Limited Company
31. Aviva plc
32. Schroders plc
33. Dodge & Cox
34. Lehman Brothers Holdings Inc*
35. Sun Life Financial Inc
36. Standard Life plc
37. CNCE
38. Nomura Holdings Inc
39. The Depository Trust Company
40. Massachusetts Mutual Life Insurance
41. ING Groep NV
42. Brandes Investment Partners LP
43. Unicredito Italiano SPA
44. Deposit Insurance Corporation of Japan
45. Vereniging Aegon
46. BNP Paribas
47. Affiliated Managers Group Inc
48. Resona Holdings Inc
49. Capital Group International Inc
50. China Petrochemical Group Company

* Lehman still existed in the 2007 dataset used
Grafico : The 1318 transnational corporations that form the core of

  


LA DEFENESTRAZIONE

LA DEFENESTRAZIONE


Come racconta il Boccaccio in una delle sue più spassose novelle ( la quinta della seconda giornata) a proposito d quello che accadde a Napoli, ma era così dappertutto… al protagonista (Andreuccio da Perugia)…Nel medio evo, siccome non esistevano nelle case servizi igienici, era uso comune di gettare durante la notte il contenuto dei “pitali” giù dalla finestra nella pubblica via sottostante.

Nel periodo di massima decadenza dei valori mistici e laici (come adesso) del Papato e della società, che da sempre fa’ suoi i peggiori costumi delle classi al vertice, come i politici ed il clero….. si era giunti al punto che….. il distacco fra le classi agiate (solitamente in ogni epoca nullafacenti, incompetenti, incapaci di fare alcunché e parassite per definizione….

A partire del 1254 fino al 1281 il Papato per sfuggire alla giusta rabbia e vendetta del popolo proletario… (come adesso)…. Aveva trasferito la sede di San Pietro, e si era rifugiato a Viterbo…. Dove gli infamoni impalutati del rosso cardinale ritenevano di stare più al sicuro che a Roma….
ERORE!!!!” ….. Grande e fatale errore di valutazione…. Nei circa ventisette anni di esilio a Viterbo furono eletti ufficialmente a raffica nove papi…, ma si sospetta che in realtà furono oltre la dozzina, in quanto si ritiene che alcuni durarono il lasso di una notte..del resto anche quelli ufficiali (tutti espressione delle famiglie nobili e potenti dell’epoca) durarono abbastanza poco….

Basta citare il caso di quelli più effimeri …. Adriano V che resistette 39 giorni…. Questo a dire che papa Luciani non è un caso isolato… anzi la norma….

Tutto questo per dire che sempre in passato si usava la concreta e pragmatica regola che faceva piazza pulita buttando l’immondizia fuori casa …. La qual cosa aveva un nome ben preciso … e si chiamava, e si chiama, “Defenestrazione”….. per qualunque cosa… anche per chi rompeva troppo le palle … e la cosa prese storicamente piede con la defenestrazione di quell’incomparabile ed ineguagliabile gran figlio di puttana che risponde al nome di papa Giovanni XII …al secolo Ottaviano dei conti del Tuscolo… talmente figlio di un cane (del resto il sangue non mente mai) che fra tutte le altre nefandezze si andava intrufolando nei letti degli altri (ma questo era il meno) ed in una di queste circostanze… essendosi infilato nel letto di una certa Stefanetta …. ll marito avendoli scoperti lo prese di peso e lo buttò giù dalla finestra del castello….. da cui il termine “Defenestrazione”.

Una bella e pratica usanza che poneva rimedio a lungaggini giudiziarie di cui si sapeva bene che essendo il personaggio troppo importante, siccome la “Giustizia” da sempre viaggia con due pesi e due misure…. Intelligentemente tutti all’epoca si facevano giustizia da sé…. Certamente con esiti migliori degli attuali…

Ora proprio per i motivi fin qui accennati di “sponda” che erano largamente diffusi allora… ed ancora di più oggigiorno…

Riflettevo, stante l’inerzia e gli ozi della magistratura da fallimento perenne….. se fosse il caso di ripristinare questa bellissima, democratica e disponibile pratica giudiziaria…. Un po’ come “l’ordalia” di medioevale ricordo…

Insomma una rapida, sana, drastica pulizia ….. ti becco sul fatto, c’hai ancora il sorcio in bocca …. La pistola fumante in mano ed io popolo t’ho beccato e mò te DEFENESTRO sull’istante…

Che ve ne pare è ora che la DEFENESTRIAMO ‘sta banda di insolenti, incapaci, insulsi, incompetenti, ignoranti, allucinati, depravati, occupanti abusivi delle Istituzioni che mistificando il ruolo di salvatori ci stanno la rovina completa dello Stato Sociale e dei valori morali della Nazione?


LA VOGLIAMO BUTTARE DALLA FINESTRA QUESTA MERDAGLIA…DEFENESTRIAMO??

IL LASSISMO E L’INTERVENTISMO

IL LASSISMO E L’INTERVENTISMO


Iincominciamo a dare fastidio…..

Il sito www.albamediterranea.com... nel corso di questi due ultimi anni è stato attaccato almeno una decina di volte... in queste ultime due settimane addirittura tre volte...

In questo momento però pare che funzioni... Se ve la sentite e volete davvero darci un reale contributo… sarebbe il caso che scarichiate quanti più documenti potete e li ricarichiate su altri siti (anche quelli gratuiti tipo blogspot) in modo da avere dei backups in caso di necessità .... Un grazie preventivo a chi lo metterà in atto... Grazie...

In merito alla situazione attuale è da confermarsi ormai inoppugnabilmente che c'è una rete intricata, complessa e condivisa di interessi mafio/finanziari a tutti i livelli all’interno più profondo della società italiana ...e noi di AlbaMediterranea facciamo le nostre continue e reiterate denunce non nella eventualità di una lontanissima speranza di ottenere giustizia attraverso la magistratura... cosa del tutto improbabile allo stato attuale delle cose... ma allo scopo primario di documentare passo passo ed archiviare e protocollare tutte le malefatte di questi delinquenti... oltre che altro...

Non siamo così sprovveduti...

In ogni caso smuoviamo le acque e creiamo situazioni di tensione, apprensione ed incertezza... il che se davvero ci fossimo riusciti ... sarebbe il massimo del risultato in questo contesto...

Il motivo principale però non e in direzione SOCIALE/ESTERNA.... MA INDIVIDUALE/INTERNA...

Noi lo facciamo per una presa di coscienza profonda che fra l'altro ... CI IMPONE DI AGIRE E DI FARE TUTTO QUELLO CHE E' NELLE NOSTRE POSSIBILITA' /CAPACITA'... IN MODO DA NON DOVERCI SENTIRE ACCUSARE DAI NOSTRI FIGLI E NIPOTI DI AVERE ASSISTITO INERTI E PASSIVI ALLO SFASCIO METODICO ED INTENZIONALE DI QUESTI DELINQUENTI DELLA CULTURA, SOCIETA', ECONOMIA, BENESSERE ...

Io non voglio che questo succeda e soprattutto se risulteremo perdenti... non voglio sentirmi accusare di inazione e di tolleranza allo sfascio.... MA SOPRATTUTTO NON POTREI ASSOLVERMI IO STESSO DA UN SIMILE MISFATTO DI INDIFFERENZA E DI PASSIVITA'.... Spero che questa mia riflessione/ confessione/confidenza ... possa servire a STIMOLARE QUELLI FRA DI VOI CHE OSSERVANO, NON FANNO UN CAZZO.... E SI PERMETTONO PURE DI CRITICARE L'OPERATO NOSTRO E DI TUTTI QUELLI COME NOI CHE CERCANO DI OPPORSI CON OGNI MEZZO A QUESTO SFACELO..... SPERO CHE IL MESSAGGIO SIA GIUNTO FORTE E CHIARO...

Il motivo principale però non e in direzione SOCIALE/ESTERNA.... MA INDIVIDUALE/INTERNA... Noi lo facciamo per una presa di coscienza profonda che fra l'altro ... CI IMPONE DI AGIRE E DI FARE TUTTO QUELLO CHE E' NELLE NOSTRE POSSIBILITA' /CAPACITA'... IN MODO DA NON DOVERCI SENTIRE ACCUSARE DAI NOSTRI FIGLI E NIPOTI DI AVERE ASSISTITO INERTI E PASSIVI ALLO SFASCIO METODICO ED INTENZIONALE DI QUESTI DELINQUENTI DELLA CULTURA, SOCIETA', ECONOMIA, BENESSERE ...

Io non voglio che questo succeda e soprattutto se risulteremo perdenti... non voglio sentirmi accusare di inazione e di tolleranza allo sfascio....

MA SOPRATTUTTO NON POTREI ASSOLVERMI IO STESSO DA UN SIMILE MISFATTO DI INDIFFERENZA E DI PASSIVITA'....

Spero che questa mia riflessione/ confessione/confidenza ... possa servire a STIMOLARE QUELLI FRA DI VOI CHE OSSERVANO, NON FANNO UN CAZZO.... E SI PERMETTONO PURE DI CRITICARE L'OPERATO NOSTRO E DI TUTTI QUELLI COME NOI CHE CERCANO DI OPPORSI CON OGNI MEZZO A QUESTO SFACELO.....

SPERO VIVAMENTE CHE IL MESSAGGIO SIA GIUNTO FORTE E CHIARO...

NESSUNO PUO' PIU' PENSARE DI ESIMERSI DA QUESTA LOTTA TITANICA, MONDIALE, INTERNAZIONALE... E NESSUNO PUO' AFFERMARE PER LIBERARSI LA COSCIENZA ... < MA CHE POSSO FARE IO MESCHINO INSIGNIFICANTE PICCOLO CITTADINO/UOMO DELLA STRADA>...

INTANTO SICURAMENTE UNA COSA LA POSSONO FARE TUTTI... PARLARE DEGLI ARGOMENTI CHE NOI CONTINUAMENTE AFFRONTIAMO PARLANDONE CON TUTTI E DIVULGANDOLI SUL POSTO DI LAVORO, AL BAR, SULL'AUTOBUS, IN QUALUNQUE LUOGO PUBBLICO O PRIVATO CI SIA QUALCUNO CHE HA TEMPO ED ORECCHIE PER ASCOLTARE...

FATE QUESTO TUTTI ED INVITATE TUTTI QUELLI A CUI AVRETE SPIEGATO COME STANNO LE COSE... A FARE ESATTAMENTE COME VOI.... ED AVREMO IN BREVE TEMPO VINTO...

Certo se passate il tempo a metterci i bastoni fra le ruote lamentandovi e al contempo affermare che quelli come noi perdono tempo.... e rimanete in attesa di tempi migliori .....che non verranno mai più stante il contesto... la sconfitta sarà certa...

Al contrario

E' DALL'AZIONE CHE VIENE LA VITTORIA....!


Veiensfurens - AlbaMediterranea.

Discorso sulla Costituzione del 10 maggio 1793 di MASSIMILIANO ROBESPIERRE

Discorso sulla Costituzione del 10 maggio 1793
di MASSIMILIANO ROBESPIERRE

L’uomo è nato per la felicità e la libertà e dovunque è schiavo e infelice. La società ha per scopo la conservazione dei suoi diritti e il perfezionamento della sua personalità; e dovunque la società lo degrada e lo opprime. E’ arrivato il tempo. E’ arrivato il tempo di ricordarlo ai suoi veri destinatari: i progressi ella ragione umana hanno preparato questa grande rivoluzione, spetta a voi ora in modo particolare il compito di accelerarla.

Per adempiere alla vostra missione dovete fare precisamente il contrario di ciò che è esistito prima di voi.

Fino ad ora l’arte di governare è stata l’arte di derubare e di asservire un grande numero di persone a vantaggio di un piccolo numero di persone e la legislazione è stata il mezzo per trasformare questi soprusi in sistema. I re e gli aristocratici hanno fatto molto bene questo mestiere; spetta ora a voi di fare il vostro, ovvero di rendere, per mezzo delle leggi, gli uomini felici e liberi.

Dare al governo la forza necessaria per ottenere che i cittadini rispettino sempre i diritti dei cittadini e che neppure il governo stesso possa violarli; ecco, a mio avviso, il doppio problema che il legislatore deve cercare di risolvere. Il primo mi sembra molto facile. Quanto al secondo, si sarebbe tentati di considerarlo insolubile se si consultassero solo gli avvenimenti passati e presenti senza risalire alle loro cause.

Percorrete la storia, troverete dappertutto i funzionari opprimere i cittadini e il governo divorare il potere. I tiranni parlano di sedizione quando il popolo osa lamentarsi di come vanno le cose, quando l’eccesso di oppressione gli restituisce la sua energia e la sua indipendenza. Piacesse a dio che potesse conservarla per sempre! Ma il regno del popolo dura un giorno; quello dei tiranni abbraccia la durata dei secoli. Dopo la rivoluzione el 14 luglio 1789 e soprattutto dopo quella del 10 agosto 1792, ho sentito parlare molto spesso di anarchia; io affermo che la malattia dei corpi politici non è l’anarchia, bensì il dispotismo e l’aristocrazia. Io trovo, qualunque cosa ne abbiano detto, che solo a partire da quest’epoca tanto calunniata abbiamo avuto un inizio di legge e di governo nonostante i torbidi che sono soltanto le ultime convulsioni della regalità moribonda e la lotta di un governo sleale contro l’eguaglianza.

L’anarchia ha regnato in Francia a partire da Clodoveo sino all’ultimo dei Capeto. Che cos’è infatti l’anarchia se non la tirannia che fa scendere dal trono la Natura e la legge per collocarvi degli uomini?

I mali della società non vengono mai dal popolo, ma dal governo. E come potrebbe essere diversamente? L’interesse del popolo è il bene pubblico; l’interesse degli uomini di potere è un interesse privato. Per essere buono il popolo non ha che da preferire sé stesso a chi non è popolo; per essere buono un magistrato deve sacrificare se stesso al popolo.

Se mi degnassi di rispondere a dei pregiudizi assurdi e barbari, osserverei che il potere e l’opulenza generano l’orgoglio e tutti i vizi; mentre il lavoro, la modestia, la povertà sono i guardiani delle virtù; che le aspirazioni dei deboli tendono alla giustizia e alla protezione di leggi benefiche, mentre le passioni dell’uomo potente lo spingono ad elevarsi sopra a leggi giuste o a crearne di tiranniche. Direi infine che la miseria dei cittadini non è altra cosa se non il delitto dei governanti. Ma pongo la base del mio sistema su un solo ragionamento.

Il governo è istituito per far rispettare la volontà generale; gli uomini che governano hanno invece una volontà individuale e sappiamo che ogni volontà tende in sé a prevalere. Ora, se essi impiegano per questo scopo la forza pubblica di cui dispongono, il governo non è che il flagello della libertà. Concludete, dunque, che il primo fine di ogni costituzione dev’essere di difendere la libertà pubblica e individuale contro il governo stesso.

E’ precisamente questo problema che i legislatori hanno dimenticato; si sono occupati tutti della potenza del governo, nessuno si è preoccupato dei mezzi per riportarlo alla sua funzione istituzionale. Hanno preso infinite precauzioni contro l’insurrezione del popolo e hanno invece incoraggiato con tutto il loro potere la risolta dei suoi rappresentanti. Ne ho già indicato le ragioni: l’ambizione, la forza e la perfidia sono stati i legislatori del mondo. Hanno asservito perfino la ragione umana depravandola e l’hanno resa complice delle misere condizioni dell’uomo. Il dispotismo ha prodotto la corruzione dei costumi e la corruzione dei costumi ha sostenuto il dispotismo. In questo stato di cose toccherà a chi ha venduto l’anima al più forte legittimare l’ingiustizia e condividere la tirannia. Allora la ragione non sarà più che follia; l’eguaglianza, anarchia; la libertà, disordine; la Natura, chimera; il ricordo dei diritti dell’umanità, rivolta. Allora ci saranno delle Bastiglie e dei patiboli per la virtù, dei palazzi per la corruzione, dei tiranni e dei carri trionfali per il crimine. Allora ci saranno dei re, dei preti, dei nobili, dei borghesi, delle canaglie: ma non ci sarà più popolo, non ci saranno più uomini.

Avete visto tutto questo anche tra i legislatori, costretti dal progresso dell’informazione pubblica a rendere qualche omaggio ai princìpii. Avete visto come hanno impiegato la loro abilità per eluderli quando non si accordavano più con i loro interessi personali. Avete visto se non hanno fatto altro che variare le forme del dispotismo e le sfumature dell’aristocrazia. Hanno fastosamente proclamato la sovranità del popolo e subito dopo l’hanno incatenato; pur riconoscendo pienamente che i governanti sono dei mandatari li hanno trattati come dei padroni e degli idoli. Tutti si sono trovati d’accordo nel supporre il popolo insensato e ribelle e i funzionari pubblici essenzialmente saggi e virtuosi. Senza cercare degli esempi presso le nazioni straniere, ne potremmo trovare di molto vistosi nel seno stesso della nostra rivoluzione e nella condotta delle legislature che ci hanno preceduti. Avete visto con quanto servilismo esse incensassero la regalità, con quanta imprudenza predicassero una cieca fiducia nei funzionari pubblici più corrotti, con quale insolenza avvilissero il popolo, con quale barbarie lo assassinassero. Avete visto invece da che parte stavano le virtù civiche. Ricordate i sacrifici generosi della povertà e la vergognosa avarizia dei ricchi; ricordate la sublime devozione dei soldati ed i tradimenti infami dei generali; il coraggio invincibile, la generosa pazienza del popolo e il turpe egoismo, la perfidia odiosa dei suoi mandatari.

Ma non dobbiamo stupirci troppo di tante ingiustizie. Uscendo da una così profonda corruzione, come avrebbero potuto essi rispettare l’umanità, amare l’uguaglianza, credere nella virtù? Poveri sventurati! Stiamo innalzando un tempio alla libertà con le mani ancora marchiate dai ferri della schiavitù. Che cos’era la nostra precedente educazione se non una lezione continua di egoismo e di sciocca vanità? Quali erano le nostre usanze e le nostre così dette leggi se non il codice della prepotenza e dello squallore dove il disprezzo degli uomini era sottoposto a una specie di tariffa e graduato secondo regole tanto varie quanto stravaganti? Disprezzare ed essere disprezzati; arrampicarsi per dominare, di volta in volta schiavi e tiranni; ora in ginocchio davanti ad un padrone, ora calpestando il popolo sotto i piedi, quello era il nostro destino, quella era la nostra ambizione, noi tutti quanti eravamo, uomini di buona nascita, uomini di buona educazione, gente onesta, gente come si deve, uomini di legge o di finanza, uomini di toga o uomini di spada.

C’è dunque da meravigliarsi se degli stupidi mercanti, dei borghesi egoisti conservano ancora nei confronti degli artigiani quel disprezzo insolente che i nobili riservano ai borghesi e a quegli stessi mercanti? Ah che nobile orgoglio! Ah che bella educazione! Ecco perché sono stati ostacolati i grandi destini del mondo. Ecco perché il seno della patria è stato lacerato dai traditori. Ecco perché i feroci satelliti dei despoti di tutta Europa hanno distrutto le nostre messi, incendiato le nostre città, massacrato le nostre donne e i nostri bambini. E’ già stato sparso il sangue di trecentomila francesi; il sangue di altri trecentomila dovrà scorrere ancora perché il semplice operaio possa sedere al senato a fianco del ricco mercante di grano, perché l’artigiano possa votare nelle assemblee del popolo al fianco dell’illustre negoziante o del presuntuoso avvocato e perché il povero onesto e intelligente possa conservare la sua dignità di uomo in presenza del ricco imbecille e corrotto? Insensati! Che cercate dei padroni per paura di avere degli eguali, credete che i tiranni esaudiranno tutti i calcoli della vostra triste vanità, della vostra oscena cupidigia? Credete che il popolo ha conquistato la libertà, che ha versato il sangue per la patria mentre voi dormivate su morbidi letti o cospiravate nelle tenebre, si lascerà incatenare, affamare, sgozzare da voi?

No! Se non rispettate né l’umanità, né la giustizia, né l’onore, conservate almeno qualche cura dei vostri tesori che non hanno niente da temere se non la miseria pubblica che voi aggravate con tanta imprudenza. Ma quale argomento può commuovere degli schiavi ambiziosi? La voce della verità che tuona nei cuori corrotti somiglia ai suoni che echeggiano nelle tombe e che non possono risvegliare i cadaveri.

Voi dunque, a cui la libertà, a cui la patria è cara, assumetevi, voi soli, il compito di salvarla; e poiché il momento in cui l’interesse incalzante della sua difesa che sembra esigere tutta la vostra attenzione, è quello stesso nel quale si sta innalzando in gran fretta l’edificio della Costituzione di un grande popolo, fondatelo almeno sulla base eterna della verità. Ponete all’inizio questa incontestabile massima: che il popolo è buono e che i suoi delegati sono corrompibili; che bisogna cercare una difesa contro il vizi e il dispotismo del governo nella virtù e nella sovranità del popolo.
Da questo principio incontestabile traiamo ora delle conseguenze pratiche, che sono le basi stesse della nostra Costituzione Libera.

Cominciate con il moderare il potere dei funzionari. Sino ad oggi i politici che hanno fatto qualche sforzo, se non per difendere la libertà, almeno per moderare la tirannia, non hanno saputo escogitare che due mezzi per raggiungere questo scopo: l’equilibrio trai poteri e il tribunato.

Quanto all’equilibrio tra i poteri, noi siamo stati vittime di questa illusione in un tempo in cui la moda sembrava esigere da noi questo omaggio ai nostri vicini, un tempo in cui l’eccesso della nostra personale degradazione ci spingeva ad ammirare tutte le istituzioni straniere che ci offrivano qualche pallida immagine della libertà. Ma se si riflette solo un momento ci si accorge che questo equilibrio non è che una chimera o un flagello che supporrebbe la nullità completa del governo se non conducesse, invece, senza scampo a una lega dei poteri rivali contro il popolo. E’ chiaro infatti che essi preferirebbero accordarsi fra loro anziché appellarsi al sovrano per decidere della loro causa.

Ne è testimone l’Inghilterra dove l’oro e il potere del monarca fanno costantemente pendere la bilancia dalla stessa parte, dove lo stesso partito d’opposizione sollecita, di tanto in tanto, la riforma della rappresentanza nazionale solo per allontanarla, d’accordo con la maggioranza che apparentemente combatte. Una specie di governo mostruoso dove le virtù pubbliche non sono che una scandalosa parata, dove la legge consacra il dispotismo, dove i diritti del popolo sono oggetto di un aperto mercato, dove la corruzione è priva del freno stesso del pudore.

Ma che ci importa delle combinazioni che bilanciano il potere dei tiranni? E’ la tirannia che bisogna estirpare; non è nelle liti tra i loro padroni che i popoli devono cercare il sollievo di respirare per qualche istante. E’ nella loro stessa forza che deve essere posta la garanzia dei loro diritti.

Per la stessa ragione io non sono un sostenitore dell’istituzione del Tribunato; la storia non mi ha insegnato a rispettarlo. Io non affido la difesa di una causa tanto grande a degli uomini deboli e comprabili. La protezione dei tribuni presuppone la schiavitù del popolo. Non mi piace che il popolo romano si ritiri sul Monte Sacro per chiedere dei protettori a un Senato dispotico e a dei Patrizi insolenti; voglio che resti a Roma e che ne scacci tutti i suoi tiranni. Io odio quanto gli stessi patrizi e disprezzo molto di più questi tribuni ambiziosi, questi vili mandatari del popolo, che vendono ai grandi di Roma i loro discorsi e i loro silenzi; che qualche volta l’hanno difeso solo per commerciare la sua libertà con i suoi oppressori.

Uno solo è il tribuno del popolo che io posso accettare, è il popolo stesso. E’ a ciascuna sezione della Repubblica francese che io rinvio il potere tribunizio; ed è facile organizzarlo tenendolo egualmente lontano dalle tempeste della democrazia assoluta e dalla perfida tranquillità del dispotismo rappresentativo.

Ma prima di costruire le dighe che devono difendere la libertà pubblica dagli eccessi dei poteri dei Ministri, cominciamo a ridurlo entro giusti limiti.

1° - una prima regola per raggiungere questo scopo è che la durata del loro potere sia corta, applicando questo principio soprattutto a quelli la cui autorità è più estesa.

2° - che nessuno possa esercitare contemporaneamente più magistrature;

3° - che il potere sia diviso: è meglio moltiplicare i funzionari pubblici che affidare ad alcuni un’autorità troppo pericolosa;

4° - che il potere legislativo e l’esecutivo siano separati con cura;

5° - che le diverse branche dell’esecutivo siano a loro volta il più possibile distinte, secondo la natura stessa degli affari, ed affidate a mani diverse.

Uno dei difetti più gravi dell’amministrazione attuale è l’estensione troppo ampia di ciascun dipartimento ministeriale in cui sono stipate diverse branche dell’amministrazione, di natura molto diversa fra loro

Il Ministero dell’Interno, soprattutto, così come ci si è ostinati fin ora a conservarlo, provvisoriamente, è un mostro politico che avrebbe, provvisoriamente, divorato la nascente repubblica se la forza dello spirito pubblico animato dalla rivoluzione, non l’avesse difesa contro i vizi dell’istituzione e contro quelli degli individui.

Del resto se non riuscirete ad impedire che i depositari del potere esecutivo siamo dei magistrati molto potenti, allontanate, almeno, da loro ogni autorità e ogni influenza estranea alle loro funzioni.

Non permettete che per tutta la durata della loro carica essi assistano e votino nelle assemblee di popolo; applicate la stessa regola per i funzionari pubblici in generale. Tenete lontano dalle loro mani il tesoro pubblico e consegnatelo invece a dei depositari e custodi che non possano partecipare ad alcuna altra specie di autorità.

Nei dipartimenti lasciate nella mani del popolo quella porzione di tributi pubblici che non sarà necessario versare alla cassa generale; e che le spese siano pagate sul luogo ogni volta che sia possibile.

Guardatevi bene dal consegnare a quelli che governano, delle somme straordinarie con qualsiasi pretesto vi vengano richieste particolarmente col pretesto di formare l’opinione pubblica.

Tutte le manipolazioni dell’opinione pubblica non producono che veleni; noi ne abbiamo fatto di recente crudele esperienza e il primo saggio di questo stravagante sistema non ci può inspirare una gran fiducia nei suoi inventori. Tenete sempre presente che spetta all’opinione pubblica di giudicare gli uomini di governo e non a questi di costruire e dominare l’opinione pubblica.

Ma c’è un mezzo generale e non meno salutare per diminuire il potere dei governanti a vantaggio della libertà e della felicità dei popoli. Esso consiste nell’applicazione di questa massima, enunciata nella dichiarazione dei diritti che io vi ho proposto: “La legge può vietare soltanto ciò che nuoce alla società; essa può imporre soltanto ciò che le è utile”.

Fuggite l’antica mania dei governanti di voler troppo governare; lasciate agli individui, lasciate alle famiglie il diritto di fare ciò che non porta danno agli altri; lasciate i comuni di regolare da soli i loro affari in ogni campo che non riguardi essenzialmente l’amministrazione generale della Repubblica. In una parola: restituite alla libertà individuale tutto ciò che non appartiene per natura all’autorità pubblica e avrete, con ciò, lasciato molto minor spazio all’ambizione e all’arbitrio.

Rispettate soprattutto l’autorità del popolo sovrano nelle assemblee primarie. Ad esempio, sopprimendo quell’enorme codice che intralcia ed annulla il diritto di votare col pretesto di regolarlo, priverete di armi molto pericolose l’intrigo e il dispotismo dei direttori e delle legislature, così come, semplificando il codice civile, abbattendo la feudalità, le decime e tutto il gotico edificio del diritto canonico è stato notevolmente ristretto il dominio del dispotismo giudiziario. Ma per quanto siano utili tutte queste precauzioni non avete ancora fatto nulla se non ostacolerete la seconda parte di abuso che ho indicato, cioè l’indipendenza del governo.

La costituzione deve preoccuparsi soprattutto di sottomettere i funzionari pubblici ad un’ampissima responsabilità ponendoli alla reale dipendenza non di singoli individui, ma del popolo sovrano.

Chi non dipende dagli uomini diventa ben presto indipendente dai suoi doveri e l’impunità è la madre, la salvaguardia del crimine mentre il popolo, di cui si ha paura, continua ad essere in catene.

Ci sono due specie di responsabilità, una che possiamo chiamare morale e l’altra fisica.

La prima riguarda principalmente la pubblicità; ma è sufficiente che la Costituzione assicuri la pubblicità delle operazioni o delle deliberazioni del governo? No, bisogna darle ancora tutta l’estensione possibile. La nazione intera ha il diritto ad essere informata sulla condotta dei suoi mandatari. Bisognerebbe – se fosse possibile – che l’assemblea dei delegati deliberasse in presenza di tutti i francesi. Il luogo delle sedute del corpo legislativo dovrebbe essere un edificio fastoso e maestoso, aperto a dodicimila persone. Sotto gli occhi di un così gran numero di testimoni né la corruzione, né l’intrigo, né la perfidia oserebbero mostrarsi; sarebbe consultata la sola volontà generale; sarebbe ascoltata solo la voce della ragione e dell’interesse pubblico. Ma l’ammissione di solo qualche centinaio di spettatori, stipati in un locale stretto e scomodo, offre una pubblicità proporzionata all’immensità della nazione? Soprattutto quando una folla di operai comprati intimorisce il corpo legislativo per bloccare o alterare la verità mediante resoconti falsi che poi vengono diffusi in tutta la repubblica?

Che succederebbe se i deputati stessi trascurassero la piccola parte di pubblico presente; se tendessero a classificare gli uomini in due specie differenti, gli abitanti del loro collegio elettorale e tutti gli altri, se denunciassero continuamente i testimoni della loro condotta ai lettori dei loro pamphlets per rendere la pubblicità non solo inutile, ma addirittura funesta alla libertà?

Gli uomini superficiali non si renderanno mai conto di quanto sia stata grande l’influenza del locale che ha ospitato il corpo legislativo, né i furfanti non lo ammetteranno mai. Ma i consapevoli amici del bene pubblico hanno visto con indignazione che la prima legislatura, dopo aver invocato l’attenzione pubblica attorno a sé per resistere alla corte, ha cominciato a sfuggirla con tutti i mezzi quando ha voluto allearsi alla Corte contro il popolo; che, dopo essersi praticamente nascosta all’Arcivescovado per approvare la legge marziale, s’è rinchiusa dentro al Maneggio, circondandosi di baionette, per ordinare il massacro dei migliori cittadini al Campo di Marte, salvare lo spergiuro Luigi e minare i fondamenti della libertà.
I suoi successori si sono ben guardati dall’uscirne; i re e i funzionari di polizia regi avevano fatto costruire in pochi giorni una magnifica sala dell’Opera e, a vergogna della ragione umana, sono passati quattro anni prima che si preparasse una nuova sede per la rappresentanza nazionale. Ma che dico, quella in cui essa si accinge ad entrare è più favorevole alla pubblicità dei lavori e più degna della nazione? No; tutti gli osservatori si sono accorti che è stata sistemata con notevole intelligenza dallo stesso spirito dell’intrigo, sotto gli auspici di un ministro perverso, per sottrarre i mandatari alla vista del popolo.

In questo senso sono stati, anzi, fatti addirittura dei prodigi: si è finalmente trovato, dopo tante ricerche, il segreto per escludere il pubblico pur ammettendolo; che esso possa assistere alle sedute, ma che non possa sentire nulla, se non nel piccolo spazio riservato alle persone come si deve e ai giornalisti; che sia, insomma, allo stesso tempo presente e assente. I poteri si meraviglieranno dell’indifferenza con cui una grande nazione ha sopportato così a lungo le sporche e grossolane manovre che compromettevano la sua dignità, la sua libertà e la sua sicurezza.

Quanto a me, penso che la Costituzione non debba limitarsi ad ordinare che le sedute del corpo legislativo e delle autorità costituite siano pubbliche, ma che debba preoccuparsi anche dei mezzi per garantire la massima pubblicità; che debba impedire ai mandatari di influire sulla composizione dell’uditorio e di ridurre arbitrariamente l’estensione dello spazio riservato al popolo. Essa deve tener presente che il corpo legislativo risiede in seno ad un’immensa popolazione e delibera sotto gli occhi di una infinita moltitudine di cittadini.

Il principio della responsabilità morale esige ancora che gli agenti del governo, a scadenze determinate e assai ravvicinate rendano conti esatti e circostanziati della loro gestione; che questi conti siano resi pubblici attraverso la stampa e sottoposti al controllo di tutti i cittadini, che siano inviati, perciò, a tutti i dipartimenti a tutte le amministrazioni e a tutti i comuni.

A sostegno della responsabilità morale si deve allargare la responsabilità fisica che è, in ultima analisi, la più sicura guardiana della libertà e consiste nella punizione dei funzionari pubblici prevaricatori.

Un popolo i cui mandatari non debbono rendere conto a nessuno della loro gestione, non ha una Costituzione. Un popolo i cui mandatari devono rendere conto della loro gestione solo a degli altri mandatari inviolabili, non ha una Costituzione. Dipende da questi, infatti, di tradirlo impunemente o di lasciarlo tradire da altri. Se è questo il senso che si attribuisce al governo rappresentativo, confesso che faccio miei tutti gli anatemi pronunciati contro di esso da Gian Giacomo Rousseau. Del resto questa espressione come molte altre ha bisogno di essere spiegata; o piuttosto invece di definire il governo francese è molto più importante costituirlo.

In ogni Stato Libero i delitti pubblici dei magistrati debbono essere puniti tanto severamente e facilmente quanto i delitti privati dei cittadini e il potere di reprimere gli attentati del governo deve ritornare al popolo sovrano.

Io so che il popolo non può esercitare di continuo le funzione di giudice. Non è questo che voglio; ma voglio ancora meno che i suoi delegati siano dei despoti al di sopra delle leggi. Si può risolvere il problema che segnalo con delle misure semplici di cui vi espongo ora la teoria.

1°) – Io voglio che tutti i funzionari pubblici, eletti dal popolo, possano essere da lui revocati, nelle forme che saranno stabilite, senz’altro motivo che il diritto imprescrittibile che gli appartiene di revocare i suoi mandatari.

2°) – E’ naturale che il corpo incaricato di fare le leggi sorvegli coloro che sono incaricati di farle eseguire. I membri degli uffici esecutivi saranno perciò tenuti a rendere conto della loro gestione al corpo legislativo. In caso di prevaricazione esso, però, non potrà punirli, perché non si deve concedergli questo mezzo di impadronirsi del potere esecutivo, ma li accuserà davanti ad un tribunale popolare la cui unica funzione sarà di giudicare le prevaricazioni dei funzionari pubblici. I membri del corpo legislativo non potranno essere perseguitati da questo tribunale a motivo delle opinioni che abbiano manifestato nelle assemblee, ma soltanto per fatti positivi di corruzione e di tradimento di cui potessero essere accusati. I delitti ordinari che dovessero commettere sarebbero di competenza dei tribunali ordinari.

Allo scadere delle loro funzioni, i membri della legislatura e gli agenti o i ministri dell’esecutivo potranno essere deferiti al giudizio solenne dei loro committenti. Il popolo dichiarerà semplicemente se essi hanno conservato o perduto la sua fiducia. Il giudizio negativo comporterà l’interdizione a ricoprire qualunque ulteriore funzione. Il popolo non emetterà pene più gravi e, se i mandatari si saranno resi colpevoli di qualche delitto particolare e formale potrà rinviarli davanti al tribunale costituito per punirli.

Queste disposizioni si applicheranno egualmente ai membri del tribunale popolare.

Per quanto sia necessario controllare i magistrati, non è meno importante sceglierli bene.

E’ su questa doppia base che si deve fondare la libertà.

Tenete presente che, nel governo rappresentativo, nessuna norma Costituzionale è tanto importante quanto quelle che garantiscono la correttezza delle elezioni.

Qui io vedo diffondersi delle tesi profondamente sbagliate; qui mi accorgo che si dimenticano i primi principi del buon senso e della libertà per inseguire delle vane astrazioni metafisiche. Per esempio, si vuole che l’elezione di ogni singolo funzionario pubblico avvenga mediante votazione in tutto il territorio della Repubblica così che l’uomo di meriti e di virtù conosciuto solo nella contrada in cui abita non possa essere chiamato a rappresentare i suoi compatrioti mentre i ciarlatani famosi, che non sono sempre i migliori cittadini né gli uomini più illuminati, o gli intriganti sostenuti da un partito che domina in tutta la repubblica, siano perpetuamente ed esclusivamente i necessari rappresentanti del popolo francese.

Ma, nello stesso tempo, si incatena il popolo sovrano con delle regole tiranniche; dappertutto lo si disgusta e si allontanano i sanculotti con complicate formalità. Che dico? Si cacciano via affamandoli perché non ci si sogna neppure di indennizzarli del tempo che essi sottraggono al sostentamento delle loro famiglie per consacrarlo agli affari pubblici.

Ecco, dunque, i princìpi a difesa della libertà che la Costituzione deve mantenere. Tutto il resto non è che ciarlataneria, intrigo e dispotismo. Fate in modo che il popolo possa assistere alle assemblee pubbliche; perché lui solo è il sostegno della libertà e della giustizia; gli aristocratici e gli intriganti ne sono il flagello.

Che importa che la legge renda un omaggio ipocrita alla eguaglianza dei diritti se la più imperiosa di tutte le leggi, la necessità, costringe la parte più sana e numerosa del popolo, a rinunciarvi? Che la patria indennizzi l’uomo che vive del suo lavoro quando assiste alle assemblee pubbliche; che essa stipendii, per la stessa ragione, in modo proporzionato tutti i funzionari pubblici; che le regole delle elezioni e le forme delle deliberazioni siano le più semplici, più abbreviate possibile, che tutte le date delle assemblee siano fissate nelle epoche più comode per la parte lavoratrice della nazione.

Che si deliberi a voce alta; la pubblicità è il sostegno della virtù, la salvaguardia della verità, il terrore del delitto, il flagello dell’intrigo. Lasciate le tenebre e lo scrutinio segreto ai criminali e agli schiavi. Gli uomini liberi vogliono che il popolo sia testimone dei loro pensieri. Questo metodo forma i cittadini e le virtù repubblicane. Esso conviene ad un popolo che ha appena conquistato la libertà e che combatte per difenderla. Quando cessa di convenirgli, la repubblica non esiste più.

Per giunta, ripeto, che il popolo nelle assemblee sia completamente libero: la Costituzione può stabilire solo queste regole generali, necessarie per bandire l’intrigo e mantenere la libertà; ogni altro impaccio è solo un attentato alla sua sovranità.

Soprattutto che nessuna autorità costituita si immischi mai nel suo ordine interno, o nelle se deliberazioni.

Con ciò avrete risolto il problema, ancora incerto, dell’economia popolare collocando nella virtù del popolo e nella sua autorità di sovrano il contrappeso necessario alle ambizioni dei funzionari e ala tendenza dei giovani alla tirannia.

Non dimenticate, del resto, che la solidità stessa della Costituzione si basa su tutte le istituzioni, su tutte le leggi particolari di un popolo; comunque si voglia chiamarle, essa si basa sulla bontà dei costumi e sulla conoscenza profonda dei diritti sacri dell’uomo.

La Dichiarazione dei Diritti è la Costituzione di tutti i popoli; le altre leggi sono per loro natura mutevoli e subordinate a quella. Che essa sia sempre presente a tutti gli spiriti, che splenda all’inizio del vostro codice di diritto costituzionale; che il primo articolo di questo codice sia la garanzia formale di tutti i diritti dell’uomo. Che il secondo dichiari che qualsiasi legge che li ferisca è tirannica e nulla; che essa Dichiarazione sia portata con solennità nelle vostre cerimonie pubbliche, che colpisca lo sguardo del popolo in tutte le sue assemblee, in tutti i luoghi dove risiedono i suoi mandatari, che sia scritta sui muri delle nostre case; che sia il primo insegnamento dato dai padri ai loro figli.

Mi si domanderà forse in che modo, con delle precauzioni tanto sicure contro i magistrati, io possa assicurare l’obbedienza alle leggi e al governo. Rispondo che io l’assicuro abbondantemente proprio per quelle stesse precauzioni. Rendo alle leggi ed al governo tutta la forza che sottraggo ai vizi degli uomini che governano e che fanno le leggi.

Il rispetto che ispira il magistrato dipende molto di più dal rispetto che egli stesso porta alle leggi che dal potere che usurpa; e la potenza delle leggi sta molto meno nella forza militare che la sostiene che la loro concordanza con i principi della giustizia e con la volontà generale.

Quando una legge ha per principio l’interesse pubblico, essa ha il popolo stesso come sostegno e la sua forza è la forza di tutti i cittadini di cui essa è l’opera e la proprietà. La volontà generale e la forza pubblica hanno un’origine comune. La forza pubblica è per il corpo politico ciò che per il corpo umano è il braccio che esegue spontaneamente ciò che la volontà comanda e respinge tutti gli oggetti che possono minacciare il cuore o la testa.

Quando la forza pubblica non fa che secondare la volontà generale, lo Stato è libero e pacifico; quando la contraria, lo Stato è asservito e in tumulto.

La forza pubblica è in contraddizione con la volontà generale in due casi: o quando la legge non corrisponde alla volontà generale; o quando il magistrato la usa per violare la legge. Ed è questa l’orribile anarchia che i tiranni hanno imposta in tutte le epoche con i nomi di tranquillità, di ordine pubblico, di legislazione e di governo: tutta la loro abilità consiste nell’isolare e reprimere con la forza i cittadini per asservirli ai loro odiosi capricci che abbelliscono con il nome di legge. Legislatori, fate delle leggi giuste; magistrati, fatele eseguire religiosamente ; che sia qui tutto il vostro impegno politico e offrirete al mondo uno spettacolo sconosciuto: quello di un grande popolo libero e virtuoso.

Art. 1 – La Costituzione garantisce a tutti i Francesi i diritti imprescrittibili dell’uomo e del cittadino enunciati nella precedente dichiarazione.

Art. 2 – Essa dichiara tirannico e nullo qualsiasi atto legislativo o di governo che li violi.

Art. 3 – La Costituzione Francese riconosce come solo governo legittimo quello repubblicano, né altra repubblica se non quella fondata sulla libertà e sull’uguaglianza.

Art. 4 – La Repubblica Francese è una e indivisibile.

Art. 5 – La sovranità risiede esclusivamente nel Popolo Francese. Tutti i funzionari pubblici sono i suoi mandatari; esso li può revocare nello stesso modo in cui li ha eletti.

Art. 6 – La Costituzione non riconosce altro potere che quello del popolo sovrano. Le diverse porzioni di autorità esercitate dai singoli magistrati non sono che funzioni pubbliche che esso delega loro per il vantaggio comune.

Art. 7 – La popolosità e l’estensione della Repubblica costringono il popolo Francese, per esercitare la propria sovranità, a dividersi in sezioni; ma i suoi diritti non sono né meno reali né meno sacri che se deliberasse al completo, in un’assemblea unica.
Di conseguenza nessuna sezione del (popolo) sovrano può essere sottomessa né influenzata, né agli ordini di alcuna autorità costituita e i mandatari che attentino sia alla libertà, sia alla sicurezza, sia alla dignità di una porzione del popolo sono colpevoli di ribellione contro il popolo intero.

Art. 8 – Affinché l’ineguaglianza dei beni non distrugga l’uguaglianza dei diritti, la Costituzione vuole che i cittadini che vivono del loro lavoro siano indennizzati per il tempo che consacrano agli affari pubblici nelle assemblee del popolo dove la legge li chiama.

Art. 9 – La durata delle funzioni dei mandatari del popolo non può eccedere i due anni.

Art. 10 – Nessuno può esercitare contemporaneamente due incarichi pubblici.

Art. 11 – Le funzioni esecutive, le funzioni legislative e le funzioni giudiziarie sono separate.

Art. 12 – La Costituzione non vuole che la legge ostacoli la libertà individuale se non a vantaggio del bene pubblico; essa lascia ai cittadini comuni il diritto di regolare i loro affari in ogni campo che non riguardi l’amministrazione generale della Repubblica.

Art. 13 – Le deliberazioni dei corpi legislativi e di tutte le autorità costituite saranno rese in pubblico; la Costituzione esige la massima pubblicità possibile. Il corpo legislativo deve tenere le sue sedute in un luogo in cui possano trovare posto dodicimila spettatori.

Art. 14 – Ogni funzionario pubblico è responsabile nei confronti del popolo.

Art. 15 – Sarà istituito un tribunale con l’unica funzione di giudicare delle loro prevaricazioni.

Art. 16 – I membri del corpo legislativo non potranno essere perseguiti da nessun tribunale costituito a causa delle opinioni che avranno espresso nell’assemblea: ma allo scadere delle loro funzioni la loro condotta sarà solennemente giudicata dal popolo che li aveva eletti. Il popolo si pronuncerà soltanto su questo punto: questo cittadino ha corrisposto o no alla fiducia di cui il popolo lo aveva onorato?

Art. 17 – I fatti concreti di corruzione e di tradimento che potessero essere imputati ai funzionari pubblici, di cui si è parlato nei due articoli precedenti, saranno giudicati dal tribunale popolare e i loro delitti privati dai tribunali ordinari.

Art. 18 – Tutti i membri del corpo legislativo e tutti i membri degli uffici esecutivi saranno tenuti a rendere conto delle loro ricchezze entro due anni dallo spirare della loro carica.

Art. 19 – Quando i diritti del popolo siano violati da un atto legislativo o esecutivo, ogni dipartimento potrà deferire l’esame al resto della Repubblica; e nel termine che sarà stabilito, le assemblee primarie si riuniranno per manifestare la loro opinione su questo punto.

Art. 20 – La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino sarà collocata nella posizione più in vista nei luoghi in cui le autorità costituite terranno le loro sedute; sarà portata, in forma solenne, in tute le cerimonie pubbliche e costituirà il primo oggetto dell’istruzione pubblica.


COME VENEZIA ORCHESTRÒ IL PIÙ GRANDE DISASTRO FINANZIARIO DELLA STORIA

COME VENEZIA ORCHESTRÒ IL PIÙ GRANDE DISASTRO FINANZIARIO DELLA STORIA

. che portò alla Peste Nera, nella metà del Trecento. La gravità del crac finanziario che si prospetta oggi, si ritrova nella rilettura della storia precedente.

LA PESTE NERA CHE DECIMÒ LA POPOLAZIONE EUROPEA alla metà del XIV secolo fu causa ed effetto del più grande tracollo finanziario della storia. Al paragone, la Grande Depressione degli anni Trenta del secolo scorso fu un episodio transitorio e di scarse conseguenze.

Allora, con il tracollo delle grandi case bancarie fiorentine dei Bardi e Peruzzi, avvenuto nel 1345, si verificò una vera e propria disintegrazione finanziaria. Oggi il rischio è quello di una riedizione dello stesso fenomeno in cui, come si legge sulle cronache dell’epoca, “tutto il credito scomparve nello stesso momento”. Ecco il perché della necessità della “Cambiale Sociale”.

Oggi a prevedere questo rischio è Lyndon LaRouche, l’economista americano la cui analisi sull’inevitabilità del crac, seppur pubblicata negli anni novanta è comunque attualissima.

Già nel corso del 1995 abbiamo avuto le prime avvisaglie di questa disintegrazione, con le clamorose bancarotte del Messico, della contea di Orange nella California e quelle di grandi e prestigiose merchant bank inglesi. Oggi, come nel Trecento, queste bancarotte sono la conseguenza di “bolle finanziarie” speculative che crescono innaturalmente paralizzando produzione e commercio, cioè l’economia reale.

La differenza fondamentale tra il 1345 ed il 2015 è che allora non esistevano gli stati nazionali. Non c’era un governo potenzialmente in grado di sottoporre il sistema bancario ad una radicale riorganizzazione, salvaguardando al tempo stesso la produzione reale con nuove, esclusive emissioni di credito, mentre questo sarebbe oggi possibile qualora si riuscisse ad esercitare pienamente la sovranità nazionale…. Non a caso da decenni … sempre le stesse casate di banchieri discendenti da quelli di cui qui si parla … stanno attualmente lavorando per lo smantellamento e la distruzione delle istituzioni nazionali e primariamente alla eliminazione degli Stati nazionali.

Allora questa via di scampo dello Stato sovrano (che del tutto teoricamente ancora esiste – ma che si potrebbe ricomporre) non esisteva e di conseguenza la popolazione finì per essere decimata. Si calcola che nel periodo che va tra il 1300 ed il 1450 la popolazione europea si ridusse del 35-50%, mentre quella mondiale si ridusse del 25%.

Gli storici sono soliti attribuire questo immane disastro causato dalle banche e dal loro sistema finanziario ad un capro espiatorio, Edoardo III re d’Inghilterra. Edoardo si ribellò al sistema finanziario con il quale i banchieri fiorentini stavano conquistando il controllo sul suo paese e, a partire dal 1342, sospese i pagamenti ai Bardi ed ai Peruzzi. Gli storici di rito liberista dicono che i banchieri fiorentini fecero allora tanto di quel bene semplicemente badando ai fatti propri.

I grandi casati usurari seguendo la propria ingordigia di denaro, costruendo i monopoli finanziari delle proprie casate, svilupparono il commercio e dettero vita all’industria capitalistica “in pacifica” concorrenza con altri mercanti, per poi espiare i peccatucci dell’usura con generose elemosine agli istituti ecclesiasitici (da loro gestiti in prima persona).

Ma, continua il mito, in questo paradiso terrestre c’era il serpente, c’erano i re – si capisce, nel loro ruolo centralizzatore i despoti antesignani del moderno stato nazionale. Spendaccioni impenitenti, con le loro guerre dispendiosissime e le loro corti festaiole, i monarchi finivano invariabilmente nell’inadempienza, non onoravano quei crediti che i poveri banchieri concedevano loro per quel misto di riverenza e timore che incutono le teste coronate.
Fu così che il capitalismo, l’impresa privata allora emergente, finì nella rovina del XIV secolo e che,questo fu tra i fattori scatenanti della Peste Nera, coi suoi trenta milioni di morti.
La morale (attualissima) del mito – parabola liberista – finanziario è che occorre evitare di avere tra i piedi un’autorità centralizzata (e forte) perché essa è solo capace di indebitarsi per finanziare le sue manie espansionistiche, finendo poi sempre per farsi beffe dei suoi laboriosi creditori.

Mentre la realtà è l’esatto contrario…e cioè … alle banche (in ogni epoca) occorre agire senza un contropotere (quali gli Stati) che potrebbero opporsi alla realizzazione dei loro sporchi affari.

Ma vediamo come davvero si sono svolti i fatti in epoca storica e soprattutto la fondamentale responsabilità ed il significato della protezione accordata agli ebrei dalla Santa Sede nei secoli.Nulla di meglio di un ciclo di leggende ebreo/italiane ed ebreo/tedesche, nate in merito ad un papa ebreo già nell’alto medioevo (che noi sappiamo invece essere avvenuto metodicamente da sempre… da che esiste il papato … altrimenti sarebbero inspiegabili infinite situazioni avvenute in migliaia di epoche e luoghi, ma tutte inerenti i due cardini del ragionamento (ebraismo e cristianesimo)….

Nulla può illustrare la sottigliezza e la complessità/ambivalenza dei legami secolari ed interpolati fra gli Ebrei e la Santa Sede. Una di queste leggende, secondo la versione più antica a noi pervenuta, che è del quinto secolo, (appena dopo l’instaurazione, avvento e consolidamento dell’istituzione del papato e la sua sostituzione ai comandi dell’impero d’occidente.

Il primo vero e formalmente papa in questa dimensione imperiale si chiamava Simon Cefa o Simon Caifa e sarebbe stato nel fondo della sua anima un leale ebreo. Preoccupato dei rapidi progressi del Cristianesimo, temendo che questa eresia potesse sedurre il popolo eletto, (secondo un’altra versione …. Perché i cristiani minacciavano di massacrare gli Ebrei qualora questi non si fossero uniti a loro), si dichiarò cristiano per poter penetrare nel cuore della setta rivale, e quindi, stornare il pericolo imminente.

Tralasciando secoli bui dove reperire notizie certe ed inconfutabili risulta estremamente difficoltoso, e pericoloso saltiamo all’inizio del 1400 e possiamo riportare una lettera dell’arcivescovo di Trani che si lamentava con Giovanni XXII perché gli Ebrei perseguitati della sua diocesi si erano ridotti di numero e con esso anche i profitti che costui ne traeva e gli inquisitori colpivano pure gli Ebrei convertiti … il papa su questo, e probabilmente altre lamentele sospese per due anni qualunque persecuzione… e per focalizzare meglio la reale essenza degli elementi in gioco… si deve evidenziare che il motivo del contendere è sempre il denaro e la ricchezza economica, non certamente l’elevazione spirituale e la fede.

Vale a questo scopo riportare lo scritto di Jacop Elis, polemista ebreo-provenzale dell’epoca, che ringraziava Iddio < di aver moltiplicato le nostre ricchezze, perchò questo ci dà la possibilità di proteggere la vita dei nostri figli e le nostra, quindi di far fallire i disegni dei nostri persecutori…>.

La difesa effettuata dagli Ebrei per spiegare il loro innato amore per i preziosi, denaro e la ricchezza, è che, essendo perseguitati, l’unico modo per sopravvivere fosse il possesso di denaro con cui incupire e tacitare i possibili persecutori… Insomma come al solito metodicamente fanno i levantini sostituire gli effetti con la causa e cioè affermare che le periodiche e persistenti persecuzioni erano il frutto di un odio religioso… e per difendersi dai tentativi di conversione forzosa utilizzavano il denaro/ricchezza… mentre in realtà era si perseguiti (e non perseguitati) in quanto esercitando il mestiere di strozzini erano invisi alle popolazioni e perciò periodicamente oggetto di vendette e ritorsioni. Insomma, e comunque, il commercio del denaro diventa per loro l’unico mezzo di sopravvivenza.

Ma veniamo ad uno dei punti cardine…Nei Padri del Talmud ai commentari alla legge scritta dell’Antico Testamento … Deuteronomio XXIII, 20 : < Potrai percepire un interesse dallo straniero, ma non potrai percepirne da tuo fratello….>… In pratica la legge talmudica, glorificando l’artigianato in sfavore del commercio, giudicava mestiere di banchiere/strozzino solo dal punto di vista del vantaggio che questa attività avrebbe potuto apportare all’affermazione dell’ebraismo sul cristianesimo.

Da queste premesse parte l’ascesa del commercio ebreo del denaro….
D’altro canto ..stante di fatto… questa modalità esistenziale degli Ebrei, il papato formalizza molto laicamente e pragmaticamente un concetto per secoli vigente che poi scaturirà nell’odierna tragica situazione…e con il V Concilio Laterano del 1516 legittimò l’usura e l’attività bancaria e le “licenze” da lungo tempo pratica tenuta dalla Chiesa Cattolica nei confronti dei Commercianti altrimenti detto banchieri/usurai ebrei.

Il concetto doppiogiochistico della Chiesa era questo : siccome gli Ebrei, essendo la loro esistenza e la loro possibilità di salvezza dell’anima disperata, a causa dell’uccisione di Gesù Cristo e della fondamentale malafede storica…l’usura è tollerata e “codificata”, controllata per una motivazione razionale di convivenza.

Quindi la Chiesa non avrebbe motivi per “vegliare” sulle loro anime, perché comunque l’effetto sarebbe lo stesso, … sia che gli Ebrei siano dediti all’usura o meno…,,, In questo modo le leggi che prescrivono una certa tassazione sulle usure degli Ebrei, con questo non canonizzandole, né legittimandole, ma ordinandole ed organizzandole entro precisi limiti.

Questa, ad esempio, è un’interpretazione data dal papa Urbano VIII (Maffeo Vincenzo Barberini) nel 1625, il cui pensiero era : <Il permesso di esercitare il prestito contro pegni è dato dal papa a titolo di tolleranza, e il concetto è che …. Non si dovrebbero concedere autorizzazioni agli Ebrei.. di prestare contro interessi … tuttavia si fa eccezione a favore di alcuni … Non deve quindi essere regola generale e ci si riserva il diritto caso per caso di concedere o rifiutare permessi…Ragionamento sicuramente di origine bizantina di inarrivabile perversità, doppiezza, infamità pervasa di assoluta illogicità ed immoralità.

Gli archivi storici di Todi, Ascoli, Matelica conservano i più antichi contratti dai Comuni con gli usurai ebrei romani risalenti alla fine del XII secolo .. Particolarmente interessante è l’accordo del 1297 tra il Comune di Ascoli e una ventina di usurai ebrei consorziati di Firenze Arezzo e Roma (città dove occultamente tuttora agiscono i centri nevralgici dell’usura nazionale, internazionale e di altra natura) ….. mediante il versamento di cento fiorini l’anno essi ottenevano il monopolio di esercitare l’usura …. Ma soprattutto occorre evidenziare massicciamente le caratteristiche che chiariscono pienamente il rapporto intercorrente fra usurai cristiani ed usurai ebrei… e la loro localizzazione spaziale e temporale… e cioè… i diciotto usurai toscani di Firenze ed Arezzo erano tutti cristiani…. I quattro usurai …. ebrei… solo provenienti da Roma… Incredibile coincidenza o dato di fatto?

Se ci fosse necessità si può citare il caso di Orvieto che nel 1313 per svincolarsi dalla “scomunica di Papa Clemente V inflitta nel 1307…. chiese un prestito a 10 “capitalisti” per 15.000 ducati … dopo che il Comune di Orvieto aveva interpellato gli strozzini fiorentini Mazzi e Sassetti… i quali si erano ben guardati di mettersi in cattiva luce col papato….ed aveva ottenuto il prestito da questi dieci finanziatori ebrei… tutti di Roma… e molto presumibilmente, molto vicini ed amici dal papato.. a ulteriore conferma della commistione di interessi fra la Chiesa e gli Ebrei….

Chiesa e compartecipi che attraverso l’infiltrazione degli usurai capillarmente nel territori andava gradualmente indebitando le comunità e da una parte soggiogandoli col terrore della punizione eterna… e dove questo non faceva breccia attraverso l’induzione all’indebitamento materialistico e terreno. A contrastare il supporto concesso dalla Chiesa agli usurai ebrei, a partire dal XII – XIII secolo i prestatori locali escono dall’irregolarità e dall’anonimato ufficializzandosi e poi spesso associandoci nell’esercizio dell’usura.

Ma guarda caso.. Il 13 ottobre 1307 fu ordinato l'arresto di tutti i Cavalieri templari che si trovavano in Francia, un'azione dettata da motivi finanziari … e a seguire Clemente V convocò il Concilio di Vienne del 1311, sospese l'ordine, (bolla Vox in excelso del 3 aprile 1312)… e le proprietà francesi dell'ordine e le banche dei Templari. vennero espropriate da Filippo IV non dopo però che nel 1311 (la situazione finanziaria era sistemata!) … fosse promulgata la bolla “Ex gravi” …. che guarda caso …. vieta ai Comuni (e non alla Chiesa) di concedere le “licenze” di esercizio del prestito ad usura (ma non agli Ebrei)….e mentre gli ebrei venivano arsi sul rogo in Francia, Germania etc., in Italia particolarmente sotto il controllo della Chiesa … questo non avviene…

Come pure da sottolineare quello che avvenne nel 1347/1350, quando nel terrore del castigo divino del flagello della peste….i cristiani usurai prestatori su pegno, ai quali si era da sempre la Chiesa aveva incusso il terrore della punizione divina … praticamente tutti “rimisero i debiti ai loro debitori” … viceversa gli strozzini ebrei furono incontaminati da una simile infezione morale in quanto i loro rabbini mai si sognarono di colpevolizzarli .. e meno che mai gli usurai ebrei pensarono benché minimamente di rimettere i debiti ai loro debitori….

Chissà come, chissà perché questo smaccato vantaggio dato dalla Chiesa ai capitalisti ebrei.

A seguito delle vicende derivanti dal cataclisma sociale generato dall’epidemia di peste e alle (questa volta) persecuzioni antiebraiche in Germania … gli Ebrei superstiti in parte si diressero a Venezia, dove fra le altre più o meno nobili operazioni nel 1366 realizzarono i “Banchi dei Poveri”. Da evidenziare che i tassi di interesse (su pegno) praticati dagli usurai (sia ebrei che cristiani) ai poveri, oscillava fra il 25% e il 40% all’anno.

L’infiltrazione nelle istituzioni pubbliche avveniva immediatamente dopo essere riusciti ad ottenere la concessine.. e la prima tappa era la nomina a “tesoriere comunale” esattamente la stessa funzione che fanno tutte le banche attuali a cominciare dalla B.C.E. e BANKITALIA con la complicità delle venti banche specialiste di aste comprando i titoli del debito pubblico ….ovviamente lo scambio di favori era sempre vicendevole… l’esercito del Comune o del Principe difendeva e sosteneva le “ragioni del banchiere” … ed il banchiere finanziava le guerre e le pretese del principe...

La motivazione ufficiale della Chiesa del sostegno particolare fornito agli ebrei era sempre e soltanto la necessità di “preservare i cristiani dal peccato dell’usura, e che la funzione comunque portava lenimento alle difficoltà della povera gente….Ma le motivazioni reali e concrete della Chiesa erano ben altre.
Dalla fine del 1400 l’autorizzazione del papa era ”conditio sine qua non” ed i papi partecipavano attivamente al contratto che gli usurai ebrei contraevano .. ma la motivazione ufficiale che dava vantaggio ad entrambe le parti, era che … dato che l’anima degli Ebrei deicidi era comunque irrimediabilmente persa … peccato di usura o meno erano condannati alla dannazione eterna… tanto valeva propagandare l’immagine di un atteggiamento benevolo del papa e dei principi ..

Vale la pena di focalizzare l’attenzione sugli oppositori e supporters della conquista delle posizioni di ufficialità delle nascenti banche ebraiche… da una parte gli ordini monastici più integralisti, e la borghesia ….. ed incredibilmente alleati i banchieri/usurai italiani da un lato e viceversa dall’altra parte il ceto dirigente locale, il potere costituito … e soprattutto la CURIA ROMANA….

I vantaggi per questi ultimi del tutto evidenti e reciproci. Ancora più indicibili, in base alle motivazione di facciata di cui si è detto prima erano alcuni “sporchi” affari che si erano compiuti e in seguito sempre si sarebbero eseguiti … e cioè l’utilizzo di finanziamenti effettuati apparentemente da usurai ebrei… ma pure con capitali cristiani in parte o in “toto” …. Questa fra altre valide ragioni morali, sociali, ed altro era anche validissima ragione per evadere le tasse e far “sparire” somme ingenti altrimenti non occultabili al fisco… (una specie di “paradiso fiscale” ante litteram).

Da tener presente che gli usurai ebrei che pretendevano dal 30 al 40% di media di interessi… a Firenze nel 1457 pagavano una tassa del 10% sull’ammontare delle somme depositate presso di loro.,… elevato poi al 12% nel 1475… E la Signoria esprimeva le stesse reprimenda in merito alla capitalizzazione e al mancato investimento ed utilizzo immediato sul mercato economico …. Esattamente come stanno facendo oggigiorno le banche con l’acquisto dei titoli tossici o anche i cittadini/risparmiatori che preferiscono comprare buoni del tesoro invece che spendere nei consumi e rilanciare l’economia.

Recentemente sono stati pubblicati almeno due libri dai quali si desume che il mito fa acqua da tutte le parti. Nel «The Medioeval Super-Companies: A Study of the Peruzzi Company of Florence» (London, Cambridge University Press), pubblicato nel 1994, Edwin Hunt dimostra che la grande casa bancaria lavorava in perdita, al punto di rischiare la bancarotta, già attorno al 1330, cioè prima dei crediti al re Edoardo, e che questo era il risultato della politica creditizia seguita nell’agricoltura e nel commercio. Le compagnie bancarie principali riuscirono a sopravvivere oltre il 1340 soltanto perché non si diffondevano rapidamente come ora le notizie sulla gravità delle loro posizioni.

Dopo aver riesaminato da cima a fondo tutta la corrispondenza e i libri mastri dei Bardi e dei Peruzzi, Hunt asserisce che le “condizioni” dei prestiti delle due banche fiorentine a re Edoardo erano brutali, (il sequestro delle entrate della corona), in realtà il debito che Edoardo finì per ripudiare si era ridotto a 15 o 20 mila sterline…. credito inferiore a quello che essi vantavano nei confronti del governo della loro città, e che neppure Firenze stessa riuscì allora a pagare.

Per capire la dimensione di questa realtà è estremamente utile il libro di Frederick C. Lane, «Money and Banking in Medioeval and Renaissance Venice» (Baltimore 1985, John Hopkins University Press) perché dimostra che in realtà era la finanza veneziana a controllare la “bolla speculativa” della finanza mondiale, tra il 1275 ed il 1350, bolla che Venezia fece esplodere nel periodo successivo al 1340.

A smentire una volta di più la mitica coesistenza in regime di libero mercato, la realtà è che gli oligarchi veneziani mandarono in bancarotta i colleghi fiorentini, e le conseguenze furono pagate dalle economie dell’Europa e del Mediterraneo…. Mentre Firenze ricopriva un ruolo analogo a quello oggi ricoperto da “New York”, con la sua Wall Street delle grandi banche, Venezia era “Londra”, cioè tirava le fila di banchieri, sovrani, papi ed imperatori attraverso una rete finanziaria molto sottile e un dominio completo del mercato della moneta e del credito.

Lo storico francese Fernand Braudel spiega («Civiltà e capitalismo, dal XV al XVIII secolo») che Venezia, alla testa dei banchieri fiorentini, genovesi e senesi, fu impegnata dall’inizio del XIII secolo a distruggere le premesse su cui edificare uno Stato nazionale voluto dall’imperatore svevo Federico II di Hohenstaufen. “Venezia aveva deliberatamente imbrigliato tutte le economie circostanti, compresa quella tedesca, al proprio tornaconto; ne traeva il suo reddito impedendo loro di agire liberamente... Il XIV secolo registrò la creazione di un monopolio così potente a vantaggio delle città Stato italiane... che gli embrioni degli Stati territoriali come Inghilterra, Francia e Spagna necessariamente ne soffrirono le conseguenze”.

Il “trionfo del liberismo” e il soffocamento sul nascere degli Stati nazionali definisce il contesto della catastrofe del XIV secolo. Solo un secolo più tardi, quando il Rinascimento dette vita agli Stati nazionali, prima quello di Luigi XI in Francia, poi in Inghilterra e Spagna, la popolazione europea riuscirà a sottrarsi alla barbarie e all’involuzione demografica.

Tra XI e XIII secolo si verificò un notevole sviluppo della popolazione, in Europa ma ancora di più in Cina. Durante i due secoli del Rinascimento neo-confuciano della dinastia S’ung la popolazione cinese raddoppiò, raggiunse i 120 milioni; anche nelle regioni settentrionali della Francia e dell’Italia la densità demografica si avvicinava ai livelli del XVIII secolo. Le nuove tecniche per estendere la superficie coltivata furono senz’altro le più importanti tra le innovazioni che permisero una crescita continua della popolazione per sette secoli fino al 1300, ripopolando l’Europa devastata dal crollo dell’Impero Romano.

Ma già all’inizio del XIV secolo si registrano in Europa le prime interruzioni di un aumento continuo sia dei raccolti che della popolazione, mentre in Cina vedremo che imperversava già una vera e propria devastazione. Grandi carestie si registrano negli anni 1314-1317, 1328-1329 e 1338-1339.
Le regioni agricole più produttive nel nord della Francia e dell’Italia registrano flessioni demografiche a partire dal 1290, mentre nelle città si registra una stagnazione(l’unica eccezione fu Milano, dove i Visconti, nemici di Venezia, seguivano con determinazione la politica delle infrastrutture, tra cui anche grandi opere pubbliche idrauliche.

Nel 1310 un banchiere lucchese poteva vantarsi di essere in grado di raccogliere crediti per 200 mila lire tornesi in un batter d’occhio alla fiera di Troyes; come conseguenza, il volume degli scambi di prodotti fisici reali in quelle fiere cominciò subito a diminuire. Alla fine del XIII secolo, un rallentamento del commercio colpì innanzitutto le merci, mentre le operazioni di credito si protrassero ancora, ma le fiere entrarono in una fase di grave declino. A partire dal 1320 iniziarono le grandi manovre finanziarie: si verificarono “enormi fughe di argento oltremare che sconvolsero l’equilibrio dell’Europa a metà del XIV secolo”. L’argento europeo esportato da Venezia in oriente tra il 1325 ed il 1350 equivaleva “forse al 25% di tutto l’argento coniato in Europa”.

Una chiara manifestazione di “fuga dei capitali all’estero” o l’investimento senza fine nei titoli tossici che sottraggono linfa vitale all’economia reale…. Allora come adesso… La manovra monetaria veneziana “creò problemi cronici della bilancia dei pagamenti fino in Inghilterra e nelle Fiandre”; nel commercio divenne sempre più difficile pagare. La Francia “fu svuotata di monete d’argento”. Il sovrintendente della zecca di re Filippo calcolò che almeno 100 tonnellate di argento erano state esportate “nella terra dei saraceni”, i migliori partners commerciali di Venezia.

La produzione dei beni più importanti fu irreparabilmente danneggiata, con grave danno al commercio ed alla circolazione monetaria, molti anni prima del crac del 1340, dai banchieri che evidentemente imponevano tassi d’interesse da usura. “Le super-compagnie fiorentine utilizzavano i prestiti ai monarchi per assicurarsi il dominio su certe merci vitali, specialmente il grano e successivamente la lana ed il panno.
I banchieri fiorentini in realtà operavano su una scala internazionale limitata all’Europa occidentale, mentre l’impero marittimo, finanziario e commerciale veneziano si estendeva su tutta la massa continentale eurasiatico-africana, e basta questo per capire che furono i vertici veneziani a mettere in moto il disastro del XIV secolo. Venezia all’epoca fungeva da centro bancario, da mercato degli schiavi e da centrale di spionaggio per conto dei Khan mongoli.

Le case bancarie dei Bardi, Peruzzi ed Acciaiuoli, insieme ad altre grandi banche fiorentine e senesi, furono tutte fondate intorno al 1250. Nell’ultimo decennio di quel secolo le loro dimensioni e la loro rapacità crebbero enormemente e si riorganizzarono facendo largo a nuovi soci, le famiglie dell’aristocrazia terriera, soprattutto quella settentrionale, che si era da sempre ferocemente battuta contro ogni forma di governo centrale, e che sotto la coordinazione ed il finanziamento di Venezia avevano combattuto sia il Barbarossa che Federico II sotto il vessillo delle “libertà comunali”.

All’inizio del XIV secolo Venezia coordinava questi Guelfi Neri, gli stessi che avevano osteggiato il disegno politico di Dante Alighieri. E allora proprio come adesso contro l’influenza del «De Monarchia» Venezia mise in campo un gruppo di politologhi che decantavano quello veneziano come il modello di governo ideale: da Bartolomeo da Lucca a Enrico Paolino da Venezia e soprattutto Marsilio da Padova.

La Parte Guelfa si proclamava il partito del papato ma chiaramente esercitava forti pressioni sui pontefici affinché l’usura non fosse più considerata un peccato mortale ma solo veniale. In questo contesto è interessante il parallelo tra la nascita delle case bancarie nel periodo successivo alla fine di Federico II e il proliferare di eresie delle diverse religioni, soprattutto quella catara, più congeniali alla pratica dell’usura che è altrimenti espressamente vietata (almeno sulla carta) dalle tre religioni monoteiste. Le sovrapposizioni tra i due fenomeni, usura ed eresia, sono evidenti, anche senza uno studio approfondito, nel caso della roccaforte catara di Caorse, nel meridione della Francia, da cui prendevano il nome i banchieri usurai caorsini.

Venezia costrinse Federico Barbarossa a rinunciare alla sovranità monetaria in Italia, ritirando la coniazione argentea del Sacro Romano Impero, e permettendo alle città di battere una moneta propria e riuscì a stabilire un vero e proprio monopolio sulla circolazione di oro ed argento, moneta e lingotti, sia in Europa che in Asia. Il crac del 1340 coinvolse tutti meno che i veneziani.

I banchieri fiorentini elargivano prestiti ai monarchi e aspettavano poi la restituzione dei soldi ma gli interessi non potevano essere menzionati nei contratti, perché sarebbero stati considerati usura e quindi un peccato mortale, un crimine… L’espediente a cui si ricorreva è ancora oggi usato dal Fondo Monetario Internazionale: per concedere il prestito i banchieri esigevano delle “condizioni”. La prima era quella di impegnare direttamente le entrate delle casse reali, cioè “privatizzare” le entrate dello Stato; significava di fatto che i sovrani rinunciavano alla sovranità sulle proprie economie.
NON A CASO OGGI IN ITALIA CI RITROVIAMO J.P. Morgan e soci…

Dato che nell’Europa del XIV secolo le merci più importanti (gli alimentari, la lana ed i tessuti, le ferramenta, il sale) venivano prodotte esclusivamente in un sistema di licenze e di tassazione reali, il controllo che le banche esercitavano sulle entrate della corona finì dapprima per instaurare il monopolio privato della produzione di quei beni ed in un secondo momento condusse alla “privatizzazione” e al controllo delle funzioni stesse del governo (esattamente come adesso che le aziende di Stato vengo regalate ai “privati – ed esattamente come oggi quando ci ritroviamo con UN GOVERNO NOMINATO DELLE BANCHE).

Nel 1325, ad esempio, i Peruzzi possedevano tutti i diritti sulle entrate del Regno di Napoli, controllavano l’esercito del regno, riscuotevano tasse e gabelle, nominavano funzionari e soprattutto vendevano tutto il grano del regno di re Roberto. Poi, per stabilire un monopolio ancora più stretto costrinsero re Roberto a fare la guerra per conquistare la Sicilia, che allora era sotto la Spagna e alleata quindi del Sacro Romano Impero. Le devastazioni della guerra ridussero la produzione del grano in Sicilia rafforzando il monopolio cerealicolo dei Peruzzi.

In quello stesso periodo i banchieri fiorentini portarono avanti una simile politica di “privatizzazioni” anche nel regno di Ungheria, i cui sovrani erano parenti di re Roberto d’Angiò.

Invece di pagare gli interessi sui prestiti, perché la cosa sarebbe stata riconosciuta come “usura”, il re elargiva dei “doni” o “compensazioni” per i sacrifici che loro banchieri si accollavano per pagare il suo bilancio; i doni erano un buono extra, oltre alla concessione delle entrate della corona. Quando re Edoardo decise di proibire ai mercanti italiani di esportare i propri profitti dall’Inghilterra, questi decisero di acquistare enormi quantitativi di lana che stiparono nei monasteri dei Cavalieri ospedalieri, che a loro volta erano loro debitori, alleati politici e soci nel monopolio della lana. I rappresentanti dei Bardi convinsero poi Edoardo III a boicottare l’industria tessile delle Fiandre per distruggerla, perché era l’unico modo per continuare a spingere in alto il prezzo della lana ed aumentare quindi le entrate della corona che essi ormai usavano per coprire il suo debito… i banchieri genovesi intorno al 1325 facevano altrettanto alla corte di Castiglia, che era l’altra grande fornitrice di lana in Europa.

Nei primi cinque anni della Guerra dei Cent’anni, a partire dal 1339, i banchieri fiorentini imposero all’Inghilterra un cambio del fiorino superiore del 15% rispetto alla moneta inglese. Quando il re s’accorse di perdere il 15% sul suo monopolio della lana decise di battere un proprio fiorino inglese, ma i fiorentini riuscirono a fare in modo che la nuova moneta fosse generalmente respinta. In tal modo i Bardi ed i Peruzzi provocarono la famosa insolvenza di re Edoardo.

Anche il banchiere e cronista Giovanni Villani riconosce che il debito che Edoardo doveva ai Bardi e Peruzzi comprendeva in realtà crediti che egli aveva già ripagato, proprio come accade oggi ai paesi del Terzo Mondo debitori del FMI… o anche il Debito Pubblico italiano che oggi assomma a 2160 miliardi di euro… ma che è già stato ripagato nel corso degli anni per oltre 3000 (tremila) miliardi… il che starebbe a dire che dovrebbe essere stato saldato… ma a quanto pare non basta..: I Bardi vantavano un credito nei suoi confronti superiore alle 180 mila marche sterline. Ed i Peruzzi più di 135 mila marche sterline, che... insieme fanno un totale di 1.350.000 fiorini d’oro – ovvero il valore di un regno.

Ancora maggiore era il flusso delle rendite raccolte dal papato, lasciti e decime, durante la Cattività Avignonese. Sotto Giovanni XXII, tra il 1316 ed il 1336, le rendite papali raggiunsero i 250 mila fiorini d’oro annui. Il grosso di queste rendite proveniva dalle decime raccolte in Francia dalle banche veneziane, mentre nel resto d’Europa, con eccezione della Germania, le decime erano raccolte dagli agenti dei Bardi.

In Italia i banchieri seguivano un’aggressiva politica di prestare non solo ai mercanti ma anche ai contadini ed ai proprietari terrieri, spesso mirando ad impossessarsi delle loro proprietà fondiarie.
Le città italiane furono costrette a cedere grossa parte delle loro entrate fiscali, le gabelle, direttamente alle banche creditrici. A partire dal 1315 furono abolite le tasse sul reddito nelle città (gli estimi), per aumentarle invece nelle zone agricole circostanti. Così i banchieri, i mercanti e l’aristocrazia guelfa invece di pagare le tasse potevano estendere i loro crediti (le prestanze) ai comuni ed alle città. In Firenze nel 1342 gli interessi effettivi avevano raggiunto il 15% su un debito di 1.800.000 fiorini d’oro. Nessun prelato denunciò la pratica di quest’usura e i proventi delle gabelle furono impegnati anticipatamente per sei anni ai creditori. Il duca d’Atene, Walter di Brienne, che per un breve periodo fu signore di Firenze, cancellò tutti gli impegni verso i banchieri, cioè dichiarò un’insolvenza come quella di Edoardo III.

Un’idea delle conseguenze della politica economica dei Guelfi Neri si desume dalla storia demografica del contado di Pistoia, la cui densità demografica, che intorno al 1250 aveva raggiunto le 60-65 persone per chilometro quadrato, si ridusse a 50 nel 1340 e piombò a 25 persone per chilometro quadrato nel 1400, come conseguenza di cinque anni di Morte Nera. Le grandi carestie del 1314-1317, del 1328-1329 e del 1338-1339 non furono affatto “disastri naturali”.

Alcune case bancarie toscane minori (ubi major minor cessat), gli Asti di Siena i Franzezi e gli Scali, erano già fallite dopo il 1320. I Peruzzi, gli Acciaiuoli ed i Buonaccorsi operavano in perdita, dirigendosi verso la bancarotta come conseguenza del crollo della produzione dei beni primari di cui avevano ottenuto il monopolio ma che veniva divorata dal meccanismo canceroso della speculazione finanziaria. Gli Acciaiuoli ed i Buonacorsi, che prima della cattività avignonese erano stati i banchieri dei papi, finirono in bancarotta nel 1342 a seguito dell’insolvenza di Firenze e delle prime morosità di Edoardo III. Peruzzi e Bardi, che all’epoca erano le più grandi banche del mondo, crollarono nel 1345, innescando il caos nei mercati finanziari del Mediterraneo e dell’Europa, con l’eccezione della sfera della Lega Anseatica, le città del nord della Germania che non avevano mai ammesso i banchieri italiani ad operare nei loro mercati.

Un’epidemia mortale cominciò a diffondersi nel 1340; non era ancora la peste bubbonica ma falcidiò il 10% degli abitanti della Francia settentrionale e 15 mila dei quasi 100.000 mila abitanti di Firenze. Nel 1347/8 si diffuse in Europa la Morte Nera, la peste bubbonica e pneumonica, proveniente dalla Cina dove aveva già sterminato 10 milioni di abitanti.

Venezia costituì il più grande successo commerciale del Medio Evo – una città senza industrie, con la sola eccezione delle costruzioni navali militari, giunse a dominare il mondo mediterraneo e controllare un impero semplicemente attraverso le imprese commerciali. Nel XIV secolo giunse al periodo di successo e potenza massimi. I patrizi veneziani si curavano meno dei profitti provenienti dalle industrie rispetto a quelli derivanti dal commercio tra regioni in cui vigevano valutazioni diverse dell’oro e dell’argento.
Tra il 1250 ed il 1350 i finanzieri veneziani misero in piedi una struttura di speculazione mondiale sulle monete e sui metalli preziosi che richiama per certi aspetti l’immensa speculazione odierna degli “strumenti derivati”. Le dimensioni di questo fenomeno erano tali da contenere e condizionare la più modesta speculazione sul debito, sulle merci e sul commercio delle casate bancarie fiorentine.

I Veneziani avevano perfettamente capito che stabilire il loro controllo monopolistico sull’emissione e sulla circolazione della moneta dei monarchi dell’epoca, permetteva il controllo dell’economia mondiale.

Le banche veneziane apparivano ingannevolmente trascurabili rispetto a quelle fiorentine, in realtà disponevano di enormi maggiori risorse. Il vantaggio stava nel fatto che l’impero veneziano agiva come un organismo unico, perseguendo i propri interessi con mezzi non solo bancari, ma anche commerciali, diplomatici, militari e spionistici. In questo periodo, il commercio veneziano su lunga distanza avveniva attraverso le “mude di Stato”, convogli navali ben scortati, dove tutto era deciso dagli organi dello Stato, centralizzava inoltre le attività di diverse zecche ed i traffici in metalli preziosi e dove ai mercanti veniva concessa facoltà di appalto (le carature).

Nel 1310 il commercio dei preziosi e della moneta era l’interesse principale dei traffici veneziani. Dietro agli speculatori c’erano naturalmente le grandi garanzie di consorzi finanziari e protezioni politiche.
Ogni anno partiva da Venezia la “muda dei lingotti” composta da venti-trenta galere, armate e scortate senza badare a spese, che navigava alla volta del Mediterraneo Orientale oppure dell’Egitto. Cariche principalmente di argento, le navi facevano ritorno a Venezia cariche di oro sotto ogni forma, monete di tutti i tipi, lingotti, barre, lamine ecc. I profitti di questo commercio erano di gran lunga superiori a quelli degli usurai in Europa, sebbene i Veneziani non si trattenessero dal fare profitti anche su quel fronte.
Risulta che i finanzieri veneziani prescrivevano ai propri agenti a bordo delle mude di trarre da questi scambi di argento e oro un profitto minimo dell’ 8% per ogni sei mesi di viaggio, annuo minimo del 16% e probabilmente medio del 20%.

Il Doge Tommaso Mocenigo nel 1423 tenne un famoso discorso alla Serenissima Signoria per illustrare l’arricchimento favoloso di Venezia in cui diceva che l’esportazione aveva raggiunto i 10 milioni di ducati l’anno, attraverso la flotta commerciale. I profitti delle esportazioni ammontavano a 2 milioni di ducati, altrettanto quelli delle importazioni, per cui si può calcolare un profitto annuo del 40%, considerati i due viaggi annui delle grandi mude. La zecca veneziana coniava ogni anno 1.200.000 ducati d’oro e 800.000 ducati d’argento, di cui 20 mila andavano annualmente in Egitto ed in Siria, 100 mila sul territorio italiano, altri 50 mila oltremare e ancora altri 100 mila in Inghilterra ed altrettanto in Francia.

Frutto della libera impresa? Certamente no. Questo “successo” criminale è il risultato dell’“usura come religione di Stato”. Dalla metà del Duecento l’oro orientale veniva saccheggiato dai Mongoli in Cina, che fino ad allora aveva posseduto l’economia più ricca del mondo, ed in India, oppure veniva estratto nelle miniere del Sudan e del Mali in Africa e venduto ai mercanti veneziani in cambio di argento europeo enormemente sopravvalutato. L’argento proveniva dalla Germania, dalla Boemia e dall’Ungheria, ma veniva sostanzialmente venduto tutto ai veneziani che pagavano in oro.
Coniazioni che non erano veneziane cominciarono a sparire, prima dall’impero bizantino, nel XII secolo, poi nei domini mongoli ed infine in Europa nel XIV secolo.

In questo contesto le crociate che si protrassero tra il 1099 ed il 1291 ebbero un unico principale strategico effetto: espandere e rafforzare l’impero commerciale di Venezia in Oriente. Venezia era la base per il trasporto navale dei crociati, dava loro crediti ed esigeva in compenso “favori” di natura strategica. Attraverso le crociate Venezia si assicurò il controllo su Tiro, Sidone, Acri e Lajazzo e consolidò incontrastata il dominio economico su Costantinopoli e su tutti i traffici che passavano per i Dardanelli. Queste città erano le teste di ponte costiere delle “vie della seta” che attraversando le regioni del Mar Nero e del Mar Caspio giungevano in Cina ed in India. Nel periodo della dominazione mongola, che va dal 1230 al 1370, queste vie erano una sorta di “vie consolari” battute e mantenute dalla cavalleria mongola.

L’impero dei mongoli è stato il più grande della storia ed il più crudele, riuscendo a sterminare con le guerre e le malattie circa il 15% della popolazione mondiale nel giro di un secolo, distruggendo tutte le grandi e fiorenti città, dalla Cina occidentale all’Irak e dal Nord della Russia all’Ungheria, comprese le città commerciali che facevano concorrenza a Venezia. L’alleanza con i mongoli, insieme al monopolio dell’oro del Sudan e del Mali, conferì ai veneziani il monopolio sulla circolazione monetaria nei decenni che precedettero la disintegrazione finanziaria del XIV secolo.

I Mongoli sostituirono la circolazione aurea nei territori conquistati in Cina ed in India con monete d’argento e cartamoneta. Gli scambi con i veneziani avvenivano a Tabriz e Trebisonda, città commerciali persiane cadute sotto i mongoli, e nella città portuale di Tana nel Mar nero. Qui l’oro veniva scambiato con l’argento proveniente dall’Europa. Complementare al traffico monetario era la tratta degli schiavi (esattemene come ora sta avvenendo con i “clandestini”). L’argento era sottoforma di sommi veneziani, dei piccoli lingotti che “erano il mezzo comune di scambio in tutti i kanati mongoli e tartari... La richiesta di argento dall’estremo oriente era in continuo aumento, e i Veneziani erano in grado di spingere al rialzo il prezzo dell’argento sebbene ve ne fossero quantità enormi, che arrivavano a Venezia dall’Europa.

Il sistema di alleanze messo a punto dai Veneziani comprendeva non solo i crociati, le città guelfe nere e gli angioini, ma spesso anche il papato, tanto che i Mongoli signori della Persia giunsero ad avanzare ai re ed ai papi europei proposte di crociate congiunte…… Grazie al diritto esclusivo di commerciare con i Mamelucchi d’Egitto concessole da Papa Giovanni XXII, Venezia stabilì il suo monopolio sullo scambio di argento sopravvalutato e di schiavi forniti dai mongoli in cambio dell’oro del Sudan e del Malì.

Sorge una domanda …: <Come è possibile che la finanza liberistica, senza un governo che ne avesse il controllo, abbia condotto al tracollo tutte le economie del continente eurasiatico? Come hanno potuto poche banche in un angolo d’Europa mettere in moto una catastrofe del genere? ECCO LA RISPOSTA…..

Alla fine del XIII e XIV secolo, Venezia gestiva tutta la coniazione e gestiva i cambi monetari del più grande impero della storia, quello mongolo, allo scopo di saccheggiare e distruggere le popolazioni sottomesse. Venezia aveva esteso il proprio controllo sul resto del commercio e della coniazione di ciò che restava dell’impero bizantino e dei sultanati mamelucchi nell’Africa Settentrionale. In questo stesso periodo Venezia trasformò la circolazione monetaria in tutto l’oriente, da monete in oro a monete d’argento, e di contro trasformò la circolazione monetaria in Europa e Bisanzio, dove la base monetaria d’argento fu sostituita dalla base aurea.

Mercanti e finanzieri veneziani potevano contare su profitti fino al 40% annui su investimenti a breve e questo su una base economica mondiale dell’epoca dove il profitto reale, ovvero il “surplus” produttivo, nei casi migliori si aggirava tra il 3 ed il 4% all’anno. Le operazioni bancarie dei Guelfi Neri, dei banchieri fiorentini, rappresentavano un aspetto, un’articolazione delle manipolazioni finanziarie veneziane, e davano tassi di profitto che pur non raggiungendo i record veneziani, erano abbastanza alti da erodere la base produttiva reale, sottraendo investimenti all’economia così accentuando la depressione.

La speculazione monetaria globale sulle economie europee diretta da Venezia, determinò il contesto che causò quel tracollo finanziario. Dal 1275 al 1325, il rapporto tra i valori medi del prezzo dell’oro e quello dell’argento aumentò in maniera continua, disturbato solo da qualche fluttuazione a breve termine, dal valore di 8 a 1 si arrivò così al valore di 15 a 1. Facendo leva sul monopolio dell’oro mongolo e africano, Venezia s’impossessò della produzione di argento europea. “Venezia deteneva la posizione centrale nel mercato mondiale dei lingotti ed attirò su Rialto un volume rapidamente crescente di acquisti e vendite stimolate dal continuo cambiamento dei prezzi dei due metalli preziosi. Contestualmente dal 1290 fino al terzo decennio del secolo successivo si registrò un rapido aumento dei prezzi dei beni più importanti.

In questo processo di rapida speculazione, Venezia estese il proprio controllo sulle economie circostanti, compresa quella tedesca, dove si concentrava la produzione di argento, del ferro e dei suoi manufatti. Negli anni successivi al 1320 i mercanti veneziani non si recavano più in Germania, ma i tedeschi furono costretti ad aprire le loro succursali a Venezia, nel “Fondego de’ Tedeschi”. A Rialto si effettuavano transazioni bancarie senza valuta, si concedevano crediti in conto corrente, si stipulavano contratti di credito, si creava quindi “denaro bancario” su cui speculare. Non si trattò di una raffinata innovazione nel mondo bancario, ma più semplicemente del controllo sulla speculazione mondiale: essi avevano il controllo sulle riserve.

In effetti, le famose “LETTERE CAMBIALI” dei banchieri fiorentini erano soltanto una forma molto grezza dei “contratti derivati” che si sono diffusi come un cancro nell’economia mondiale sullo scorcio del XX secolo. I banchieri fiorentini imponevano di fatto una tangente a chiunque esercitasse il commercio in quanto, date le numerose monete esistenti che Stati e città mettevano in circolazione nella propria giurisdizione, i commercianti erano continuamente costretti ad effettuare cambi presso quelle banche. Questa taglia sul commercio, che passa sotto il nome di “LETTERA CAMBIALE” (presentata come l’innovazione creativa dell’epoca), diventò poi sempre più gravosa perché doveva coprire anche i rischi derivanti dalle fluttuazioni generate dal monopolio veneziano dei metalli preziosi. La LETTERA CAMBIALE del XIV secolo costava mediamente un 14% d’interesse, un costo del tutto paragonabile al prestito ad usura.

Venezia costrinse l’Europa a passare al sistema aureo risucchiando tutto l’argento in circolazione. Dal 1300 al 1309 l’Inghilterra acquistò all’estero 90 mila sterline di argento per la coniazione, mentre nel periodo 1330-1339 riuscì ad importarne solo 1000 sterline. “Ma per tutto il decennio 1330-1340 a Venezia non si registrò nessuna scarsità di argento”.

I banchieri fiorentini avevano così ampio spazio per speculare con il loro famoso fiorino d’oro. Ma nel periodo 1325-1345 si registra un capovolgimento della situazione. Il rapporto del prezzo dell’oro su quello dell’argento iniziò rapidamente a diminuire,da 15 a 1 scese a 9 a 1. Quando il prezzo dell’argento cominciò a risalire, dopo il 1330, a Venezia l’offerta di argento era enorme. Nel periodo 1340-1350 “lo scambio internazionale di oro e argento tornò ad intensificarsi notevolmente”, contemporaneamente ad una nuova impennata dei prezzi dei beni. I banchieri fiorentini adesso si trovarono intrappolati con tutti i loro investimenti denominati in oro, mentre il prezzo del metallo scivolava al ribasso, quasi dimezzando il capitale e potere d’acquisto.

I superprofitti della Serenissima nella speculazione globale continuarono fino ai disastri bancari ed alla disintegrazione del mercato avvenuti tra il 1345-47 ed in seguito.
Nel periodo 1330-1350 la Peste Nera si diffuse nella Cina meridionale sterminando tra i 10 ed i 20 milioni di persone, mentre veniva esaurendosi la furia saccheggiatrice dell’impero mongolo. L’economia monogola si fondava su branchi sterminati di cavalli che rovinarono l’agricoltura di tutto l’immenso dominio dei Khan. Questo flagello ebbe anche l’effetto di costringere i roditori portatori della peste, confinati da secoli in una ristrettissima regione del nord-est della Cina, a migrare verso le regioni meridionali e sulle vie che verso occidente portano al Mar Nero.

Nel 1346 la cavalleria mongola diffuse la peste nelle cittadine della Crimea, sul Mar Nero, da dove i traffici marini la portarono in Sicilia, nel 1347, e da qui si diffuse in tutt’Europa.

La popolazione europea ristagnava sugli stessi livelli di sviluppo da circa quarant’anni, concentrandosi per motivi di sopravvivenza maggiormente nelle città dove le infrastrutture, soprattutto quelle idriche e sanitarie, risultavano sempre più fatiscenti e malandate. I famosi ponti di Firenze, ad esempio, furono edificati tutti nel XIII e nessuno nel XIV secolo. La situazione alimentare cominciò a peggiorare con lo scarseggiare dei raccolti o addirittura a causa di carestie di cui si è accennato. Durante le crociate, la pur limitatissima istruzione classica che si impartiva nei monasteri fu duramente perseguitata dall’ordine cistercense di Bernardo di Chiaravalle che predicava le crociate. Nel 1225 il papato proibì che nei monasteri si istruissero i giovani esterni, gli “oblati”, l’unica forma di istruzione per chi non appartenesse ad una famiglia particolarmente facoltosa, con le immaginabili conseguenze.

Dio permette il male perché combattendolo diventiamo esseri umani migliori, scrisse Gottfried Leibniz, il filosofo e matematico tedesco che nel XVII secolo fondò la scienza dell’economia fisica. Ci sono invece quelli, e sono molti, che con Thomas Malthus oggi pensano che una grande epidemia mortale sia il modo migliore per risolvere il problema di presunte eccedenze demografiche. Tra il 1360 ed il 1370 Matteo Villani scrisse nelle sue cronache che mentre ci si attendeva che dopo la peste vi fosse un’abbondanza di prodotti per i pochi sopravvissuti, in realtà si verificarono nuove carestie ed aumenti disordinati dei prezzi.

I prezzi infatti aumentarono per l’arco di un’intera generazione e, a partire dal 1380, si verificarono una forte deflazione ed il contemporaneo crollo dei salari.

Nel 1401 re Martino I d’Aragona espulse i “banchieri italiani” dal suo regno. Nel 1403 Enrico IV impose leggi molto rigide sulle loro attività in Inghilterra. Nel 1409 nelle Fiandre i banchieri genovesi furono sbattuti in prigione. Nel 1410 tutti i mercanti italiani furono espulsi da Parigi. Quando Luigi XI diventò re di Francia nel 1461, regolò gli affari monetari e finanziari del paese sotto la sua sovranità per facilitare la rapida costruzione di città e infrastrutture. Sia nella Francia di Luigi XI, che nella contemporanea Inghilterra di Enrico VII “forme di economia nazionale mercantilista si combinavano ad una risoluta ostilità alle tecniche finanziarie italiane”.


Della serie …. Nulla di nuovo sotto il sole…