Documentazione riepilogativa sul
complotto del Britannia.
(ancora da completare)
Documento diffuso dall'Executive Intelligence Review e dal Movimento Solidarietà
14
gennaio 1993
La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni in Italia: il saccheggio di un'economia nazionale
La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni in Italia: il saccheggio di un'economia nazionale
Documento
diffuso dall'Executive Intelligence Review e dal Movimento
Solidarietà
Il 2 giugno
1992, a pochi giorni dall'assassinio del giudice Giovanni Falcone, si
verificava in tutta riservatezza un altro avvenimento che avrebbe
avuto conseguenze molto profonde sul futuro del Paese. Il
«Britannia», lo yacht della corona inglese, gettava l'ancora presso
le nostre coste con a bordo alcuni nomi illustri del mondo
finanziario e bancario inglese: dai rappresentanti della BZW, la
ditta di brockeraggio della Barclay's, a quelli della Baring &
Co. e della S.G. Warburg. A fare gli onori di casa era la stessa
regina Elisabetta II d'Inghilterra. Erano venuti per ricevere alcuni
esponenti di maggior conto del mondo imprenditoriale e bancario
italiano: rappresentanti dell'ENI, dell'AGIP, Mario Draghi del
ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell'IRI, Giovanni Bazoli
dell'Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti funzionari della
Banca Commerciale e delle Generali, ed altri della Società
Autostrade.
Si trattava di
discutere i preparativi per liquidare, cedere a interessi privati
multinazionali, alcuni dei patrimoni industriali e bancari più
prestigiosi del nostro paese. Draghi avrebbe detto agli ospiti
inglesi: "Stiamo per passare dalle parole ai fatti". Da
parte loro gli inglesi hanno assicurato che la City di Londra era
pronta a svolgere un ruolo, ma le dimensioni del mercato borsistico
italiano sono troppo minuscole per poter assorbire le grandi somme
provenienti da queste privatizzazioni. Ergo: dovete venire a Londra,
dove c'è il capitale necessario.
Fu poi affidato
ai mass media, ed al nuovo governo Amato, il compito di trovare gli
argomenti, parlare dell'urgente necessità di privatizzare per
ridurre l'enorme deficit del bilancio. Al grande pubblico, sia il
governo che i mass media hanno risparmiato la semplice verità che il
"primo mobile" dietro tutto il dibattito sulle
privatizzazioni è costituito dalle grandi case bancarie londinesi e
newyorkesi. L'obiettivo è semplicemente quello di prendere il
controllo di ogni aspetto della vita economica italiana sfruttando le
numerose scuse di ingovernabilità, corruzione, partitocrazia,
inefficienza, ecc.
Prima di
esercitarci a calcolare quante lirette il ministero del Tesoro
potrebbe ottenere dalla svendita dell'ENI, dell'IRI ecc., cerchiamo
di mettere in luce i presupposti filosofici dei banchieri londinesi e
dei loro associati newyorkesi della Goldman Sachs, Merrill Lynch e
Salomon Brothers e dei loro sostenitori nel Fondo Monetario
Internazionale, nell'OCSE e nel mondo dei mass media. Queste grandi
finanziarie di New York e Londra su cui si fonda il potere
anglo-americano gestiscono il gioco della liberalizzazione dei
mercati internazionali. Ne scrivono e riscrivono le regole per
massimizzare di volta in volta i profitti. A Bruxelles contano su sir
Leon Brittan, fratello del Samuel Brittan direttore del Financial
Times. Fino al gennaio 1993 Leon Brittan è stato Commissario della
CEE per la Politica di Concorrenza ed è l'autore delle regole
bancarie ed assicurative che hanno favorito Londra, tanto criticate
sia dalla Germania che dagli altri paesi membri della CEE. Sir Leon
era un esponente del governo della Thatcher quando improvvisamente,
nel gennaio del 1986, si dimise per andare a Bruxelles.
Nonostante le
illusioni di grandeur, Parigi è un centro finanziario che non può
tener testa alla prepotenza anglo-americana, e lo stesso discorso
vale per i finanzieri di Francoforte, così come quelli del Sol
Levante. Pur disponendo delle maggiori istituzioni bancarie e
assicurative, il Giappone non è in grado di offrire una valida
resistenza alle manipolazioni finanziarie anglo-americane.
La
globalizzazione e il "Big Bang" londinese
La formula che
gli anglo-americani tentano oggi di spacciare ai governi di tutto il
mondo, convincerli cioè a svendere i patrimoni dello stato per
ottenere qualche liquido con cui far fronte al dissesto del bilancio
ed al tempo stesso "promuovere la competitività", fu
collaudata dalla finanza londinese alla fine del 1979, in particolare
dalla N.M. Rothschild & Co., che coordinò la svendita generale
per conto del governo della "Lady di Ferro".
Così un
ristretto gruppo di finanzieri ha dominato per quasi 12 anni
l'economia inglese. Principalmente si tratta di esponenti della
Società Mont Pelerin, come i consiglieri della Tatcher Karl Brunner,
sir Alan Walters, lord Harris of High Cross ed altri ancora. La
Società Mont Pelerin è stata presieduta internazionalmente fino a
poco tempo fa dall'economista arciliberista Milton Friedman,
ascoltatissimo dal Presidente Ronald Reagan.
Friedman è
l'architetto della politica economica imposta al Cile dalla dittatura
di Augusto Pinochet. Essa si riduce all'idea di tenere il governo
fuori da ogni intervento e lasciare che gli interessi privati
facciano il bello e cattivo tempo. Friedman fece scalpore quando
propose che l'eroina e gli altri stupefacenti venissero considerati
alla stregua di una "merce" normale, in modo da permettere
al consumatore di "scegliere liberamente" se acquistarla o
meno.
Sotto la
rivoluzione "liberistica" imposta dalla Thatcher sono state
messe all'asta le imprese migliori dell'Inghilterra, dalla British
Petroleum alle compagnie del gas e dell'acqua, fino alla industria
militare Vickers. Da quando la Thatcher è stata costretta ad
andarsene vengono pian piano alla luce informazioni sempre più
precise di come ad arricchirsi spudoratamente in quella
"privatizzazione" furono principalmente gli amici della
Lady di Ferro.
D'altro canto
quel "collaudo" dimostra come non sia affatto vero che
l'industria, una volta privatizzata, diventi più efficiente. Dopo 13
anni di thatcherismo, quella britannica è la più arretrata tra le
grandi economie europee. Negli investimenti per la Ricerca e Sviluppo
del settore macchine industriali ed automobile, l'Inghilterra è
stata superata anche dall'Italia. L'essenza del "liberismo"
thatcheriano è dare la priorità assoluta alla finanza, a scapito
dello sviluppo industriale dell'economia nazionale.
Questa
degenerazione britannica toccò il fondo nell'ottobre del 1986,
quando il governo decretò la completa deregolamentazione finanziaria
della City di Londra, che fu chiamata il "Big Bang". Poco
meno di un anno dopo, la borsa di Londra crollò insieme a tutte le
altre, travolte dalla frenetica spirale di speculazioni e truffe da
essa iniziata.
In Inghilterra
il “problema” delle ditte di proprietà statale, come la British
Leyland o la Jaguar, non era il fatto che esse fossero di proprietà
dello stato, ma piuttosto che questo stato, amministrato dal governo
della Thatcher, non volle impegnarsi in una oculata politica di
pianificazione degli investimenti industriali, cosa caratteristica ad
esempio del MITI in Giappone, perché quel governo esprimeva gli
interessi dell'alta finanza e non quelli delle capacità produttive
del paese. Oggi però dovrebbe essere chiaro anche ai non addetti che
la deregolamentazione finanziaria londinese ha inesorabilmente
portato alla rovina economica nazionale. L'Inghilterra versa nella
peggiore crisi economica dagli anni Trenta, con la disoccupazione che
è tornata ai livelli del 1979, quando si insediò la Thatcher. Il
deficit del bilancio lievita ad un tasso annuale del 7% del PNL.
Però,
contrariamente alla situazione del 1979, oggi il governo britannico
non dispone più di una propria base industriale con cui mettere in
moto tutta una serie di investimenti nel settore industriale.
Ma, a
prescindere dal saccheggio compiuto da sir Jimmy Goldsmith, Jacob
Rothschild, lord Hanson e compagnia dietro il paravento del
"liberismo ad oltranza", la privatizzazione decisa della
Thatcher va collocata nel contesto della strategia anglo-americana
per aprire altre regioni economiche a forme molto sofisticate di
saccheggio neo-coloniale, perpetrato con la "mano invisibile"
tanto cara alle teorie liberistiche. Questa "mano invisibile"
anglo-americana regola i meccanismi di fusioni ed acquisizioni
operate da altri governi nella misura in cui questi sono così
stupidi e sprovveduti da richiedere e pagare profumatamente
"consulenze finanziarie" proprio a quella cricca di
finanzieri.
Alla fine degli
anni Settanta, quando a Londra la Thatcher cominciò lo scontro col
sindacato per ridurre i salari e cominciò a svendere le imprese
statali ai suoi amici, a Wall Street gente come Donald Reagan,
presidente della Merrill Lynch, e Walter Wriston, capo della
Citicorp, si impegnarono a lanciare una "rivoluzione
finanziaria" sulla stessa falsariga che in America fu chiamata
"deregolamentazione dei mercati finanziari".
Quando Ronald
Reagan diventò presidente nel 1981, e prestò ascolto a Milton
Friedman, la deregulation fece innumerevoli proseliti a Washington.
Nei 12 anni che seguirono, fino alla sconfitta di George Bush nel
novembre del 1992, Washington voltò le spalle ad una ben dosata
politica di supervisione e regolamentazione governativa di attività
particolarmente importanti come quella delle compagnie aree e degli
autotrasporti, per non parlare dell'economia in generale. Le leggi
che erano state escogitate negli anni della Grande Depressione per
proteggere la proprietà di piccoli risparmiatori e azionisti furono
abrogate o ignorate negli anni Ottanta per fare spazio alla "legge
del Far West" che prevede la sopravvivenza del più cattivo.
Negli anni
ruggenti della deregulation la filosofia negli USA era "tutto è
ammesso, dillo con i soldi". Così al crimine organizzato fu
permesso di reinvestire i proventi illeciti nei regolari flussi
finanziari, per poterli così usare nelle scalate speculative a Wall
Street condotte da gente come Mike Milken, Ivan Boesky ed altri.
Grazie al proliferare delle "obbligazioni spazzatura", o
altre tecniche speculative, si potevano acquisire imprese sane i cui
nuovi proprietari trascuravano la politica di sviluppo a lungo
termine su cui cresceva l'impresa, cercando solo di realizzare
profitti a breve termine. Fu così che la TWA Airlines finì in mano
a Carl Icahn, uno speculatore della banca Drexel. In questi anni
Ottanta, i principali istituti finanziari di Londra e New York, come
la S.G. Warburg, la Barclays, la Midland Bank, la Citicorp, la Chase
Manhattan, la Goldman Sachs, la Merrill Lynch, la Salomon Bros.,
lanciarono la "globalizzazione dei mercati finanziari". Il
presupposto di partenza era che se tutti i paesi avessero abolito i
controlli sui flussi di capitali ed altri meccanismi, la nuova
finanza anglo-americana avrebbe potuto accedere a nuovi, grandi spazi
economici, altamente profittevoli. I grandi nomi della finanza erano
alla caccia di nuovi organismi sani su cui esercitare la propria
distruttiva opera parassitaria, e così sedussero molti ambienti
bancari, sia europei che giapponesi, a rinunciare alla naturale
diffidenza per unirsi al gioco speculativo anglo-americano e
"vincere".
Uno dei sofismi
utilizzati a questo proposito era quello che descriveva il sistema
finanziario del paese preso di mira come "superato",
"obsoleto", "non abbastanza dinamico"; insomma,
da riformare per promuovere la nuova ondata di finanza creativa. Così
l'intera Europa fu accusata di soffrire di "Eurosclerosi".
Tutti i trucchi sono buoni per costringere le economie nazionali a
sollevare le barriere protettive e permettere alla finanza
anglo-americana di dilagare su ciò che essa definiva mercati
"arretrati" o "provinciali" e sfruttare la
maggiore scaltrezza finanziaria per saccheggiarli.
La
grande speculazione e la finanza angloamericana
Il vero e
proprio inizio di questa dissennata corsa alla deregulation e alla
"globalizzazione" dei mercati finanziari in stile
thatcheriano, a cui assistiamo attualmente in Italia, risale alla
fine degli anni '60, inizio anni '70. A partire da quel periodo, le
grandi banche internazionali americane, come la Chase Manhattan e la
Citicorp, iniziarono a cercare nuovi impieghi del capitale che
fruttassero alti profitti, in quanto gli investimenti nell'economia
interna americana non erano così profittevoli come quelli
all'estero. Nel 1971, decine di miliardi di dollari avevano già
abbandonato gli Stati Uniti ed erano approdati in Europa. L'astuto
Sir Siegmund Warburg, presidente della omonima e celebre banca
britannica (la stessa a cui il ministro del Tesoro Barucci si è
recentemente rivolto per stimare il valore immobiliare dell'IMI), si
recò allora a Washington per convincere il Tesoro e il Dipartimento
di Stato USA a far rimanere all'estero quei capitali, in modo che
Londra potesse usarli per ripristinare il ruolo di "banchiere
mondiale" che la City aveva svolto fino al 1914. È ironico che
il primo prestito in "Eurobbligazioni" sottoscritto da
Siegmund Warburg fosse quello di 15 milioni di dollari lanciato dalla
Società Autostrade dell'IRI.
La vera trovata
di Warburg fu però l'uso dei dollari espatriati in Europa, i
cosiddetti "Eurodollari", che si rivelarono l'innovazione
finanziaria più destabilizzante degli anni settanta. Il Presidente
Nixon, seguendo il consiglio di George Shultz e Paul Volcker,
annunciò il 15 agosto 1971 che da quel momento in poi Washington e
la Federal Reserve, la banca centrale USA, si sarebbero rifiutate di
riscattare in oro i dollari posseduti dalle altre banche centrali.
Washington stracciò, con atto unilaterale, gli accordi di Bretton
Woods del 1944 che stabilivano l'ordine monetario postbellico. Di
colpo, il mondo si ritrovò ostaggio di un regime di "tassi di
cambio fluttuanti" che trasformò il sistema monetario basato
sul dollaro in una gigantesca arena speculativa.
Nel maggio 1973,
sei mesi prima che scoppiasse la "crisi petrolifera",
l'oligarchia politico-finanziaria angloamericana si riunì
segretamente nella località svedese di Saltsjoebaden per discutere
la fase successiva del "ricatto" esercitato per mezzo del
dollaro sull'economia mondiale.
Tra gli ospiti
di quel ristretto gruppo di potenti, riuniti sotto l'egida del Club
Bilderberg, c'era il Presidente della FIAT Gianni Agnelli. Si
discusse che bisognava persuadere l'OPEC ad aumentare il prezzo del
petrolio del 400%. Dato che dal 1945 il petrolio si acquistava solo
con dollari, la mossa avrebbe automaticamente quadruplicato la
domanda di dollari sul mercato internazionale.
Henry Kissinger,
un altro ospite della riunione segreta del Bilderberg, battezzò
l'idea col nome di "riciclaggio dei petrodollari". I suoi
interlocutori, come Lord Richardson della British Petroleum, Robert
O. Anderson dell'americana Atlantic Ritchfield Corporation (ARCO) o
lo svedese Marcus Wallenberg, non erano interessati a discutere come
impedire i catastrofici effetti sull'economia mondiale derivanti da
un quadruplicamento del prezzo del petrolio, ma, piuttosto, l'intera
discussione in quella sperduta località della Svezia ruotò attorno
all'idea di come assicurare che poche, scelte banche americane
controllassero la nuova ricchezza dei "petrodollari" in
mano araba. Si trattava quindi di come aumentare il potere nelle mani
delle banche di Londra e New York, del cartello petrolifero e dei
loro amici europei, alle spese del resto del mondo.
Negli anni '80,
dopo due crisi petrolifere e l'equivalente shock della stretta
creditizia pilotata da Paul Volcker alla guida della Federal Reserve
(1979-1982), la deregulation finanziaria di Thatcher e Reagan creò,
nel contesto di un valore "fluttuante" del dollaro e del
riciclaggio di prestiti in petrodollari che rifinanziavano il deficit
dei paesi del Terzo Mondo, la cornice per un nuovo riciclaggio,
quello dei narco-dollari. La liberalizzazione delle transazioni
finanziarie in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni è
servita infatti ad aprire le porte al riciclaggio dei proventi
illeciti della droga, che nel 1990 si stimava in un valore tra i 600
e i 1000 miliardi di dollari.
La
Lugano connection
A questo punto
occorre dedicare qualche riga alle finanziarie di Wall Street che
svolgono un ruolo decisivo nella "privatizzazione" delle
imprese pubbliche italiane. Sono tre le ditte impiegate all'uopo come
"consulenti" del governo Amato: Goldman Sachs, Merrill
Lynch e Salomon Brothers. Lo stesso ministro dell'Industria Giuseppe
Guarino, contrario a una "svendita" del patrimonio
industriale raccolto nelle ex Partecipazioni Statali, sembra riporre
fiducia in queste tre finanziarie, i cui dirigenti incontrò il 17
settembre scorso nel corso di un viaggio a New York.
Sono molti
attualmente a ritenere la Goldman Sachs la più potente finanziaria
di Wall Street, posizione conquistata almeno a partire dal 1991,
quando scoppiarono gli scandali di "insider trading" che la
coinvolgevano assieme alla Salomon Brothers. Il presidente della
Goldman Sachs, Robert Rubin, sarà il capo del Consiglio per la
Sicurezza Nazionale del Presidente Clinton. Quel posto dovrà essere
un "ufficio di guerra economica" in stile britannico, per
fronteggiare quelli che l'ex capo della CIA William Webster chiamò
"gli alleati politici e militari dell'America che sono i suoi
rivali economici". Rubin non è il primo dirigente della Goldman
Sachs che ricopre una carica nel governo americano. Prima di lui
l'attuale vicepresidente, Robert Hormats, fu consigliere di Henry
Kissinger al Dipartimento di Stato e un altro "senior partner",
John Whitehead, fu sottosegretario di Stato con Ronald Reagan. La
Goldman Sachs é uno dei più influenti manipolatori del prezzo del
petrolio e del valore delle monete, che determina tramite la
sussidiaria J. Aron & CO., che opera sul mercato delle merci e
dei "futures". La Goldman Sachs ha rafforzato la sua
presenza in Italia aprendo nel 1992 un "ufficio operativo"
a Milano. Più avanti vedremo il ruolo cruciale che essa ha svolto
nella crisi della lira e nella partita delle privatizzazioni.
La Salomon
Brothers domina, assieme alla Goldman Sachs, il commercio di greggio
mondiale. La Salomon possiede anche la svizzera Phibro (Philipp
Brothers), che opera nel settore delle materie prime. Nel 1989 la
Phibro fu coinvolta in un caso di riciclaggio di milioni di dollari
ricavati dalla vendita di cocaina negli Stati Uniti. I soldi venivano
riciclati dalla banda chiamata "La Mina", che lavorava per
il cartello della coca colombiano, nella Phibro Precious Metal
Certificates.
Dopo gli
scandali di "insider trading" e speculazione su Buoni del
Tesoro USA scoppiati nel 1991, a cui abbiamo accennato sopra, ci fu
un completo rinnovo dei vertici della finanziaria. Il nuovo
presidente, attuale azionista di maggioranza, è Warren Buffett,
originario di Omaha, Nebraska.
Buffett, oltre
ad essere amico intimo di George Bush, è anche il principale
azionista del Washington Post e della rete televisiva ABC. Egli
possiede vasti interessi anche nell'American Express (del cui
consiglio di amministrazione fa parte Henry Kissinger) e nella Wells
Fargo Bank.
Lo stesso
Buffett si dice sia implicato in uno scandalo di pedofili del
Nebraska che facevano capo, fino alla fine degli anni '80, al
finanziere repubblicano Larry King, della banca Franklin Credit
Union. Buffett era il patrocinatore e il sostenitore di King. La
Warren Buffett Foundation, la fondazione intestata a suo nome,
finanzia cause antidemografiche, come quelle lanciate da
organizzazioni americane come Negative Population Growth, Planned
Parenthood, l'Associazione per la Sterilizzazione Volontaria e il
Population Council.
La Merrill Lynch
è famosa per il ruolo che svolse in una sensazionale operazione di
riciclaggio del denaro tra l'Italia, la costa orientale degli Stati
Uniti e Lugano. Si tratta della "Pizza connection", che
portò al processo in cui la famiglia mafiosa newyorchese dei Bonanno
fu accusata di aver riciclato circa 3,5 miliardi di dollari fino a
quando fu arrestata, nel 1984. I Bonanno avevano usato, per i loro
traffici, la sede centrale di New York e gli uffici di Lugano della
Merrill Lynch. L'aspetto più sconcertante del processo sulla “Pizza
connection” in Svizzera e a New York è che essi ignorarono
completamente la complicità dei vertici della Merrill Lynch.
All'epoca del processo il ministro del Tesoro americano, responsabile
per le ispezioni sul riciclaggio del denaro, era l'ex presidente
della Merrill Lynch Donald Reagan. Il processo si concluse con alcune
multe nei confronti di funzionari minori della sede luganese della
finanziaria americana, e la storia finì lì. Come è noto, la
Merrill Lynch é stata incaricata dall'IRI, il 9 ottobre scorso, di
preparare la privatizzazione del Credito Italiano.
Abbiamo fin qui
identificato alcuni fatti poco noti che riguardano le tre finanziarie
di Wall Street chiamate a svolgere un ruolo decisivo nella
valutazione e nella stessa privatizzazione delle imprese pubbliche
italiane. Queste finanziarie accedono a dati di grande importanza e
delicatezza che riguardano alcune delle più valide imprese europee e
si posizionano in assoluto vantaggio come "consiglieri per la
privatizzazione". Naturalmente, tutto secondo una rigida etica
professionale e senza conflitti di interesse!
Moody's
e la guerra della lira
Quasi in
contemporanea con la nomina del governo Amato, l'agenzia di "rating"
newyorchese Moody's annunciò, con la sorpresa di molti, che avrebbe
retrocesso l'Italia in serie C dal punto di vista della credibilità
finanziaria. Questo, senza che le cifre del debito italiano fossero
cambiate drasticamente (la tendenza al deficit era nota almeno da due
anni) e senza alcun rischio di insolvenza da parte dello stato. La
giustificazione di Moody's fu che il nuovo governo non dava
sufficienti garanzie di voler apportare seri tagli al bilancio dello
stato. Negli ambienti finanziari internazionali, Moody's è famosa
perché usa come arma "politica" la sua valutazione di
rischio, tale che beneficia interessi angloamericani a svantaggio di
banche rivali o, come nel caso dell'Italia, di intere nazioni. Il
presidente della Moody's, John Bohn, ha ricoperto un'alta carica nel
ministero del Tesoro USA sotto George Bush.
La mossa di
Moody's costrinse il governo Amato ad alzare i tassi d'interesse sui
BOT per non perdere gli investitori. Essa segnalò anche l'inizio di
una guerra finanziaria contro la lira. Secondo fonti ben informate, i
più aggressivi speculatori contro la lira, nell'attacco del luglio
scorso, furono la Goldman Sachs e la S.G. Warburg di Londra.
Ribadiamo che la speculazione ebbe un movente principalmente
politico, non finanziario, e che, purtroppo, ebbe successo. L'Italia
fu costretta ad abbandonare lo SME e il governo varò un piano di
tagli e annunciate privatizzazioni per ridurre il deficit.
Ciò che Amato
non ha mai detto è che la svalutazione della lira nei confronti del
dollaro ha dato agli avventurieri della Goldman Sachs e delle altre
finanziarie di Wall Street un grande "vantaggio". Calcolato
in dollari, l'acquisto delle imprese da privatizzare è diventato,
per gli acquirenti americani, circa il 30% meno costoso. Lentamente,
specialmente dopo l'ultimo attacco speculativo dell'inizio dell'anno,
la lira si va assestando sul valore "politico" di circa
1000 lire a marco, esattamente il valore indicato dalla Goldman Sachs
nel luglio scorso come “valore reale” della moneta italiana.
Come mai questa
"coincidenza"? Come mai la finanziaria newyorchese ha
appena aperto un ufficio operativo in un paese che secondo i suoi
criteri sprofonda nella crisi? Come mai un economista come Romano
Prodi, "senior adviser" della Goldman Sachs, suggerisce di
privatizzare alla grande, vendendo tutte e tre le banche d'interesse
nazionale (Banca Commerciale, Credito italiano, Banca di Roma), più
il San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena e l'Ina
(Convegno presso l'Assolombarda il 30 settembre 1992)?
Lo stesso Prodi,
che nel passato è stato a capo dell'IRI, oggi sembra aver sposato
completamente la causa neoliberista angloamericana, tanto da aver
proposto, a metà novembre, che l'Europa applichi verso i paesi
dell'est una politica simile a quella dell'accordo di libero scambio
siglato tra Stati Uniti, Messico e Canada (NAFTA). Un tale trattato
darebbe il via libera alle grandi imprese per trasferire le loro
attività all'est, dove la forza lavoro costa meno (è quanto è
avvenuto ai confini tra Stati Uniti e Messico). Ciò aggraverebbe la
crisi all'ovest e condurrebbe, nel medio-lungo termine, ad un
abbassamento della produttività anche all'est, dato che la
manodopera sottopagata è anche meno qualificata.
Il governo
italiano deve scartare una simile politica, così come deve
abbandonare il circolo vizioso dei tassi d'interesse alti che, per
difendere la moneta, alimentano lo stesso deficit che si dichiara di
voler combattere. Tra il giugno e il settembre scorso, i tassi sono
aumentati paurosamente, da circa l'11% al 20% prima che la lira
abbandonasse lo SME. Tuttora la Banca d'Italia mantiene il tasso
d'interesse al 13%. Tenuto conto che ogni punto di aumento degli
interessi si traduce in 15.000 miliardi in più sul debito dello
stato a breve termine, il governo italiano è stato messo alle corde
dagli speculatori angloamericani (e dai loro complici italiani)
aumentando la pressione per privatizzare a prezzi di svendita.
Andando avanti
su questa strada, l'Italia commetterà un suicidio economico. La sola
via d'uscita è l'adozione di una politica creditizia nazionale del
tipo che ai tempi di Enrico Mattei si sarebbe considerata ovvia.
Occorre ripristinare il controllo sui cambi, congelare una parte del
debito con una moratoria di 10-15 anni (salvaguardando naturalmente
gli interessi dei piccoli risparmiatori), parallelamente all'avvio di
una aggressiva politica di investimenti, favorita da crediti
agevolati, nelle infrastrutture moderne, in concerto con i partner
europei. Per far ciò, occorre che lo stato si riappropri della piena
sovranità monetaria, il che significa che per finanziare gli
investimenti esso non debba bussare alla porta della Banca d'Italia,
la quale ha finora, incostituzionalmente, battuto moneta a nome dello
stato per poi rivendergliela a tassi "di mercato", cioè da
usura. I motivi che hanno portato al "divorzio" tra il
Tesoro e la Banca d'Italia, e cioè l'improduttivo finanziamento del
debito, esistono, ma combattere il malgoverno non significa eliminare
il governo. Perciò occorre porre fine al "divorzio" tra
Bankitalia e Tesoro.
Una efficace
repressione dell'attività di riciclaggio del denaro da parte della
mafia, compreso quello investito nei BOT, accompagnata da un astuto
cambio della moneta (la famosa “lira pesante”), darebbe alle
istituzioni dello stato una posizione di forza e la credibilità e la
fiducia popolare. L'alternativa è il caos e la guerra civile.
28
giugno 1993
Come difendere l’industria nazionale dalla speculazione e dalle svendite indiscriminate
Come difendere l’industria nazionale dalla speculazione e dalle svendite indiscriminate
Ampia
rappresentanza delle forze politiche italiane alla conferenza del
Movimento Solidarietà e dell'Executive Intelligence Review
Il Movimento
Solidarietà e la Executive Intelligence Review hanno tenuto
il 28 giugno 1993 a Milano, presso la sala FAST, una conferenza sul
tema dell'economia, affrontando in particolare aspetti come le
moderne tecniche di speculazione finanziaria, le privatizzazioni ed i
grandi programmi di sviluppo.
La
caratteristica forse più singolare della conferenza è stata la
partecipazione dei rappresentanti di numerose forze politiche, anche
disparate o divergenti, animati dal comune interesse di approfondire
la conoscenza del pensiero economico dell'economista americano Lyndon
LaRouche e di misurarsi con questo.
Da qui
l'opportunità di dedicare il primo numero del bollettino della nuova
associazione alla pubblicazione degli atti del convegno, per mettere
a disposizione di un più vasto pubblico le analisi e le
documentazioni che gli specialisti dell'EIR William Engdahl e
Claudio Celani hanno esposto nelle loro relazioni, come pure gran
parte dei numerosi contributi con i quali parlamentari, giornalisti e
altri partecipanti hanno arricchito e animato il convegno.
"La
speculazione selvaggia sui mercati internazionali e la «geopolitica»
britannica sono le due facce della stessa medaglia oligarchica",
ha affermato nella sua breve introduzione ai lavori il giornalista
dell'EIR Paolo Vitali, moderatore della conferenza. Vitali ha
sottolineato che le speranze di milioni e milioni di persone, a
seguito della caduta dei regimi comunisti del 1989, non sono state
tradite dal fatale sprigionarsi di eventi e forze che non subivano
più le strettoie della divisione del mondo in rigide sfere
d'influenza, come asseriscono certe teorie sociologiche, ma sono
state negate da un preciso piano di destabilizzazione "geopolitico",
che è partito ancor prima del crollo del muro di Berlino, e dalla
incapacità e codardia delle forze politiche ed élite europee di
reagire a questa nuova e precisa minaccia.
"L'economista
e politico americano Lyndon LaRouche, che sconta innocente in un
carcere del Minnesota da quasi cinque anni una montatura giudiziaria
orchestrata dall'amministrazione Bush" - ha continuato Vitali -
"ha tracciato tempo fa il paragone tra le situazione post 1989
con il periodo che precedette la Prima Guerra mondiale. A quel tempo
l'oligarchia imperiale britannica sviluppò il concetto della
«geopolitica» per far fronte alla minaccia rappresentata dalla
potenzialità di sviluppo economico e sociale in tutta l'Europa
continentale, l'«Eurasia». Due guerre mondiali, il Trattato di
Versailles e l'accordo di Yalta, furono le dirette conseguenze di
questa strategia «geopolitica»".
"Con l'avvicinarsi del crollo della Cortina di Ferro nel 1989, i circoli oligarchici anglo-americani decisero che bisognava a tutti i costi impedire che la riunificazione tedesca costituisse un trampolino di lancio per una nuova politica di indipendenza, integrazione e sviluppo economico per tutto il continente, ripristinando il progetto de Gaulle di «un'Europa dall'Atlantico agli Urali». Gli attacchi alla Germania come «Quarto Reich», partiti dalle più alte sfere londinesi, e fatti propri dai nazi-comunisti serbi, l'aggressione del Panama, la guerra del Golfo, le atrocità interminabili nell'ex Jugoslavia, la destabilizzazione economica dell'Est europeo con le folli «terapie d'urto» dei liberisti, l'eliminazione fisica di chi proponeva un piano alternativo di sviluppo, come il Presidente della Deutsche Bank Alfred Herrhausen, sono tutti aspetti di questa complessa e articolata strategia di destabilizzazione".
"Con l'avvicinarsi del crollo della Cortina di Ferro nel 1989, i circoli oligarchici anglo-americani decisero che bisognava a tutti i costi impedire che la riunificazione tedesca costituisse un trampolino di lancio per una nuova politica di indipendenza, integrazione e sviluppo economico per tutto il continente, ripristinando il progetto de Gaulle di «un'Europa dall'Atlantico agli Urali». Gli attacchi alla Germania come «Quarto Reich», partiti dalle più alte sfere londinesi, e fatti propri dai nazi-comunisti serbi, l'aggressione del Panama, la guerra del Golfo, le atrocità interminabili nell'ex Jugoslavia, la destabilizzazione economica dell'Est europeo con le folli «terapie d'urto» dei liberisti, l'eliminazione fisica di chi proponeva un piano alternativo di sviluppo, come il Presidente della Deutsche Bank Alfred Herrhausen, sono tutti aspetti di questa complessa e articolata strategia di destabilizzazione".
"Questa è
la stessa trama destabilizzatrice che in Italia, soprattutto con gli
eventi dell'ultimo anno, mira a frantumare le fondamenta stesse del
nostro essere nazione sovrana indipendente. Guerre e
destabilizzazioni, politiche economiche super liberiste, una
speculazione selvaggia che ha trasformato i mercati finanziari
internazionali in un'unica casa da gioco d'azzardo, sono elementi
solidali di una strategia oligarchica, come contiamo di dimostrare,
che o è fermata e sconfitta o può farci sprofondare, in un futuro
tutt'altro che lontano, in un altro catastrofico conflitto".
La
piaga della "finanza derivata" e l'economia dell'illusione
Discorso di William Engdahl, esperto economico dell'EIR di Wiesbaden, autore di «A Century of War», un libro che descrive il ruolo del petrolio come un'arma fondamentale nella politica anglo-americana dei Nuovo Ordine Mondiale.
Discorso di William Engdahl, esperto economico dell'EIR di Wiesbaden, autore di «A Century of War», un libro che descrive il ruolo del petrolio come un'arma fondamentale nella politica anglo-americana dei Nuovo Ordine Mondiale.
L'Italia è vittima di una destabilizzazione sistematica ad opera di
forze coordinate interne ed estere. La componente solitamente meno
compresa è quella estera, rappresentata da un cartello di
speculatori stranieri impegnati a distruggere il paese con denaro
preso a prestito.
Nel 1948 l'Italia era considerata di importanza strategica nella NATO
per arginare il diffondersi del comunismo in Europa, in particolare
nei Balcani e nel Mediterraneo. In questo contesto di strategia
geopolitica una crescita economica del Paese era ritenuta una
componente essenziale.
Un discorso differente è invece quello che riguarda l' indipendenza
dell'Italia. Howard K. Smith, un "insider" americano, parlò
apertamente della spartizione del bottino della seconda guerra
mondiale nel 1949 affermando: "Fino al 1946 le potenze
vittoriose si sono disputate gran parte del vuoto lasciato da Hitler
(...) l'Italia, occupata dalle potenze occidentali, sarebbe diventata
un'area in cui avrebbe predominato l' influenza britannica".
Questo predominio fu rappresentato principalmente dall'influenza che
la Mediobanca avrebbe assunto sotto Enrico Cuccia. La Mediobanca fu
posta sotto il controllo di fatto della Lazard Freres di Londra, una
banca che è proprietà di un raggruppamento estremamente influente
dell'establishment britannico, il Pearson Group PLC. Il Pearson Group
controlla anche la rivista «Economist» ed il quotidiano «Financial
Times», che si sono recentemente distinti nella campagna di attacchi
alle istituzioni economiche e politiche italiane.
Dal 1989 però, e dalla fine del regime comunista di Mosca,
l'establishment anglo-americano si è reso conto del fatto che
un'Italia economicamente stabile e collegata ad un'Europa
continentale che si rafforza attorno ad una Germania riunificata e
pro- spera non serviva più agli scopi di un'egemonia globale
atlanticista, anzi, rappresentava una minaccia.
La crisi finanziaria in cui sia l'America che l'Inghilterra versavano
nel 1989 si avvicinava alle dimensioni della Grande Depressione degli
anni Trenta. Per far fronte all'erosione della propria egemonia gli
anglo-americani adottarono ulna dottrina tanto semplice quanto folle:
cercare in ogni modo di distruggere la stabilità dell'Europa
continentale per impedire che essa potesse fungere da polo
antagonista all'egemonia globale anglosassone.
Questo è il contesto in cui si colloca tutto ciò che viene fatto
contro l'Italia ed il resto dell'Europa.
George
Soros e la finanza derivata
Il crac della borsa di Wall Street, nell'ottobre del 1987, coincise
con il lancio di una strategia radicalmente nuova da parte delle
grandi finanziarie, quali la Salomon Brothers, Merrill Lynch, Morgan
Stanley e di grandi banche americane quali la Citicorp, Bankers'
Trust, J.P. Morgan & Co. Il crollo record di 508 punti
dell'Indice Dow Jones, verificatosi il 19 ottobre 1987, fu causato da
un'incredibile innovazione introdotta nelle transazioni finanziarie.
Le grandi finanziarie acquistavano contratti a termine, i "futures",
non di ditte specifiche, ma su interi indici delle azioni
borsistiche. Le finanziarie di Wall Street ricorsero ad un trucco,
acquistando le "futures" ad un costo inferiore del 10%
rispetto alle azioni stesse, ed influenzando così un rialzo del
prezzo delle azioni sul mercato di New York. Ma poteva funzionare
anche nel- la direzione opposta. Questo portò alla bolla speculativa
che esplose il 19 ottobre, con l'effetto acceleratore dei sistemi
computerizzati. I computer di Wall Street erano stati preprogrammati
in modo da vendere automaticamente al verificarsi di una caduta dei
mercati. Fu un gioco che spinse i mercati finanziari verso una
paralisi irreversibile, ma a quella paralisi non ci si arrivò solo
grazie al precipitoso intervento stabilizzatore da parte delle Banche
Centrali. Proprio qui stava il trucco escogitato a Wall Street:
avevano inventato un sistema di gioco d' azzardo in cui non si
rischia di perdere! Molto meno rischioso della gestione di un casinò
a Las Vegas.
Il gruppo di Wall Street cominciò allora a sperimentare quest'arma
terribile sulla borsa di Tokio. Nel novembre del 1989 l'Indice Nikkei
Dow toccava i record storici di 39 mila Yen. Ma all'inizio
dell'estate successiva quel valore era già dimezzato. A scatenare il
tracollo furono le stesse case americane: Salomon Bros. Morgan
Stanley, Merrill Lynch, Bankers Trust, Goldman Sachs, con un nuovo
apporto dei brokers londinesi.
Una conseguenza delle operazioni per approfittare del drastico
ribasso della borsa di Tokio (le cosiddette "put options" o
"short-selling") fu il ritiro pressoché completo degli
investimenti giapponesi nel resto del mondo, mentre le banche del Sol
Levante versavano nella crisi peggiore del dopoguerra.
Nel frattempo Washington e Londra esercitavano notevoli pressioni
sulle altre capitali del Gruppo dei Sette perché favorissero la
"liberalizzazione" dei mercati finanziari e la
partecipazione al "gioco globale". All'Uruguay Round dei
negoziati GATT per la prima volta si discusse il libero scambio dei
servizi finanziari.
Parallelamente alla "globalizzazione" dei mercati
finanziari mondiali si verificò senza chiasso uno sviluppo
estremamente importante.
Il direttore della Central Intelligence Agency William Webster decise
di istituire una nuova sezione della CIA, il Directorate V.
Annunciando la decisione a Los Angeles, Webster sottolineò l'
importanza della tendenza alla "globalizzazione dei mercati
finanziari internazionali" come un'area d'interesse per la nuova
CIA. Finita l'era della guerra fredda, Webster vedeva una nuova
missione per la CIA nello spionaggio contro "gli alleati
politici e militari dell'America che al tempo stesso sono nostri
concorrenti economici".
Dopo cinque anni di collaudi e affinamenti condotti a Tokio ed a Wall
Street le tecniche innovative di Wall Street venivano sottoposte alla
prova più ambiziosa: far crollare le valute nazionali, ad onta delle
più autorevoli autorità bancarie centrali, mettendo i governi con
le spalle al muro. A Wall Street furono introdotti nuovi strumenti
finanziari che non avevano alcun collegamento concreto con il flusso
reale di scambi commerciali e di investimenti. A questi strumenti fu
dato il nome di "derivatives", o finanza derivata.
A Wall Street svilupparono le operazioni nel regno dei tutto astratto
dei contratti finanziari a termine, che poi furono estese anche alle
valute; si stabilì così un mercato di "futures" tra vari
paesi e non solo nell'ambito di una sola borsa. Si scommette sul
prezzo futuro di una valuta rispetto ad un'altra, ad esempio il marco
rispetto al dollaro, oppure sul valore di un titolo di stato di un
paese rispetto a quello di un altro, ad esempio entro una scadenza di
90 giorni.
Si tenga ben presente però che l'oggetto della compravendita non è
un Buono del Tesoro italiano e un qualsiasi altro corrispettivo
straniero, ma si scommette, così come si fa alle corse, sul loro
valore entro una data scadenza.
Le grandi finanziarie di Londra e di Wall Street si attrezzarono con
i sistemi di Contrattazione computerizzata che collegarono con le
principali piazze finanziarie internazionali realizzando così la
globalizzazione finanziaria di cui parlava Webster.
I nuovi contratti furono chiamati "derivati" in quanto il
loro prezzo deriva da un titolo azionario o finanziario reale, o da
una merce, ma non esiste un collegamento con la sua diretta
proprietà. A Chicago, ad esempio, iniziarono la contrattazione di
contratti a termine dell'indice del Nikkei Dow di Tokio, e lo stesso
fecero da re. A Tokio non svolgevano contrattazioni simili e non ne
capivano l'importanza. Gli sforzi del ministero delle Finanze
nipponico per ottenere la cooperazione di Singapore a sospendere tali
scambi fallirono in blocco. Gli organi d'informazione statunitensi e
britannici criticarono quell'iniziativa giapponese come "passata
di moda".
La
Moody's crea l'ambiente controllato
Nei giorni successivi al "no" danese nel referendum del 2
giugno 1992 sul Trattato di Maastricht gli "insider" di
Wall Street prepararono il grande attacco. Nel luglio 1992 gli
operatori più importanti furono messi al corrente del fatto che
"entro la fine dell'anno ciascuna moneta dello SME in Europa
avrebbe cominciato a fluttuare liberamente". I manager delle
finanziarie decisero pertanto di sbarazzarsi dei titoli e delle
valute europee. Tra i candidati più ovvi per tale svendita
spiccavano l'Italia, come pure l'Inghilterra.
Ciò di per sé però non bastava. Il rischio era troppo alto e
bisognava andare invece sul sicuro, perché sullo SME vegliava uno
schieramento di alcune tra le più potenti banche centrali del mondo,
a partire dalla Bundesbank, legate da un patto di reciproca difesa. A
questo punto si ricorse ai servigi della Moody's Investor Service,
una ditta che stabilisce il "rating" a Wall Street,
stabilisce cioè il grado di affidabilità dei titoli.
Anni addietro l'Italia aprì le porte agli investimenti stranieri, e
vi fu costretta per finanziare il deficit, dando anche agli stranieri
l'opportunità di acquistare Buoni dei Tesoro. Bastava allora
convincere questi investitori stranieri che il debito statale
italiano valesse poco più di quello di un paese come la Bolivia, ed
essi si sarebbero precipitati a liquidare quei titoli, costringendo
così la Banca d'Italia ad offrire tassi di interesse sostanzialmente
più alti per i nuovi Bot.
Questo è il compito che la Moody's ha assolto a partire dal giugno
dello scorso anno. Iniziò annunciando di aver posto il debito
italiano nella lista del "credit watch", cioè sotto
osservazione per una probabile retrocessione, benché non si stesse
verificando alcuna crisi di solvibilità. Poi ci fu la serie di
retrocessioni del debito italiano decretate dalla Moody's seguite
ogni volta da un rialzo dei tassi di interesse che il Tesoro era
costretto ad offrire agli acquirenti dei suoi titoli.
Ogni aumento dell'l% del tasso d'interesse sul vasto debito pubblico
italiano significa un aumento medio del deficit governativo di circa
17 mila miliardi di lire, che in pochi minuti brucia i disperati
tagli effettuati sulla spesa pubblica. Le nuove emissioni a tassi
maggiorati erano interpretati dalla Moody's come un nuovo segnale di
"inaffidabilità", e giù un altro votaccio sulla pagella
dell'Italia. Si tratta evidentemente di un circolo vizioso
deliberatamene messo in moto dalla Moody's che culminò nel settembre
scorso!
Ma cos'è questa Moody's, questo ente privato che ha finito col
decidere il destino di nazioni e governi sovrani? Chi gli conferisce
tanta autorità? Perché ad esempio non ha dato pollice verso anche
agli Stati Uniti, visto che il debito pubblico di quel paese ha
superato i 4 mila miliardi di dollari?
Nel mondo finanziario la Moody's è famosa come "la più
politica" agenzia di "rating". È presieduta da John
Bohn, che nell'amministrazione di Bush era un funzionario ad alto
livello del Tesoro. Mentre votava una retrocessione dopo l'altra
dell'Italia l'estate scorsa la Moody's dava un rapporto molto
positivo sulle grandi banche, come la Citicorp, che avevano esteso
prestiti all'impero immobiliare canadese Olimpia & York di Paul
Reichmann finito in una bancarotta clamorosa. I Reichmann erano
legati politicamente ad Henry Kissinger, a lord Carrington ed
all'oggi famoso George Soros. La Moody's e premurosa con gli amici.
La cosa è persino più palese. Proprietaria della Moody's è la Dun
& Bradstreet Inc. che è anche proprietaria del Wall Street
Journal. Nel consiglio d'amministrazione della Dun & Bradstreet
figurano i principali direttori delle più importanti finanziarie di
Wall Street che hanno condotto la speculazione contro la lira, e che
sono anche quelle che al tempo stesso "prestavano consulenze"
al governo italiano su come condurre il delicato processo di
privatizzazione delle imprese di stato. II conflitto d'interessi è
ovvio.
Nel consiglio d'amministrazione della M.J. Evans, strettamente legata
alla Moody's, figura un personaggio che al tempo stesso è nel
consiglio di amministrazione della Morgan Stanley ed un altro ancora,
R.A. Hansen, figura nella direzione della ,J.P. Morgan e della
Merrill Lynch! Un altro ancora è Charles Raikes, che è stato
consigliere della Federal Reserve dal 1958.
George Leung, amministratore delegato della Moody's Investors
Service, dichiarava su Financial World del 18 febbraio: "La
gente è sempre più disillusa nei confronti del governi, sempre più
preoccupata degli imbrogli e problemi che vede nei governi e finisce
col cercare qualcuno che possa indipendentemente far luce su tanta
confusione. Questo è il nostro ruolo". Questa dichiarazione
d'intenti è anteriore alla campagna della Moody's contro l'Italia.
Chi ha affidato alla Moody's il potere di decidere sulle nazioni?
Nessuno. Moody's ha colmato il vuoto creatosi con la paralisi dei
governi, costringendo ad accettare i propri diktat con la minaccia di
voti sfavorevoli sul debito. La Moody's però ha solo preparato il
terreno. L'attacco alla lira è stato sferrato dalla speculazione
della finanza derivata, diretta a colpire il "fianco debole"
dello SME.
George
Soros ed i suoi amici
Con l'avvicinarsi in Francia della scadenza referendaria su
Maastricht del 19 settembre,un raggruppamento di banche e speculatori
di Wall Street, diretto da George Soros, uno strano personaggio di
origine ungherese, lanciò una formidabile ondata speculativa per
costringere la lira a svalutare ed uscire di conseguenza dallo SME.
Ecco come funzionò.
La finanza derivata, teniamolo presente, consiste in scambi in cui
non si cedono o acquistano azioni o titoli reali, ma che
rappresentano solo un accordo tra le due parti a compiere pagamenti
ad una futura scadenza in rapporto al rendimento di una merce o una
valuta. L'esempio tipico è dato da una banca che compie
un'operazione commerciale "derivata" mettendo a
disposizione soltanto il 10% dei valore nominale del contratto, cioè
il deposito di garanzia. Grazie ai collegamenti personali con banche
come la Citicorp di New York, George Soros è stato capace di far
crollare la lira e la sterlina, come pure la corona svedese, il tutto
soltanto con denaro preso a prestito, senza versare più del 5% per
il margine di garanzia collaterale!
In sostanza Soros ha dato come garanzia soltanto 50 milioni di
dollari di titoli per ottenere una linea di credito, dalla Citicorp
ed altre banche, di un miliardo di dollari. Un prestito a tempi
brevissimi, per scommettere sulla svalutazione forzata della lira nei
giorni in cui in Francia si teneva il referendum! Il rapporto
speculativo del suo denaro è stato di 20:1. Dal canto loro la
Bundesbank, la Banca d'Italia e le altre banche per difendere la
propria valuta hanno invece dovuto sborsare il prezzo completo degli
acquisti. Si stima che la Bundesbank abbia speso a settembre 60
miliardi di dollari nelle varie operazioni di difesa delle monete
dello SME. Utilizzando i "derivatives", Soros e Wall Street
hanno potuto spuntarla sulla Bundesbank con soli 3 milioni di dollari
(20:1) !
In una tipica operazione di swap con i "derivatives"
condotta da Soros lo scorso autunno si sono acquistate lire con i
dollari, le lire sono poi state convertite in marchi tedeschi al
tasso fisso di cambio dello SME. Poi è stata la volta della Moody's
a declassare l'Italia, mentre gli organi di informazione
internazionali si davano da fare a descrivere la gravità della crisi
economica e politica del paese. Le corporation hanno avuto paura ed
hanno cominciato a vendere lire. La valuta italiana è così passata
da 765 lire contro il marco all'inizio di settembre alle 980 lire
solo quattro settimane più tardi.
A quel punto Soros poteva acquistare lire fortemente scontate (il 28%
in meno) e ripagare il suo debito iniziale, prima che scadesse la
data del suo contratto, per il quale aveva inizialmente versato solo
il 5%. II profitto che ne ha ricavato si calcola sul 560%, cioè
circa 280 milioni di dollari. Ma nessuna autorità di vigilanza
sarebbe potuta intervenire perché l'operazione è stata condotta
"fuori registro", o come si suoi dire "Over-the-Counter",
direttamente tra le due parti interessate senza altre formalità.
Naturalmente, se la lira si fosse rivalutata del 5% l'impero di Soros
sarebbe stato spazzato via all'istante. Soros però non è soltanto
un giocatore d'azzardo "fortunato".
Intendo infatti spiegare che Soros è riuscito a condurre le sue
recenti operazioni speculative in grande stile perché ha accesso
alle informazioni più riservate dei centri di potere. Nel caso della
crisi dello SME, come poteva sapere Soros quale delle 12 valute
sarebbe stata colpita in quale giorno preciso?
Ex funzionari della Federal Reserve USA spiegano privatamente che
Soros ha ricevuto informazioni riservate da parte di un amico che
nella Federal Resene di New York lavora nel settore delle valute
internazionali. La Fed di New York dispone, minuto per minuto, delle
informazioni sull'andamento delle monete direttamente dalle banche
centrali europee. Se Soros può disporre di tali informazioni il suo
gioco è garantito.
Ma chi c'è dietro questo personaggio misterioso? Soros opera
attraverso la Quantum Fund NV, una compagnia off-shore registrata
nelle Antille Olandesi.
Opera insieme ad un raggruppamento internazionale che potrebbe essere
chiamato il gruppo dei Rothschild. Nel consiglio di amministrazione
della Quantum Fund figura Nils Taube, socio d'affari di lord
Rothschild, e sir James Goldsmith, imparentato ai Rothschild. Altro
membro del Quantum è Richard Katz che a Milano dirige la Rothschild
Italia, S.p.A. Altri esponenti del Quantum sono Isidore Albertini
della ditta di brocheraggio milanese Albertini & Co.; Alberto
Foglia, capo della Banca del Ceresio di Lugano; e Edgar Picciotto, un
socio di affari di Carlo de Benedetti. Picciotto dirige inoltre la
CBITDB Union Bancaire Privée di Ginevra.
Si dice poi che al Quantum partecipino segretamente anche Marc Rich,
uno svizzero latitante che operava nel settore dei metalli preziosi e
del petrolio, ed il mercante di armi israeliano Shaul Eisenberg.
Soros inoltre è colui che ha introdotto in Polonia ed in Russia il
professore di Harward Jeffrey Sachs, il guru della terapia d'urto che
causa il caos economico incontrollabile e profitti astronomici per
gruppi ristretti di potere. Degno di nota è il fatto che Marc Rich
ed Eisenberg sono stati tra gli investitori più attivi nell'Europa
orientale e nel CSI a partire dal 1990.
Torniamo alla "Dottrina Webster" della CIA, promulgata nel
1989. All'epoca di Bush Washington era impegnata a sabotare l'unità
economica europea. L'estate scorsa il governo USA fece strane
dichiarazioni che ebbero l'effetto di scuotere le parità delle
monete europee in rapporto al dollaro, come fase preliminare della
crisi di settembre. Responsabile di quella operazione fu l'allora
viceministro del Tesoro David Mulford, che oggi presiede la Credit
Suisse First Boston di Wall Street. Prima di andare a Washington nel
1982 Mulford era uno dei direttori della Merrill Lynch, quando allora
era presieduta da Donald Reagan, che andò anche lui a Washington
come ministro del Tesoro sotto il Presidente Reagan.
Degno di nota è che una delle primissime nomine fatte dal Presidente
Clinton riguarda Robert Rubin, presidente della Goldman Sachs,
finanziaria più prestigiosa di Wall Street. Oggi Rubin è il
Direttore dei nuovo Consiglio di Sicurezza Economica Nazionale della
Casa Bianca. Esperti osservatori di Washington ritengono che il nuovo
consiglio sia stato creato per coordinare l'applicazione della
Dottrina Webster direttamente dalla Casa Bianca.
Le alte sfere della CIA, magari attraverso ex funzionari, hanno fatto
opera di reclutamento nei consigli di amministrazione delle grandi
finanziarie di Wall Street. Ai dirigenti delle finanziarie che
accettano, la CIA impartisce un particolare addestramento ed essi
tornano poi al loro mondo di Wall Street. Conosco personalmente un
banchiere svedese che è stato invitato a Washington il novembre
scorso ad un seminario dove l'ex capo della CIA William Colby teneva
un discorso sul tema della nuova missione di spionaggio economico dei
servizi segreti USA. Colby è personalmente impegnato a reclutare i
dirigenti delle grandi finanziarie spiegando loro che adesso i
mercati finanziari globali sono considerati un "area di
interesse della sicurezza nazionale USA". Il seminario era
sponsorizzato dalla Merrill Lynch e dalla Borsa di New York.
L'esplosione
della finanza derivata
"Senza la crescita enorme delle operazioni speculative della
finanza derivata la crisi dello SME non si sarebbe mai verificata",
ha affermato recentemente un esperto banchiere europeo. Mentre nel
1987 le banche centrali furono in grado di difendere la stabilità
dello SME a costi minimi, nel 1992 esse sono state ridotte
all'impotenza dai meccanismi della finanza derivata.
Invece di svolgere una regolare attività di compravendita nei
mercati a termine regolari, come quello di Chicago, dove le banche
sono costrette a versare un deposito di garanzia ed a rendere nota
quotidianamente la propria esposizione creditizia, i grandi di Wall
Street eludono la sorveglianza del governo trattando direttamente,
"Over the Counter", tra banca e banca o tra banca e
finanziarie straniere. La transazione non figura nel bilancio della
banca cosicché gli investitori non possono sapere quanto è il
rischio che l'istituto in questione corre di fronte ad un crollo del
già enorme mercato dei "derivatives".
La classifica dei grandi speculatori in "derivatives" era
guidata lo scorso anno dalla Citicorp, che vantava operazioni per
circa 1400 miliardi di dollari. Seconda era la Chemical Bank con 1300
miliardi di dollari, terze a pari merito la J.P. Morgan e la Bankers
Trust, con mille miliardi di dollari ciascuna. Sono contratti che
riguardano azioni, petrolio, obbligazioni come pure gli swap
internazionali di valuta e gli swap dei tassi d'interesse. Per quanto
riguarda queste ultime due voci, i contratti "derivati"
oltre confine hanno già raggiunto l'astronomico ammontare di 4 mila
miliardi di dollari.
La graduatoria dell'esposizione su questo mercato dei contratti
"derivati" continua con la Merrill Lynch, per 720 miliardi
di dollari, la Salomon Bros., con 730 miliardi di dollari e la Morgan
Stanley con 300 miliardi di dollari. Queste attività hanno aperto
tutto un vasto settore di informatica bancaria sofisticatissima, che
impiega i supercomputer CRAY per processare i dati in parallelo,
necessari per gestire la contrattazione automatica senza frontiere
che avviene grazie a programmi capaci di far fronte ai complessi
problemi di calcolo del rischio a variabile multipla. Ma, a parte
questi aspetti pittoreschi, a fare profitti con la speculazione
"derivata" so- no solo gli "insider traders" di
New York. Il gioco d'azzardo è truccato, con la complicità di
Washington. Cercare di capire gli aspetti "tecnici" della
manovra con la quale Soros è riuscito ad intascare un miliardo di
dollari di profitti speculando sulla sterlina a settembre è fatica
sprecata. Certo è però che giornali finanziari quali il Wall Stret
Journal ed il Financial Times fanno il possibile per destare
l'impressione opposta.
Il
che fare
Governi e banche centrali dell' Europa continentale hanno sin ora
respinto le nuove tecniche speculative della finanza derivata. Alcuni
banchieri svizzeri e tedeschi sono convinti che l'offensiva condotta
dagli anglo-americani con la finanza derivata sia “più pericolosa
di una guerra nucleare con la Russia”. Il 24 novembre, poco dopo la
crisi dello SME, il direttore generale della Banca per i Regolamenti
Internazionali di Basilea Alexander Lamfalussy ha dichiarato ad un
gruppo di banchieri a Londra: "Volete sapere perché molti
colleghi delle banche centrali nutrono le mie stesse preoccupazioni
che queste attività possano rappresenta- re problemi di natura
sistemica nel sistema finanziario internazionale?" Lamfalussy
teme il ripetersi del fenomeno verificatosi col crac borsistico del
1987: "l'attività sui mercati derivati potrebbe avere notevoli
ripercussioni nei sotto- stanti mercati a pronti, al punto da
accentuare proprio quella instabilità dei prezzi contro la quale si
pensava di dare un'assicurazione con alcuni strumenti derivati".
Lamfalussy ha inoltre spiegato che la grande esposizione negli
strumenti fuori bi- lancio da parte delle banche "ha reso più
opaca la natura e la distribuzione del rischio nelle operazioni sul
mercato finanziario". Ha infine prospettato lo scenario
peggiore: "Qualora si verificasse un problema in un istituto le
altre ditte reagirebbero immediatamente e drasticamente. Potrebbero
ritirare improvvisamente ed indiscriminatamente linee di credito, e
persino disimpegnarsi da operazioni in corso. Il tutto aumenterebbe
la possibilità del verificarsi improvviso di un blocco globale di
liquidità".
Anche un personaggio di spicco a Wall Street come Henry Kaufman, che
è stato il primo economista della Salomon Brothers, si è detto
preoccupato perché la speculazione "derivata" fa
intravedere "una prossima catastrofe colossale perle banche
americane". Altri così bollano queste novità nel sistema
finanziario: "ventiseienni con il computer stanno costruendo la
bomba all'idrogeno finanziaria." Tuttavia non fanno nulla per
controllare la situazione. La primavera scorsa Lamberto Dini condusse
uno studio per il Fondo Monetario Internazionale, ma il suo rapporto
è stato praticamente censurato, la stampa non ha ottenuto delle
copie. Ad una mia domanda nel corso di una conferenza a febbraio,
Lamberto Dini ha risposto: "Le banche americane e londinesi
svolgono il grosso delle attività in questo processo. Dobbiamo
determinare innanzitutto cosa stia effettivamente accadendo.
Alcuni
segni di resistenza
Più recentemente il Presidente della Commissione Finanza e Banche
del Congresso USA, l'on. Henry Gonzalez, ha richiesto alla Federal
Reserve ed alla Commissione "Securities & Exchange" del
governo di condurre un'indagine approfondita sulle attività
all'estero del Quantum Fund di George Soros. Gonzalez ha chiesto di
sapere come Soros possa fare profitti astronomici come quelli di
settembre, quanto del suo capitale provenga dalle banche americane,
in che misure le banche USA siano coinvolte nelle speculazioni di
quel fondo, ed il ruolo specifico degli strumenti finanziari derivati
nelle grandi manovre speculative di Soros. Questa è solo la
superficie dei fatti.
Dietro le quinte infuria uno scontro tra le autorità bancarie
europee e quelle americane. Le autorità d'oltre oceano sono
radicali, ritengono che le banche statunitensi abbiano il diritto di
non imporre alcuna restrizione alla finanza derivata. Ritengono
infatti che questo sia il modo migliore di allentare la pressione
sulle grandi banche USA, che disporrebbero in questo modo di maggiori
capitali. Praticamente permettono che venga assicurato solo il
margine netto di rischio, e non tutto il contratto. Le autorità di
vigilanza europee non permettono una cosa del genere. Ritengono che
sia dovere della banca assumersi al completo il rischio di
un'insolvenza su tutto il valore nominale di un contratto.
Lo scorso ottobre il Congresso degli USA approvò la Futures Trading
Practives Act of 1992, una legge che prevede che gli swap Over the
Counter, cioè i contratti a pronti e termine di valuta o sui tassi
di interesse che avvengono tra le due parti senza essere registrati,
non rientrino più nella categoria dei "futures", dei
contratti a termine, dando vita in tal modo ad una proliferazione
cancerosa di carta finanziaria fuori dal controllo di qualsiasi
autorità.
L'economista americano Lyndon LaRouche ha recentemente lanciato la
proposta di imporre una tassa globale e ben coordinata su queste
attività speculative, perché tassarle sarebbe il modo migliore di
renderle meno attraenti per gli speculatori e quindi sgonfiare la
pericolosa bolla. LaRouche ha proposto una tassa dello 0,1 % sul
valore nominale, non sul valore "netto", di ciascuna
transazione derivativa. "Questa è la bolla di John Law (nella
Francia del 18mo secolo) all'ennesima potenza. La vulnerabilità di
tutto il sistema finanziario, il caos e la distruzione delle
strutture di produzione fisica sono potenzialmente incalcolabili,
pertanto occorre mettere sotto controllo il fenomeno". La
settimana scorsa intanto George Soros ha fatto sapere che tornerà
alla carica. Questa volta è deciso a spezzare uno degli elementi
portanti della coesione europea: il suo nuovo obiettivo è quello di
spezzare il legame che unisce il marco tedesco al franco francese.
I
protagonisti della destabilizzazione italiana
Discorso di Claudio Celani, italian desk dell'EIR di Wiesbaden.
Discorso di Claudio Celani, italian desk dell'EIR di Wiesbaden.
All'inizio dei gennaio scorso, l'EIR pubblicò un documento
intitolato "La strategia anglo-americana dietro le
privatizzazioni italiane: il saccheggio di un'economia nazionale".
In quello studio, inviato ad alcuni organi di stampa, alle forze
politiche ed alle istituzioni, si delineava un quadro preoccupante di
attacco all'economia italiana nel contesto della cosiddetta
"globalizzazione dei mercati", cioè la realizzazione di un
unico sistema economico mondiale in cui non vi sarebbe stato più
alcun controllo sui movimenti e sulla creazione di capitali.
In quel documento si riferiva un episodio passato inosservato, e che
invece rivestiva una grandissima importanza. II 2 giugno 1992, a
pochi giorni dalla morte del giudice Falcone, si svolgeva una
riunione semisegreta tra i principali esponenti della City, il mondo
finanziario londinese, ed i manager pubblici italiani, rappresentanti
del governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati
ministri nel governo Amato. Oggetto di discussione: le
privatizzazioni. La cosa più grave è che questa riunione si svolse
sul panfilo Britannia, di proprietà della regina Elisabetta II, la
quale fu presente ai colloqui. Il Britannia, dopo aver imbarcato gli
ospiti italiani a Civitavecchia, prese il largo ed uscì dalle acque
territoriali. Avvenne dunque che i potenziali venditori delle aziende
da privatizzare (governo e manager pubblici) discussero di ciò con i
potenziali acquirenti, i banchieri londinesi, a casa di questi
ultimi. Non sappiamo che cosa si siano detti questi signori, sappiamo
solo che il direttore del Tesoro Mario Draghi provò tale imbarazzo
che chiese di poter leggere il suo discorso quando il panfilo era
ancora in porto, per poter scendere subito ed evitare di rimanerci
quando questo prese il largo.
Sappiamo dell'imbarazzo di Draghi perché un settimanale, L'Italia,
riprese l'articolo dell'EIR, citando la fonte, ed un
parlamentare missino, Antonio Parlato, che lo lesse, presentò
un'interrogazione parlamentare, anzi, poté rivolgere una domanda
allo stesso Draghi, che quel giorno riferiva su altre questioni in
Commissione Bilancio. In seguito, la notizia fu ripresa da numerosi
organi di stampa, anche grazie al fatto che l'ex segretario del PSI
Bettino Craxi aveva diffuso il documento dell'EIR alla Camera.
Ci furono quindi numerose interrogazioni parlamentari (a Parlato, che
ne fece mi sembra tre, si aggiunsero l'on. Tiscar, qui presente, e
gli on. Pillitteri e Bottini) e altre sollecitazioni ufficiali (la
senatrice Edda Fagni citò questo fatto nel discorso al Senato il
giorno del voto di fiducia al governo Ciampi), ma né il governo di
allora, guidato da Giuliano Amato, né quello attuale si sono sentiti
in obbligo di fornire un chiarimento all'opinione pubblica ed al
Parlamento.
Insisto su questo fatto perché mi sembra emblematico del modo in cui
vengono prese le decisioni che determinano il futuro del nostro
paese, cioè di milioni di cittadini che lavorano e pagano le tasse,
ed hanno bisogno di avere fiducia in coloro che li rappresentano, che
devono compiere scelte riguardanti il loro futuro, il loro posto di
lavoro, i loro risparmi, i loro figli ecc.
Ebbene, il fatto del Britannia mostra che scelte decisive, come
quelle delle privatizzazioni, vengono fatte al di fuori del
Parlamento e addirittura in sedi così lesive dell'onore e della
dignità nazionale come il panfilo della regina Elisabetta
d'Inghilterra!
Su quel panfilo, siamo venuti a sapere, c'era anche l'attuale
ministro degli Esteri Beniamino Andreatta, un personaggio che, benché
non diriga personalmente un dicastero economico, entrò nel governo
Amato proprio per accelerare il processo di privatizzazioni e
tuttora, ne siamo certi, quando partecipa alle riunioni di gabinetto
certamente dirà la sua in materia economica, anche per- ché di
politica estera sembra capire ben poco. Ebbene, Andreatta dovrebbe
come minimo chiari- re dinanzi al Parlamento che cosa disse e che
cosa fece quel giorno sul Britannia e, nel caso emergano elementi
compromettenti, dare le di- missioni. Noi siamo sicuri che Andreatta
abbia qualcosa da raccontare, anche perché, analizzando il suo
comportamento da ministro degli Esteri, si riscontrano evidenti
coincidenze.
Guarda caso, infatti, l'ospite illustre della regina Elisabetta è
anche quello che non appena messo piede alla Farnesina accoglie
entusiasticamente la proposta britannica di mandare gli eserciti in
Bosnia, a farsi massacrare dalle artiglierie serbe.
Andreatta, infatti, noncurante delle dichiarazioni dei nostri capi
militari sul fatto che sarà una carneficina (non abbiamo nemmeno le
corazze adatte sui nostri carri) afferma con disinvoltura che se è
necessario si rivedrà il bilancio, quello stesso bilancio che fino
ad un momento prima era una vacca sacra, intoccabile.
Preciso: non si tratta di essere contrari ad un intervento militare
risolutore, ma esso va fatto senza mandare truppe coloniali sul
territorio, bensì riarmando i bosniaci in modo che possano
difendersi ed assistendoli cori l'aviazione.
Invece il comportamento di Andreatta è la prova che esiste un
legame, come è stato detto nella introduzione, tra la strategia
liberista, della "terapia d'urto" e delle privatizzazioni,
e la geopolitica applicata nei Balcani per intrappolare l'Europa in
uno scenario di conflitti. Quel documento dell'EIR, comunque,
inquadrava l'episodio del Britannia in uno scenario più ampio, di
vera e propria destabilizzazione politico-economica del paese. Come
abbiamo sentito prima, la strategia geopolitica anglo-americana
considera l' Italia, assieme ai Balcani, il fianco sud, il "ventre
molle" di un potenziale blocco di sviluppo euroasiatico, e per
questo l'Italia viene colpita.
Che la destabilizzazione fosse in arrivo lo si sapeva da quando
l'allora capo della CIA sotto Bush, William Webster, annunciò che,
come conseguenza del crollo del comunismo, l'apparato di spionaggio
USA avrebbe impegnato le sue risorse in una strategia volta a
contrastare i rivali economici: l'Europa ed il Giappone. Webster
enunciò la nuova dottrina proprio mentre il Muro stava cadendo, il
19 settembre 1989, di fronte al World Affairs Council di Los
Angeles. La Dottrina Webster è uno dei pilastri del "nuovo
ordine mondiale" inaugurato sotto la presidenza Bush. L'altro
pilastro, più concepito per le nazioni del Terzo Mondo, è la
cosiddetta "Dottrina Thornburgh", secondo cui la legge
americana è al di sopra del diritto internazionale. La Dottrina
Thornburgh, dal nome dell'ex ministro della Giustizia USA, è quella
che ha giustificato l'invasione del Panama.
Ed abbiamo, in coincidenza con questi sviluppi, l'apertura di una
sede italiana della Bishop International, un'agenzia di
informazioni operante nel mondo dell'economia, affiliata ad un altro
ente simile, più noto, che si chiama Kroll International.
Kroll è un ex agente della CIA che si è dato una copertura da
"businessman" ma continua a lavorare per i vecchi padroni.
Fu la Kroll, infatti, a raccogliere e divulgare informazioni sulle
imprese europee che avevano fornito all'Irak materiale e tecnologia
ritenuti "indesiderati" dall' amministrazione Bush. Ebbene,
Bishop è un ex agente di Scotland Yard che ha lavorato per anni con
Kroll e poi si è messo in proprio a raccogliere "informazioni
economiche". Bishop ha aperto una filiale a Milano l'estate
scorsa.
Ma l'iniziativa su scala più vasta sinora intrapresa nell' ambito
della Dottrina Webster ci sembra quella di Robert McNamara, il quale
ha fondato nel maggio scorso un organismo internazionale chiamato
"Transparency International", il cui scopo sarebbe quello
di combattere la corruzione su scala mondiale. Ora, è bene che noi
italiani guardiamo con attenzione a ciò, perché dobbiamo evitare
che nella sacrosanta lotta alla corruzione intrapresa a casa nostra
(grazie a inquirenti che si sono svegliati dopo quarant'anni di
letargo) ci affidiamo a metodi e "consigli" d'oltreoceano,
se non addirittura a strutture investigative che sfuggono al
controllo nazionale o sono influenzate da centri occulti. Questo vale
sia per i reati amministrativi che per la lotta alla mafia.
Osserviamo da vicino l'iniziativa di McNamara. Innanzi tutto
sorprende che un personaggio del genere scopra la vocazione per la
giustizia. McNamara divenne famoso col nomignolo di "bodycount"
(contacadaveri) quando era ministro della Difesa, durante la guerra
del Vietnam. Quel nomignolo gli fu affibbiato perché compariva quasi
ogni sera in televisione per vantarsi delle migliaia di nemici
uccisi. Poi fece una famosa riforma al Pentagono, introducendo la
dittatura dei ragionieri. Lui è fautore di una concezione economica
di tipo assolutamente contabile, cioè non importa che cosa si
produce ed a quale scopo, basta che il bilancio quadri. Andrebbe
molto d'accordo col nostro Barucci o Andreatta. E' il modo di pensare
tipico dei banchieri usurai, i veri padroni di questo "tecnico"
che ha rivestito posizioni di potere senza essere mai eletto.
Transparency International esibisce alcuni nomi famosi come fiore
all'occhiello, come l'ex ambasciatore di Carter alle Nazioni Unite,
Andrew Young, o l'ex presidente dei Costarica Arias (su quest'ultimo
ci sarebbe da ridire), ma non saranno costoro a combattere la
"corruzione". Il compito sarà svolto dallo staff di
funzionari, tutti provenienti dalla Banca Mondiale e dal Dipartimento
di Stato americano. Transparency si occuperà di "consigliare"
i paesi del Terzo Mondo e del settore in via di sviluppo, nonché
quelli dell' Europa dell'est, su quali contratti stipulare con le
nazioni dell'OCSE, e quali no.
Al proposito è istruttivo leggere un articolo apparso sul quotidiano
di Berlino Tageszaitung il 7 maggio scorso, articolo in cui
veniva intervistato il direttore di Transparency, l'ex manager della
Banca Mondiale Peter Eigen. Il vero obiettivo di Transparency sembra
quello di impedire il trasferimento di tecnologia dall'Europa ai
paesi in via di sviluppo. Gli acquisti di impianti ad alta
tecnologia, macchine ecc., comportano infatti transazioni finanziarie
elevate, all'interno delle quali, dichiarano quelli di Transparency,
possono facilmente celarsi tangenti e bustarelle. I crociati della
lotta alla corruzione si tradiscono quando parlano di "progetti
superflui": questa è la tradizionale politica malthusiana della
Banca Mondiale, che ha sempre elargito i suoi scarsi finanziamenti a
progetti di bassa produttività.
Non a caso l'organismo di McNamara ha scelto come sede Berlino ed ha
annunciato che per il 1993 si prefigge l'obiettivo di stipulare
contratti di consulenza con sei nazioni dell'Europa orientale. Sarà
dunque l'ex carnefice del Vietnam a decidere che cosa i paesi
dell'Europa dell'est acquisteranno dalla CEE e che cosa non
acquisteranno. Naturalmente, c'è sempre lo zio Sam a fornire gli
stessi beni senza bustarelle, cioè con tangenti "legali"
del 5%.
Un altro protagonista della destabilizzazione economica è la più
grande finanziaria di Wall Street, la Goldman Sachs. Nel nostro
documento indicavamo come la G. Sachs avesse svolto un ruolo nel
crollo della lira, dapprima annunciandone la sopravvalutazione ed
indicando nel livello di 1000 lire al marco il tasso di cambio che
essa riteneva realistico, poi buttandosi a vendere lire per
contribuire a ottenere quel risultato. La Goldman Sachs si è
posizionata sul mercato italiano aprendo l'anno scorso un ufficio
"operativo" a Milano. Sorge quindi lecito il sospetto che
la svalutazione della lira di circa il 30% serva tra l'altro a
rendere più appetibili i pezzi delle ex PPSS che lo Stato ha deciso
di mettere in vendita, e che andranno sicuramente ad acquirenti
stranieri visto che nessuno in Italia ha i capitali a sufficienza. Il
comportamento di un personaggio come Romano Prodi, nominato dall'ex
governatore Ciampi a presidente dell'IRI, conferma questi sospetti.
Già un anno fa Prodi aveva esposto le sue idee in materia di
privatizzazioni: privatizzare tutte le banche d'interesse nazionale,
più il San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena e l'Ina.
Ora, se crediamo ai resoconti di una sua intervista al Wall Street
Journal, dichiara che non solo tutto delle ex PPSS si può vendere,
ma anzi, le aziende vanno prima risanate e poi vendute. Quindi, prima
le risaniamo con i soldi dei contribuenti italiani, poi le vendiamo a
chi, ai soliti stranieri? Romano Prodi era fino a qualche tempo
"senior adviser" della Goldman Sachs, e non ci risulta che
si sia dimesso dalla carica. Allora deve decidere se fa gli interessi
di Wall Strect o quelli dell'Italia. Oppure quelli del finanziere
speculatore Soros, con cui collabora nei progetti di saccheggio
dell'Europa orientale. Infatti, Prodi faceva parte del pool di
economisti, assieme al famoso Jeffrey Sachs, che mise a punto il
cosiddetto Piano Shatalin, un piano per la riconversione economica
dell'ex URSS ideato da Soros, così radicale che fu respinto a suo
tempo da Gorbaciov 1990-91).
Prodi è dunque collegato agli ambienti che speculano contro la lira,
che saccheggiano l'economia dell'Europa dell'est ed hanno permesso in
quei paesi un saldo insediamento della mafia. E' legittimo, quindi,
il sospetto che la liquidazione dell'IRI, col passaggio in mano
straniera delle migliori aziende, ad alto contenuto tecnologico, sia
stata già decisa e che Prodi sia un semplice esecutore delle volontà
degli ambienti internazionali a cui è legato.
Non si tratta di sostenere il "socialismo reale" se si
dubita che, per definizione, il privato sia meglio del pubblico.
In generale, la presenza dello stato dovrebbe limitarsi alle
infrastrutture, in primis l'energia, ma anche i trasporti, la scuola
e la sanità. Ma proprio il caso italiano mostra che, laddove essa è
guidata da manager onesti e competenti, l'impresa pubblica è in
grado di competere in quanto ad efficienza e risultati con quella
privata. Se ciò non avviene è solo dovuto al fatto che non abbiamo
più dirigenti del calibro di un Enrico Mattei. Ricordiamo che ai
tempi di Mattei l'IRI, un complesso che ci era invidiato all'estero
perché era in grado di fare tutto, moltiplicava ogni lira investita
per sei-sette volte. Solo il Progetto Apollo della NASA ha saputo
fare di meglio.
Dai pochi elementi qui presentati, potrebbe concludersi che c'è una
destabilizzazione voluta dell'economia italiana? Certamente, anche se
qualcuno potrebbe ribattere su ogni singolo punto offrendo una
spiegazione diversa. Ciò che ci fa affermare con sicurezza che la
destabilizzazione esiste, non è tanto un ragionamento di tipo
deduttivo, cioè un'ipotesi desunta solo dagli elementi fattuali,
come farebbe Sherlock Holmes o la FBI. Il fatto da cui bisogna
partire è che coloro che oggi propongono la ricetta liberistica,
privatizzazione più tagli, sanno benissimo che questa ricetta non
funziona (basta vedere lo stato in cui è ridotta l'economia inglese)
e che, anzi, essa ha effetti distruttivi sull'economia nazionale a
cui viene applicata. Esiste, dunque, una mens rea a monte di
tutto ciò, di cui sono complici coloro che per ingenuità o per
stupidità se ne fanno i portavoce in Italia.
Il liberismo è una truffa sin dalla nascita: quando Adam Smith
scrisse il suo libro "La ricchezza delle Nazioni" lo fece
per convincere gli Stati Uniti a non diventare una nazione
industriale, e rimanere un paese agricolo. Cosa che l'America si
guardò bene dal fare. Oggi lo stesso trucco viene riproposto in
forma moderna e su scala mondiale o, come dicono gli angloamericani,
globale.
22
ottobre 2007
Mr. Britannia colpisce ancora
Mr. Britannia colpisce ancora
Alla riunione
dei ministri finanziari del G7 tenutasi a Washington il 19 ottobre, è
stata ascoltata la relazione di Mario Draghi, che oltre ad essere il
governatore di Bankitalia è anche, dal 2006, capo del Global
Financial Stability Forum, e cioè la squadra di salvataggio del
sistema finanziario mondiale. Stando al testo distribuito, non si
vedono minacce mortali al sistema, né attualmente né all'orizzonte.
Addirittura, la parte finale della relazione consiste in una totale
assoluzione del ruolo degli hedge funds: il settore degli hedge funds
di per sé non si è rivelato come uno dei principali elementi
problematici per l'intero sistema come pure ci si sarebbe potuti
aspettare. Un'assoluzione normale per chi, fino ad un anno fa, era
vicecapo europeo di Goldman Sachs, uno dei principali gestori di
hedge funds, ma strabiliante per chi, nelle vesti di banchiere
centrale, dovrebbe sapere bene che proprio gli hedge fund sono stati
i veicoli del collasso del sistema.
In privato, i
partecipanti al G7 hanno ammesso ben altre verità, come si desume
dalle dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco Steinbrück,
che ha paventato il rischio di crollo di una grossa banca
internazionale proprio come conseguenza del mancato rifinanziamento
della "spazzatura" degli hedge funds.
Ci si chiede se
l'operato del governatore sarà messo mai sotto scrutinio: difficile
nell'attuale clima politico italiano, sotto scacco dagli stessi
"poteri forti" che hanno sponsorizzato la carriera
dell'illustre governatore. Draghi, che va sporgendo denuncia contro
chi lo chiama "Mr. Britannia" (ricordando il suo exploit
sul panfilo della Regina Elisabetta il 2 giugno 1992), viene
addirittura candidato alla successione di Prodi nel caso che la
spinta del suo ex compagno di scuola, Luca Cordero di Montezemolo,
riuscisse a rovesciare il governo Prodi. Sarebbe il colmo.
Marzo
2008
La distruzione dello Stato Sociale attraverso la catastrofe delle liberalizzazioni-privatizzazioni in Italia
La distruzione dello Stato Sociale attraverso la catastrofe delle liberalizzazioni-privatizzazioni in Italia
Il Movimento
Solidarietà pubblica un nuovo dossier per dimostrare che il processo
di liberalizzazioni e privatizzazioni attuato in Italia dall'inizio
degli anni Novanta non ha portato nessun beneficio al paese. Lo
scritto iniziale, elaborato da Claudio Giudici, dimostra che:
- le liberalizzazioni portano ad un aumento dei prezzi;
- le liberalizzazioni portano alla distruzione di posti di lavoro ed all’abbassamento degli stipendi dei lavoratori e dei fatturati delle piccole imprese;
- la liberalizzazione-privatizzazione dell’impresa pubblica nel periodo 1992-2000 non è stata conseguenza dell’inefficienza economica;
- i processi di liberalizzazione-privatizzazione non hanno minimamente migliorato la capacità produttiva italiana;
- le liberalizzazioni favoriscono i concentramenti di capitale in poche ricchissime mani;
- il rendimento finanziario delle aziende privatizzate è stato peggiore rispetto alla generalità del mercato finanziario italiano.
Attraverso una
serie di esempi lampanti, diventa sempre più evidente che questo
processo di "modernizzazione" del paese in realtà
rappresenta un grave attacco al suo tessuto produttivo, accelerando
il processo di disintegrazione economica e finanziaria che sta già
mettendo in ginocchio l’economia mondiale.
La seconda parte
del dossier tratta "Le misure necessarie per fermare la crisi
economica" elaborate dal Movimento di LaRouche, tra cui:
- la nuova Bretton Woods;
- il Disegno di Legge per la protezione dei proprietari di case e delle banche;
- l'iniziativa contro la ratifica del Trattato di Lisbona.
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