IL PAGANESIMO MAGICO DEL GRUPPO DI UR
Sto seguendo con una certa attenzione, il recente
riaccendersi di una, mai completamente, sopita polemica riguardante un po’
tutto il milieu “esoterico” e tradizionalista italiano ed avente per oggetto,
guarda un po’, l’interpretazione dell’esperienza del cosiddetto Gruppo di Ur e
del suo lascito spirituale ed “operativo” in tutte quelle esperienze che, dal
dopoguerra in poi, hanno in qualche modo tentato di rifarsi alla cosiddetta
“Via degli Dei Romano Italica”.
Occasione per rinfocolare polemiche e dibattiti, il
novantennale della nascita del Gruppo di Ur e i due recenti, interessanti
articoli di Luca Valentini su “Ereticamente” che, del convegno tenutosi in quel
di Napoli il 14 di Ottobre, costituiscono, a parere di chi scrive, un po’ la
continuazione e la “summa” ideale.
Evola fu o no influenzato dall’antroposofia di Colazza? E
poi la scuola kremmerziana lasciò o meno il segno in quell’esperienza? E poi.
Volevano costoro realmente restaurare la religione pagana in Italia o cosa? O
si trattò di un’esperienza unicamente mirante a realizzare, anzitutto, una
forma di magica introspezione? E quella successiva dei Dioscuri? Ed allora, in
quale senso e direzione può essere intesa, al giorno d’oggi, una “Via Romana
agli Dei”? E via dicendo, con tutta una serie di interrogativi che sembrano,
invece, voler prepotentemente riproporre un’altra domanda, antica quanto l’uomo
ed il suo rapporto con l’Assoluto: adesione ad una ritualità formale potente,
ma legata a gesti, ritmi cicli e scadenze determinati o ad un qualcosa di più
atemporalmente profondo che, delle immagini sacre, fa un semplice simbolo di
riflessione, volto al potenziamento dell’ “Ego”?....Religiosità essoterica od
esoterica? E poi. Un approccio multiculturale ed esperienziale al rito, tramite
gli apporti delle più e più forme di religiosità in un’ottica di “guenoniano”
universalismo o un apporto rigorosamente “etnicista” in un’ottica di
esclusivismo culturale ( e cultuale), legato ad antiche radici?
Domande che, lì per lì, sembrano esser senza senso, quasi
sterili ed intellettualistici interrogativi senza alcuna attinenza con la
realtà di quella vita che, invece, di certezze e risposte chiare ha bisogno,
per non ricadere nel caotico vortice dell’insensatezza offerto dalla Post
Modernità. E questi sono interrogativi le cui soluzioni, invece, portano molto
lontano…Cominciamo con il dire che, quando si tratta di scuole di pensiero
“esoterico” o misterico che dir si voglia, o di autori ad esse legati, la
cautela è d’obbligo. E’ vero. Il Valentini ci riporta frasi di Evola e di altri
autori, da cui si può tranquillamente evincere l’intento di un lavoro “sub
specie interioritatis” volto a far promanare l’elemento numinoso dai profondi
recessi dell’Io. Altrettanto vero è, però, l’intento manifestato dallo stesso
Evola in “Imperialismo Pagano” ed in altri autori quali Reghini ( in ottima
compagnia del pitagorico Amedeo Armentano, poi emigrato in Brasile, sic!),
Caetani/Ekatlos ed altri, in favore di un ritorno della Paganitas in Roma,
grazie all’avvento del Fascismo, il cui simbolo, il Fascio Littorio, sembrava
rappresentare il miglior viatico in tal senso.
Sì, è vero. Evola in “Maschera e volto dello spiritualismo
contemporaneo” si mostra molto critico verso tutte le varie derive settarie ed
occultiste e verso la stessa Antroposofia steineriana. Ma resta il fatto che in
Ur aderì di tutto e di più, neopagani, massoni, steineriani, teosofi, cattolici
(Guido De Giorgio), psicanalisti alla Emilio Servadio, oltre agli esoteristi
“sciolti”, alla Evola .
Ora, affermare che tutte queste persone non partecipassero
alle attività più “operative” del gruppo, mi sembra quanto meno azzardato. Già
il trattare in modo approfondito certi argomenti, non nel ruolo di semplice
studioso, ma bensì in quello di vero e proprio “miste”, sia pure per iscritto,
costituisce un’attività in grado di innestare un vortice, un’interazione
energetica tra menti e realtà differenti. Anche perché, e questo andrebbe
costantemente ripetuto, trattandosi qui di un gruppo esoterico o magico che dir
si voglia, non bisognerebbe assolutamente fermarsi alle apparenze, foss’anche
basate sulle dichiarazioni degli stessi protagonisti, visto che in questo
contesto, più che altrove, vige sovrano l’annullamento ed il superamento del principio
di non contraddizione, per cui si arriva al paradosso ontologico di un “tutto
che è il proprio contrario”.
Qualcuno ha recentemente criticato e messo in dubbio i
contributi del pensiero kremmerziano e di quello antroposofico, all’esperienza
di Ur e ad altre similari, perché apportatrici di elementi estranei alla
matrice indoeuropea della tradizione italica. Ora però, senza voler entrare nel
puntiglio di una polemica dai contorni, ad oggi, ancora sfumati, se qualcuno
volesse andarsi a leggere i “Dialoghi” di Kremmerz, (ma anche altri scritti
dello stesso autore), vi troverebbe più e più volte ribadita la impellente
necessità di doversi rifare a riferimenti sacrali Romano Italici ed Ellenici,
anziché a tradizioni estranee, quali quelle “orientali” ed altre similari. Che
poi, un autore come il succitato Kremmerz o lo stesso Reghini ed altri ancora,
abbiano agito in contesti immersi in una simbolistica che richiama le più
classiche radici dell’esoterismo occidentale, espresse da elementi gnostici,
rosacrociani o cabalistici, questo non comporta l’automatica adesione di
costoro, al “background” espresso da tali simboli, che, comunque sia, erano
parte costituente di un determinato contesto culturale ed epocale.
Alla stessa maniera, bisognerebbe andarci piano quando, con
decisione, si rigetta l’ipotesi di una qualsivoglia influenza dell’antroposofia
di Colazza ed altri, su Evola. Il Pensiero, ed in particolar modo quello di
tipo esoterico, non può esser considerato qualcosa di fisso ed immutabile,
bensì una forma di fluido che interagisce adattandosi di continuo alle
contingenze di quel momento.
Lo stesso pensiero teosofico o antroposofico steineriano,
non si mantiene fisso su certi parametri, ma subisce una vera e propria
mutazione in autori come Massimo Scaligero che, nei suoi trattati posteriori,
ci parla di un vero e proprio “Pensiero Vivente” espressione di quel lavoro
incentrato sull’Io, che sempre più, sfugge ai classici parametri
fantasticheggianti dello steinerismo prima maniera. Julius Evola critica sia il
cristianesimo che certo “paganesimo dilettantesco” ma, stranamente, non perderà
mai completamente i contatti con un certo mondo i cui epigoni post bellici,
sono proprio rappresentati da quel misterioso Gruppo dei Dioscuri, che non
mancherà di informarlo puntualmente sulle proprie attività. Quell’Evola che, al
pari di altri suoi omologhi, legato ad un modo di pensare “Tradizionale”, si fa
simbolo vivente dell’irrompere della Modernità anche nell’ambito del pensiero
“magico”, grazie proprio a quella nuova visione prospettica, incentrata su un
“Io” ora in grado di interagire con la realtà, arrivando anche a modificarne i
parametri sul piano metafisico.
Se andiamo a ben vedere, molti degli aderenti al Gruppo di
Ur, provenivano dalla frequentazione di riviste quali “Lacerba” e di personaggi
alla Prezzolini o alla Papini e dal milieu Futurista e d’Avanguardia.
Quell’Avanguardia che, tra fine Ottocento ed inizio Novecento, fonderà insieme
Futuro e Tradizione, Magia e Tecnica, all’insegna di un “Ego”, pericolosamente
proteso tra le suggestioni superomistiche e le emergenti forze dell’inconscio e
dell’occulto. Una spinta all’irrazionale, che la preponderanza della Tecno
Economia non riuscirà mai completamente, né a sopire né a domare…
La seconda grande questione che non si può assolutamente
tralasciare, è quella dell’attuale contesto storico, da cui le polemiche a cui
abbiamo poc’anzi accennato, prendono corpo. Senza entrare nel puntiglio di una
esatta genealogia storica, possiamo affermare che, sul solco degli storici
gruppi di riferimento del moderno paganesimo di matrice romana, si è andato
innestando un filone ed un’interpretazione sino a poco tempo prima, relegati ad
ambiti più specialistici e cioè quella più “esoterica”, a cui abbiamo già
accennato.
Al di fuori dell’esperienza del Gruppo dei Dioscuri, la “Via
Romana agli Dei”, pur oscillando tra un’interpretazione “prisca” della
religiosità romana ed una più impostata al Neoplatonismo ed agli scritti di
Macrobio, Plotino, Giamblico, ha dato di quest’ultima un’interpretazione più
formalista. In questo, l’apporto “esoterico”, anche se talvolta caratterizzato
da qualche umanissima forzatura o inesattezza, non può che costituire un sano
antidoto alla stasi, alla marmorea rigidità di certi sterili apologeti della Tradizione.
Due visioni, due modalità di intendere un qualcosa che, invece, nonostante
l’apparente dissidio, costituiscono le due facce complementari di una medesima
realtà.
Quella del mistero rappresenta una delle necessità primarie
dell’animo umano. Il sottile velo che adombra e ricopre aree che a noi
permangono precluse , rappresenta un potente stimolo alla fantasia ed alla
creatività, ad un continuo porsi domande ed a cercare risposte. L’importante
qui non è il disvelamento del mistero, ma la ricerca, il percorso “si et si”
che, dell’umana esistenza, costituiscono il sale. E nella spasmodica ricerca di
risposte, nel mare magnum del mistero, l’individuo potenzia il proprio Ego,
sino a far di sé stesso un Dio…ma, d’altra parte, esiste da tempo immemorabile la
necessità di dar un ordine al mondo tramite una serie di formule, di parole, di
movenze, che nel ricalcare le principali coordinate della realtà, mettono
l’intera comunità degli oranti in connessione con le dimensioni superne; questo
insieme di procedure è “rtah/rito” ovverosia dar ordine al mondo evocando e
collaborando con ciò-che-sta-di sopra.
Quel “sopra” spesso disvelato e conservato da quelle antiche
radici, che la lingua dei padri assieme a simboli atemporali, ci trasmettono e
ci ripropongono attraverso lo scandire del tempo, in giorni, stagioni, Ere,
Eoni… Due momenti, due modalità si direbbe quasi opposte. Fede e ricerca,
estasi ed iniziazione, pur con le loro differenze, ruotano attorno allo stesso
Samsara, alla stessa grande ruota dell’Essere. Ambedue sono, sia pur con tutti
i loro eccessi e le loro (apparenti) incongruenze, romanamente parlando, quelle
membra che hanno bisogno l’una dell’altra. Momenti, percorsi, personalità
differenti che si incrociano, si intersecano, talvolta si scontrano ma che,
proprio in questo momento, proprio di fronte all’epocale tragedia della perdita
del Sacro, del magico, dell’immaginifico, dinnanzi al vuoto di un mondo
incentrato sull’apparenza e sull’arida concezione Tecno-Economica, dovrebbero
finalmente comprendere dove sta il nemico, quello vero, ed affilare le armi per
una battaglia epocale.
Una battaglia incentrata sulla capacità di arrivare
all’elaborazione di una nuova sintesi che sappia essere Pensiero-Azione,
Essere-Divenire, Immanenza-Trascendenza e che sappia, pertanto, rispondere
colpo su colpo a tutte le tremende sollecitazioni della Tecno-Economia.
Stavolta a perdere non sarà questa o quell’altra tendenza
culturale, questo o quell’altro gruppo, ma l’intero patrimonio spirituale di un
genere umano, appiattito, immiserito e subordinato ai diktat del Pensiero
Unico.
UMBERTO BIANCHI
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