Lo scontro sul Senato: cosa c’è dietro?
di Aldo Giannuli - 02/04/2014Fonte: aldogiannuli
Con
l’intervista del Presidente del Senato Grasso (Corriere della Sera 30
marzo 2014) ed il successivo battibecco fra lui e Renzi è esploso uno
scontro di grande portata politica, nel quale si stanno inserendo anche
altri soggetti istituzionali. Con l’inarrivabile rozzezza dei renziani,
la Serracchiani è arrivata a richiamare il Presidente del Senato
(seconda carica istituzionale del paese) alla disciplina di partito: non
era mai accaduto prima. Ma, in realtà, Grasso ha solo reso manifesto
un conflitto che covava copertamente e che riguarda due diverse
concezioni della democrazia, entrambe autoritarie e liberticide, ma fra
loro opposte: la variante iper-populista e plebiscitaria e quella
elitaria e monarchica.
La proposta
fatta da Renzi e Berlusconi di fatto abroga il Senato, togliendogli
quasi tutte le competenze, ma, soprattutto, disegnando una composizione
non elettiva e di persone (sindaci e Presidenti di Regione) legate al
loro ruolo sul territorio e, pertanto, di fatto impossibilitate a
partecipare ai lavori di un organismo a centinaia di chilometri dalla
propria sede. E, infatti, si prevede una riunione mensile puramente
simbolica.
La concezione
plebiscitaria della democrazia, comune a Renzi e Berlusconi, vede al
centro l’esecutivo presieduto da un capo onnipotente e carismatico
(l’”Unto del Signore”), limitato dal minor numero possibile di
“impacci” (a cominciare dalla Costituzione) e nettamente prevalente sul
legislativo, ridotto a puro simulacro. In questo quadro il Senato
presenta un ostacolo, perché può dar luogo all’esistenza di maggioranze
differenziate fra le due Camere (e, infatti, nessuna democrazia
parlamentare in cui viga il sistema maggioritario è bicamerale).
Dunque,
perché non abrogarlo tout court? Sia per considerazioni tattiche (dare
un contentino formale alla Lega, indorare la pillola da far ingoiare
al ceto politico), sia, soprattutto, per evitare di abrogare o
riscrivere decine di articoli della Costituzione, quello che avrebbe
ostacolato il bliz che i due avevano immaginato con scarso realismo,
non tenendo conto delle inevitabili resistenze dei senatori.
La
seconda posizione, quella elitario-monarchica, ha preso le mosse da
una proposta di Mario Monti, Renato Balduzzi e Linda Lanzillotta che
prevede un Senato dotato di forti poteri di controllo e di interferenza
sulle attività di governo composto da
«200
membri eletti dai consiglieri regionali, dai membri delle giunte
regionali e da un certo numero di sindaci e scelti non solo tra le
classi politiche locali ma anche tra i rappresentanti della società
civile, dei ceti economici più dinamici, dell’università, delle
professioni».
Attenzione: qui gli
enti locali designano i senatori, ma non mandano i propri vertici,
bensì persone scelte dalla “società civile” (università, professioni,
ceti economici…”) in grado, quindi, di partecipare effettivamente alla
vita dell’organismo. Dunque, un Senato vero e dotato di poteri ancora
non ben definiti, ma che possa mettere becco nelle scelte del governo.
Il
passo successivo è stato un appello del “Sole 24 ore” che ha iniziato a
parlare di una “Alta camera della cultura e delle competenze”. Appello
intorno al quale sono andati raggruppandosi intellettuali come la
senatrice a vita Elena Cattaneo, Chiara Carrozza, Luciano Canfora (e
questo mi duole), ma, soprattutto, Eugenio Scalfari (Sole 24 ore 30
marzo 2014) e la proposta, man mano è diventata quella di una Camera
composta da grandi personalità della cultura, indicate in una rosa
dall’Accademia dei Lincei (il museo egizio!) e dalle Università e poi
nominate dal Presidente della Repubblica. Col che, salvo per la nomina a
tempo e non a vita, è esattamente quello che era il Senato di nomina
Regia.
Una proposta che pensiamo
piaccia molto all’attuale capo dello Stato, che è uno che la monarchia
ce l’ha nel sangue. Ovviamente, non è affatto negativo il
coinvolgimento di autorevoli personalità della cultura nelle attività
parlamentari, ma questo è auspicabile attraverso un mandato popolare,
non con una nomina dall’alto. D’altro canto, in caso di bicameralismo,
per quanto imperfetto, è per lo meno bizzarro comporre una Camera delle
competenze da contrapporre all’altra che, implicitamente, diverrebbe
“degli incompetenti”.
A ben vedere
si tratta del modello della “democrazia a trazione elitaria” teorizzata
da Monti e che ha trovato espressione tanto nel “governo dei tecnici”
(esplicitamente citato da Monti nel suo articolo sul Corriere della
Sera il 30 marzo 2014) quanto nelle due commissioni di saggi che
dovevano riformare la Costituzione. Dunque, la Camera bassa (che il
sistema elettorale in discussione assicurerebbe che sia davvero molto
bassa) elettiva e quella Alta di nomina presidenziale. E questo porta
ad un altro punto della questione: la torsione presidenzialista
prodottasi in questi anni. Inizialmente, l’iper attivismo di Napolitano
fu il risultato dell’impresentabilità internazionale di Berlusconi e
della concomitante crisi del debito sovrano. Ma con la nomina di Monti,
il Presidente è andato sempre più assumendo funzioni di indirizzo
politico e, più che di garante della Costituzione, di garante delle
obbligazioni Ue del paese ed in particolare del debito.
Comprensibilmente, le polemiche di Renzi con la Ue in materia di
vincoli di bilancio non devono aver molto allarmato il Colle che, alla
vigilia del semestre europeo dell’Italia, si sente una volta di più
chiamato a garantire per il futuro. Tuttavia, Napolitano, per ragioni
che non stiamo qui a ripetere, si appresta a lasciare il Quirinale. Di
qui la tentazione di trasformare il sistema costituzionale introducendo
definitivamente le modifiche di assetto dei poteri che, sin qui si
erano prodotte di fatto.
Per cui,
attraverso la nomina di un Senato con penetranti poteri di controllo e
di indirizzo sull’attività di governo, il Presidente acquista
definitivamente il ruolo di super-Presidente del Consiglio (vagamente
ispirato al modello francese) in alleanza con il ceto tecnocratico.
Così da contrappesare efficacemente un governo ancora troppo
condizionato dalle “spinte populiste” che vengono dal voto popolare.
Grasso,
nella sua infelice intervista al Corriere, ha cercato una mediazione
che tenesse conto degli umori degli attuali senatori che vorrebbero
qualche chances di tornare a sedersi a palazzo Madama, ed ha proposto
un Senato un po’ composto sul modello delle autonomie territoriali, un
po’ elettivo, con poteri reali ma limitati. La scomposta reazione di
Renzi, che arriva a proporre una revisione costituzionale per voto di
fiducia (cosa che neppure nel più sconnesso regime sudamericano degli
anni trenta si sarebbero sognati di fare), ha tolto il coperchio alla
pentola.
Di fatto siamo di fronte a
due diversi tentativi di liquidare la democrazia repubblicana voluta
dalla Costituzione. Non ci resta che sperare in Razzi, Scilipoti ed
amici che mandino tutto gambe all’aria.
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