CAPITOLO 35 – LA FINANZA DEL DELIRIO
La Tesla ha recentemente
superato, come valore di Borsa, la Ford: i “mercati” si
contendono il titolo, che va a ruba. I capitalisti privati fanno a gara
per dare capitali al fondatore di Tesla, il geniale Elon Musk; miliardi di
dollari, anzi decine di miliardi di dollari. E come tutti sappiamo, i privati
sanno a chi merita darlo.
Dunque giustamente Tesla supera
oggi in Borsa il valore di Ford. Anche Tesla, come Ford, fa auto: ma ne
ha venduta l’anno scorso 76 mila, mentre la Ford, 6
milioni.
Vero è che le auto Tesla sono
elettriche, dunque molto chic, ecologiche, prestigiose da avere a
Sylicon Valley fra i nuovi miliardari creatori di start-up, e quindi costose:
101.300 dollari mentre Ford fa utilitarie
Nel 2016, Tesla ha
perso più di un miliardo di dollari. E Ford,
intanto, ha guadagnato 10 miliardi. Ma i “mercati”,
infallibili nell’allocare i loro capitali, finanziano – ossia valorizzano
– Tesla più di Ford.
E
continuano pure ad offrire miliardi a Uber, Uber non ha quasi personale, non ha
strutture, è un’azienda di taxi che non ha dovuto comprare un solo taxi si basa
su una app, ossia su un piccolo software:
insomma è l’incarnazione stessa dell’impresa “snella e innovativa”,
basata esclusivamente “su un’idea nuova”, prototipo della “New
Economy” immateriale, impalpabile e dunque senza i fastidiosi
“costi” che vengono dalla necessità di comprare macchinari o assumere operai.
Dei
piccoli borghesi al posto di Uber si sono comprati l’auto e non potendosela
permettere sperano di pagarsi le rate facendo i taxisti/schiavi.
Gli
investitori-capitalisti profondono miliardi su Uber nel 2016, che ha
generato il giro d’affari astronomico ed incomprensibile per una mente sana di
20 miliardi di dollari, e un margine operativo lordo di ben 6.5 miliardi – e
contemporaneamente una perdita di 2,8 miliardi.
Un ingenuo
resta interdetto dal fatto che Uber incamera una commissione del 30%
sull’attività dei suoi guidatori-tassisti a tempo perso e ha appunto
perso 9 miliardi da quando è nata nel 2010.
Senza
considerare che sovvenziona pesantemente la sua attività e sottocosto.
Sovvenzionare
in certi paesi la attività, serve ad uno scopo benedetto dai mercati:
debellare la concorrenza, fare “volume”. Tutto il profitto sperato e futuro di
Uber sta infatti nel progetto di rimpiazzare totalmente e dappertutto i
taxi, diventare monopolista mondiale di questo tipo di mercato, ed è per questo
che riesce ad ottenere somme titaniche dagli investitori, nonostante sia già molto
valorizzata (68 miliardi di dollari).
Finanziano
“idee”, ed Elon Musk ne crea a getto continuo… 53 mila delle sue auto
elettriche Tesla vendute hanno dovuto essere richiamate per
malfunzionamento.
E i
capitalisti di ventura buttano miliardi in Tesla. Su cosa investono,
infondo? Su fuffa di truffatori, direte voi provinciali.Questa è la New
Economy, i mercati premiano le “nuove idee”. I sogni. I deliri.
Naturalmente,
il fatto che i “mercati” finanzino titanicamente, e per tanti anni,
multinazionali della fuffa e del delirio, ed accettino per tanto tempo di
incamerare perdite, finirà male, ma come mai ai capitalisti di ventura, ai
“mercati”, non importa?
Come mai
hanno tante decine di miliardi da buttare? Sono i miliardi, anzi le
migliaia di miliardi emessi dalle banche centrali, ragazzi. A loro,
i capitalisti (le banche multinazionali), non costano niente, neanche più il
costo della carta e dell’inchiostro e li investono in promesse di profitti
mirabolanti, nella speranza del colpo gobbo.
Un altro
modo di vedere mostrerebbe invece che si tratta di investimenti
giustissimi e azzeccati gli unici per il torvo e catastrofico prossimo
futuro. I miliardi dati a Tesla sono investiti, in fondo, nella “industria
del lusso” l’unico possibile mercato del futuro (se non interverranno cambi di
rotta). L’auto elettrica da 100 mila dollari, infatti, è fatta apposta per
invogliare il famoso 1% straricco, che oggi è anche vegano,
ecologista, animalista, e giustamente vuol guidare un’auto “pulita” a
qualunque prezzo. Naturalmente senza il minimo pensiero che l’auto Tesla
non genera elettricità; ha batterie, e l’elettricità la generano le solite
centrali a carbone, petrolio, gas, inquinanti come sempre.
Un mondo
ineluttabilmente avviato verso un demenziale sovvertimento creativo; già i
robot hanno sostituito i precari da McDonald’s; in certe aziende cinesi
gli operai sono già sostituiti da automi – non c’è più bisogno di
uomini. Niente salari….
La Ford
probabilmente non venderà i suoi 6 milioni di auto agli operai…. Ma la Tesla le
sue centomila auto ai nababbi verosimilmente si! (fino a che, per qualche
anno, esisteranno i nababbi)
Ma
l’industria dell’auto ha pure i suoi uffici di credito, e già offre
prestiti anche di 7 anni anche su auto d’occasione anche quando l’auto
usata (bene dato in garanzia) raggiungerà il valore zero molto prima che il
prestito sia rimborsato.
Ma alla
finanza creativa non importa, perché hanno creato qualcosa di ancor più
illusorio, quasi magico… quel debito mica se lo tengono nei libri contabili le
banche; lo rifilano, impacchettato in migliaia di prestiti “garantiti”
allo stesso modo, a fondi d’investimento, fondi-pensione, e simili.
Stanno di nuovo gonfiando la bolla del subprime, come quella
che implose nel 2008. Delirio.
E senza
soluzione di continuità si passa a renderci conto della peggiore della
catastrofi che stanno per travolgerci …. un miliardo e 100 milioni di posti di
lavoro, a livello globale, saranno sostituiti dai robot nel corso di poco più
di una generazione.
Secondo il Rapporto del Mc Kinsey Global Institute il 49% delle attività
lavorative potrà essere automatizzato già a partire dalle tecnologie esistenti.
È
terrificante, tenendo conto che, nel frattempo, le tecnologie esistenti saranno
in via di rinnovamento a velocità iperbolicamente crescente. Cioè i posti
di lavoro riservati agli umani diminuiranno di anno in anno
in termini variabili. Per l'Occidente e per l'Oriente. Molto più
drammaticamente per l'Oriente di quanto non sarà per l'Occidente.Lo stesso rapporto
citato aggiunge che circa il 60% di tutti i posti di lavoro inventati
dall'uomo contemporaneo possono essere automatizzati per circa il 30% delle
loro funzioni, mentre è già ora possibile calcolare la completa
automatizzazione futura del 5% delle rimanenti.
Gli esperti russi, dal canto loro, ritengono che "nei
prossimi 20 anni, circa il 45% delle professioni intellettuali
e circa il 75% dei lavori fisici potranno essere occupati da
robot con diversi sistemi di automatizzazione".
Già oggi i
robot prodotti negli Stati Uniti e in Giappone, con un ammortamento di due
anni in media, sono già,
in produzione
di serie, e più economici della
forza lavoro cinese o indonesiana.
Dunque sono in vista per questa e la prossima generazione,
sconvolgimenti quantitativi e qualitativi. Ci sarà una enorme massa di persone
che si troveranno "in eccesso", cioè non più necessarie per un
processo di produzione di merci e servizi che sarà in grado di andare
avanti senza di loro. E queste masse di persone "liberate dal lavoro"
non staranno immobili nelle aree del pianeta in cui si trovano in un
dato momento, ma si muoveranno vorticosamente.
Gli
effetti della robotizzazione sono già, e lo saranno ancora più nel corso dei
prossimi anni, di gran lunga più devastanti nei paesi tecnologicamente meno
sviluppati. La "liberazione" imposta dalle tecnologie, applicata a
società con bassa produttività del lavoro, moltiplicherà molto più
massicciamente il numero dei senza lavoro nei paesi che oggi chiamiamo
eufemisticamente "in via di sviluppo".
Nei primi dieci anni del XXI secolo, si
prevedeva che, nel corso dei venti anni successivi, l'Europa avrebbe avuto
bisogno di almeno 20 milioni di immigrati, per fare fronte al basso grado di
natalità di tutti i suoi paesi.
Ma queste previsioni, a distanza di soli dieci anni,
sembrano già spazzate via da impetuose realtà che non erano state
calcolate. Il quadro che si
delinea è di gran lunga più raggelante: l'Europa non avrà bisogno di questa
immigrazione, che si annuncia enormemente più grande di quella che già oggi non
siamo in condizione di assorbire.
Ed è questa follia che i nostri governanti nella loro ottusa
allucinazione nascondendosi dietro l’immagine delle caritatevoli onlus stanno
continuando a fare imbarcare immigrati clandestini che non avranno alcuna
possibilità di integrazione aggiungendo così a devastazione … devastazione
futura al quadrato…E la disoccupazione di massa sarà una delle tante piaghe
future ….
Ma allora perchè continuare ad insistere
su quanto affermano questi articoli della Costituzione?
Art. 1.
L'Italia è
una Repubblica democratica, fondata sul lavoro….
Art. 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4.
La
Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le
condizioni che rendano effettivo questo diritto….
Art. 35.
La
Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e
favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi
ad affermare e regolare i diritti del lavoro…..
Art. 36.
Il lavoratore
ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo
lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla
famiglia un'esistenza libera e dignitosa….
Art. 38.
Ogni
cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha
diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.
I
lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle
loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione
involontaria.
Art. 46.
Ai fini
della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze
della produzione, la
Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei
limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
Analizzando
le due tabelle qui sopra si evince che in Italia lo scarto fra occupati
stranieri e locali è il più alto d'europa: +6,9%. (con picchi del 33% fra i
giovani). il motivo? il sistema economico richiede un tipo di lavoratore con
poche skills, intercambiabile, da pagare il meno possibile.
«Vengono a
rubare il lavoro degli italiani, abbiamo già tanti disoccupati». Oppure: «Fanno
i lavori che gli italiani non vogliono più fare». Quante volte abbiamo sentito
queste frasi fatte? Un motivo per un conflitto tra queste visioni c’è: l’Italia
risulta essere, in base agli ultimi dati Eurostat, uno dei Paesi d’Europa in
cui il tasso d’occupazione degli stranieri è più alto di quello dei locali. Precisamente il 6,9% in più, solo in Slovenia e in Grecia il divario
è maggiore, mentre in media in Europa gli extracomunitari sono meno occupati degli
autoctoni del 10%
circa, che diventa il 20% in Francia e il 22% in Germania.
Le cifre
cambiano se parliamo di stranieri comunitari, quindi rumeni, bulgari, polacchi,
ma anche francesi, inglesi, spagnoli, ecc. In questo caso in nessun Paese come
il nostro la differenza è maggiore, +14,9%.
I QUATTRO
POTERI DELLO STATO : Monetario; Legislativo; Esecutivo;
Giudiziario
Le persone "Perbeniste", accademiche, ufficiali, organiche ....sono le meno attendibili e razionali.... perché invece di porsi delle domande e cercare di darsi delle risposte…. Tengono spento il cervello, accettano passivamente spiegazioni (che non spiegano “davvero” niente) e tendono a mantenere e far sopravvivere il “sistema” anche quando questo si è dimostrato inequivocabilmente fallimentare come attualmente succede.
Il POTERE MONETARIO... Basta che andate a leggervi la promulgazione di una qualunque legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale... tutte le leggi vengo promulgate
... SALVO COPERTURA FINANZIARIA... il che conferma che senza soldi non si celebrano
nozze... SAREBBE DA DOMANDARSI PERCHE’ UNA COSI IMPORTANTE... LA PRIMARIA
funzione e potere dello stato SIA SEMPRE STATO VOLUTAMENTE CELATO e addirittura nel corso degli ultimi anni sia stato
completamente DEMANDATO …..alle banche
PRIVATE ! ! ! !
I CINQUE ELEMENTI ESSENZIALI ED INDEROGABILI NECESSARI AD UNO
STATO :
TERRITORIO; CITTADINI; MATERIE PRIME/ALIMENTI; ENERGIA; SISTEMA
MONETARIO; REDDITO DI CITTADINANZA (IN REALTÀ SONO ALMENO SEI)
LA FINE DEL LAVORO
1)
prima
delle rivoluzioni industriali, più del 90% della popolazione si occupava di
agricoltura.
2)
Nella
prima rivoluzione industriale grandi masse di lavoratori lasciano l'agricoltura
per andare ad operare nelle fabbriche.
3)
Nella
seconda rivoluzione industriale, le macchine e l'automazione prendono il posto
dell'uomo nell'industria manufatturiera, e le masse di lavoratori lasciano le
fabbriche per spostarsi nel terziario ed adottare il computer come strumento di
lavoro.
4)
Ora siamo
nel corso di una terza rivoluzione industriale, nella quale l'incredibile
progressione della potenza di calcolo dei moderni elaboratori, pone in esubero
un crescente numero di lavoratori. Attualmente solo il 3% della popolazione si
occupa di agricoltura, ma grazie alle macchine agricole, la domanda è
ampiamente soddisfatta dalla copiosa produzione. A seguito di questo, la realtà
vuole che le masse
di lavoratori che escono dal terziario, entrano a far parte del mondo della disoccupazione.
5)
Quando entro dieci anni
arriverà la quarta rivoluzione industriale non sarà più soltanto una
rivoluzione industriale…che seppure con qualche sconquasso sociale era poi nel
giro di qualche anno riassorbita... questa, se non ben gestita sarà il
capolinea del genere umano.
Nella
catena di montaggio dei primi decenni del XX secolo, ogni operaio si occupava
di un ruolo ripetitivo, ed a bassa specializzazione. La catena produceva un
solo modello di autoveicolo, ed il passaggio ad un nuovo modello richiedeva un
ingente investimento sulla catena di montaggio.
Data la
complessità della catena di montaggio, i guasti dei singoli stadi di
lavorazione erano frequenti ed avevano importanti ripercussioni sul numero di
autoveicoli prodotti per unità di tempo.
Nella lean
production le autovetture sono costruite da sofisticati robot guidati da un
numero limitato di tecnici con elevata specializzazione. Il passaggio ad un
nuovo modello di autoveicolo richiedeva una più semplice riprogrammazione delle
macchine. La richiesta di lavoratori specializzati pone anche il problema di
avere pochi lavoratori sovraccarichi di lavoro, e molti altri disoccupati o
sottoccupati.
Si
prospetta inoltre una riconsiderazione della globalizzazione dell'economia,
e la
rivalutazione del terzo settore, ovvero il no-profit applicato ai servizi di
utilità sociale.
QUI
SI PONE IL DILEMMA: TUTELARE IL POSTO DI LAVORO O IL LAVORATORE? ECCO LE
PESSIME PROPOSTE
La tutela
del posto di lavoro anziché
del lavoratore è però anche la visione del Movimento 5 Stelle. Un convinto
fautore di questo approccio è infatti Maurizio Gallegati, uno degli economisti
più ascoltati da Beppe Grillo. La proposta sul reddito di cittadinanza, che di
fatto non è altro che un sussidio di disoccupazione potenziato.
La società
globale non è mai stata tanto ricca quanto oggi. Non sarebbe quindi ragionevole
che le società ricche distribuissero una parte della loro ricchezza ai
loro cittadini, anche solo in una prospettiva di «investimento sociale»,
per assicurare una coesione sociale più che mai minacciata? Una concezione
radicalmente nuova della solidarietà economica? A queste domande rispondono in
senso affermativo i sostenitori di un reddito sociale garantito, cui si
attribuiscono numerosi nomi: «reddito di cittadinanza», «reddito sociale»,
«reddito universale», «reddito di esistenza», «reddito garantito», «reddito
d’autonomia», «sussidio universale», «credito sociale», «reddito di dignità»,
«dividendo universale», «dotazione incondizionata di autonomia», ecc. Il termine
di «reddito di cittadinanza» ci sembra quello migliore, perché ha il merito di
inscrivere il progetto nel quadro di una politia, cioè di una comunità politica
data. Come il diritto di voto, il diritto al reddito di cittadinanza
deriverebbe dal solo fatto di essere cittadino.
Il principio è semplicissimo: si tratta di versare a ogni cittadino, dalla sua
nascita alla sua morte, un reddito minimo che sia incondizionato, inalienabile,
uguale per ciascuno, e cumulabile con qualunque altro reddito o attività senza
altra degressività che quella del sistema fiscale in vigore, un reddito versato
a tutti, poveri e ricchi, su una base strettamente individuale e senza alcuna
esigenza di contropartita. Il reddito di cittadinanza come riconoscimento
politico di un diritto incondizionato alla sopravvivenza materiale di ogni
cittadino. Rappresenta un atto di
solidarietà che si esercita in permanenza, a priori, e non più su richiesta e a
posteriori.
«Questo reddito è accordato perché si esiste e non per
esistere»,
È un reddito di base che ciascuno integra o no in
funzione dei suoi bisogni.
L’idea non è nuova. Già Platone scriveva ne “Le Leggi”: «Se
uno Stato vuole evitare […] la disintegrazione civile […],non bisogna permettere alla povertà e alla ricchezza
estreme di svilupparsi in nessuna parte del corpo civile, perché ciò conduce al
disastro. Perciò il legislatore deve stabilire ora quali sono i limiti
accettabili della ricchezza e della povertà».
Nell’antica
Grecia, Pericle instaurò la mistoforia, distribuita ai cittadini
indipendentemente dal loro patrimonio affinché potessero soddisfare i loro
obblighi civici.
L’idea di
un reddito incondizionato appare nel XVI secolo in Tommaso Moro (Utopia, 1516),
ma sembra proprio che sia stato l’umanista spagnolo Joan Lluís Vives ad averne
dato per la prima volta una definizione coerente nel suo De subventione
pauperum (1526).
Due secoli
più tardi, l’esempio più frequentemente citato è quello di Thomas Paine che, in
un manifesto sulla giustizia agraria (Agrarian Justice) indirizzato al
Direttorio nel 1796 e pubblicato l’anno seguente, proponeva che una somma di 15
sterline – sufficiente per acquistare una mucca e un piccolo appezzamento di
terra – fosse corrisposta a tutti i giovani pervenuti alla maggiore età e che a
ogni ultracinquantenne si attribuisse una pensione annuale uniforme. Questa
dotazione si basava sull’idea di una proprietà comune della terra e sulla
mutualizzazione di una tassa sulla rendita fondiaria. «Il primo principio della
civiltà», scrive Paine, «sarebbe dovuto e dovrebbe sempre essere che la
situazione generale degli individui nati in uno stato civilizzato non debba
essere peggiore di quanto lo sarebbe stato nello stato di natura».
Nel XIX
secolo, Charles Fourier (1772-1837) dichiara che «il primo segno di giustizia
dovrebbe essere garantire al popolo un minimo crescente in ragione del
progresso sociale».
All’inizio degli anni Trenta del secolo scorso, Jacques Duboin (1878-1976),
teorico dell’«abbondanzismo», definisce il «reddito sociale» (espressione che fu
il primo a impiegare) come la materializzazione di una libertà nuova che dà
accesso alla sfera dei valori non mercantili. Eletto deputato dell’Alta Savoia
nel 1922, sottosegretario di Stato al Tesoro nel 1924, la sua teoria
distributiva, esposta in numerose opere, prevede al contempo un
reddito di esistenza garantito «dalla culla alla tomba» e
l’introduzione di una moneta garantita dalla produzione.
In materia monetaria, Duboin sosteneva
tesi abbastanza vicine alla teoria della «moneta deperibile» sviluppata sin dal
1916 dal tedesco Silvio Gesell (1862-1930), che voleva gravare la moneta di un
tasso di svalutazione per attivarne la circolazione e impedirne la
tesaurizzazione. Il
punto di partenza del suo ragionamento è la constatazione che l’uso classico
della moneta vieta di equilibrare i redditi distribuiti con le ricchezze messe
in vendita, col risultato di installare la «miseria nell’abbondanza».
«Occorre
dunque sostituirla con una moneta creata a questo solo scopo. Ciò potrà essere
fatto […] partendo dal principio che ogni cittadino ha il diritto di ricevere a
vita dei redditi sufficienti purché adempia, per una parte del suo tempo, a un
dovere di partecipazione, l’insieme essendo gestito attraverso
l’intermediazione di una moneta di consumo, garantita dalle ricchezze offerte
[…]
Alla moneta capitalista deve essere sostituita una moneta creata man
mano che la ricchezza è prodotta, proporzionalmente a essa, per il tramite di
prezzi politicamente definiti, e annullata man mano che è venduta per essere consumata. Questa
moneta di consumo è un potere d’acquisto che serve una volta sola: non circola
e non può produrre interessi. Ma resta la scheda elettorale del cliente sulla
produzione da rinnovare, poiché egli conserva la libertà per scegliere i suoi
acquisti».
In questo
sistema, l’ammontare della massa monetaria emessa durante un dato periodo è
uguale al prezzo totale dei beni messi in vendita nello stesso lasso di tempo.
A ogni nuova produzione corrisponde l’emissione di una nuova quantità di
moneta. Una parte di questa somma è destinata prioritariamente ai servizi
pubblici, mentre il resto viene ripartito tra i cittadini.
Si ritrovano idee abbastanza simili nello scozzese Clifford H. Douglas
(1897-1952), fondatore della scuola del «credito sociale». Douglas
si era convinto che la natura della produzione industriale, combinata al monopolio di creazione monetaria detenuto dal sistema
bancario, ha l’effetto di creare situazioni di
penuria artificiale per la maggioranza della popolazione. Il denaro, per
lui, non doveva essere una misura del valore, ma un simbolo di valore, il cui
valore di circolazione deve crescere e decrescere in stretta relazione con la
crescita e la decrescita dei beni corrispondenti.
Insomma la
moneta doveva essere distribuita ai cittadini come forma di “dividendo”
L’idea di
un reddito di cittadinanza sembrava utopistica, il che non impedì, tuttavia, di
essere sostenuta da personalità tanto diverse come Bertrand Russell, John K.
Galbraith, Jan Tinbergen, James Tobin, Paul Samuelson, Sicco Mansholt, ecc. A
partire dall’inizio degli anni Ottanta la si è vista risorgere con forza, e la
cosa più straordinaria è che, vi hanno aderito personalità provenienti dagli
orizzonti più differenti.
Così,
l’economista americano Milton Friedman, riprendendo un’idea avanzata fin dagli
anni Quaranta dall’inglese Juliet Rhys-Williams, si era pronunciato nel 1962
per un reddito minimo avente la forma di una «imposta negativa sul
reddito» (negative income tax credit), al solo scopo di rendere
più sopportabile la disoccupazione e la precarietà. Si trattava di un semplice
credito d’imposta rimborsabile, calcolato su base familiare (invece di essere
una prestazione individuale), da versare alle famiglie non soggette a imposta e
che avrebbe funzionato, per i contribuenti tassabili, come una classica
riduzione d’imposta[8].
L’idea è
di accordare un reddito minimo garantito in cambio della libertà per i datori
di lavoro di fissare i salari al di fuori di ogni vincolo legale, il che
equivale ad abolire le convenzioni collettive e ogni regolamentazione del
mercato del lavoro. L’imposta negativa costituisce, in effetti, un sistema di
sovvenzione ai bassi salari che invita le imprese a usare ed abusare della
«flessibilità» del lavoro e a ridurre le remunerazioni offerte, il che è esattamente l’obiettivo opposto a quello del
reddito di cittadinanza (quello vero).
In Gran
Bretagna, i laburisti hanno introdotto un sussidio per ogni
neonato, intoccabile fino alla maggiore età, ma che fino a questa età accumula
interessi composti.
Ma è
anzitutto l’aumento della disoccupazione a spiegare la forte ripresa dell’idea
di reddito di cittadinanza. Da più di trent’anni, infatti, nei paesi ricchi si
sviluppa una disoccupazione di massa che niente sembra permettere di arginare,
poiché progredisce in tutti i paesi industrializzati, quali che siano le
politiche adottate. A causa della crescita della produttività, l’innovazione
non crea più automaticamente occupazione. Al contrario, il lavoro diventa raro.
Ciò non
vuol dire che sparirà, come aveva imprudentemente pronosticato Jeremy Rifkin
negli anni Novanta, ma che a causa dell’automazione, dell’informatizzazione,
della robotizzazione, si producono sempre di più beni e servizi con sempre meno
ore di lavoro umano, e con sempre MENO UOMINI.
Malgrado
la crescita demografica, la produzione mondiale per abitante è stata
moltiplicata per 2,5 tra il 1960 e il 1990. Ora, questa produzione è stata
ottenuta con un ricorso sempre minore al lavoro umano, ragione per cui il volume totale di ore lavorate ha continuato a
diminuire in quasi tutti i paesi sviluppati.
L’era del
pieno impiego sembra dunque terminata.
Ne consegue che la distribuzione della ricchezza tramite il lavoro
continua a degradarsi e che diventa sempre più pesante
farsi carico degli inoccupati (o dei non occupabili). In tali condizioni, prima
o poi, il sistema cozza contro i suoi limiti interni. Tuttavia, i governi che si sono succeduti in questi
ultimi decenni hanno continuato a trattare la disoccupazione come un incidente
passeggero che era bene integrare in attesa del ritorno del pieno impiego.
Ora, sin
dall’istante in cui si riesce a produrre sempre più beni con sempre meno
uomini, il problema centrale smette di
essere quello della produzione per diventare quello della sua distribuzione.
In tali condizioni, si tratta infatti di sapere come un
volume di merci sempre crescente potrà essere assorbito mentre si assiste a una
riduzione globale del potere d’acquisto …continuando a crescere la capacità di
vendita, mentre la capacità di acquisto diminuisce. La
disoccupazione aumenterà contemporaneamente alla produzione, e la crescita
allargherà il fossato tra i più ricchi e i più poveri.
Bisogna
infatti comprendere bene che una macchina che si andrà a sostituire sopprimerà
il lavoro da effettuare non di un posto di lavoro, ma centinaia di posti di
lavoro, dunque centinaia di salari, e contestualmente anche centinaia di miglia
di euro che non rientreranno mai nel circuito economico, andrando ad ingrossare
i guadagni del proprietario dell’industria che
alla fine dei giochi diverrà l’unica industria globale. Non è dunque il lavoro a scarseggiare, ma
l’occupazione, i relativi emolumenti, e il relativo ingresso di questi capitali
nel circuito economico e commerciale.
In un
contesto di rarefazione dell’occupazione, «delle due l’una: o le protezioni sociali sono legate all’occupazione con
le conseguenze di disuguaglianza ed esclusione che conosciamo, o le protezioni sociali sono legate alla persona, e
ciò deve tradursi come minimo in un reddito garantito».
Si passerebbe così da
un’economia dell’scarsità a un’economia distributiva (detta anche «economia dei
bisogni»), ridistribuzione
non attraverso il lavoro ma la semplice distribuzione delle ricchezze prodotte,
dal momento che esse lo sono con sempre meno lavoro UMANO e relativi
scarsastipendi.
Per
coloro che ne sostengono il principio, l’instaurazione di un reddito di
cittadinanza avrebbe molteplici vantaggi. Un tale reddito «permetterebbe al contempo di sradicare la povertà,
sopprimere la disoccupazione, ridurre le disuguaglianze e le ingiustizie
sociali ed emancipare l’individuo». Un reddito di esistenza è
un evidente fattore di integrazione sociale, esso permetterebbe in ogni caso di
lottare contro l’esclusione e favorendo l’autonomia, i salariati, non
trovandosi più nella condizione di dover accettare qualunque occupazione per
sopravvivere permetterebbe nuovi arbitrati tra tempo di lavoro e tempo libero,
ed essendo incondizionatamente
distribuito a tutti, il reddito di cittadinanza sfugge peraltro a ogni
mercanteggiamento politico e non indurrebbe alla frode, contrariamente alla
maggior parte delle prestazioni sociali.
Il
«riconoscimento del carattere sociale collettivo della creazione di ricchezza».
«Il livello di produzione di una società […] incorpora l’apporto storico delle
generazioni precedenti, quindi, la distribuzione di un reddito d’esistenza
manifesta la quota di produzione che rientra oggettivamente nell’ambito di
questa eredità comune». Tuttavia, il principale pregio del reddito di
cittadinanza è che rimetterebbe in discussione il lavoro salariato come base
del capitale e dei rapporti sociali.
Con il
reddito di cittadinanza, il lavoro salariato cessa di essere l’unica modalità
possibile di inclusione sociale, nonché di socializzazione. Il reddito di cittadinanza, permettendo di passare
dal lavoro subìto al lavoro scelto costituisce un considerevole
progresso sociale della nostra autonomia che favorisce l’uscita dal capitalismo
salariale a vantaggio del lavoro autonomo, così come un’economia rilocalizzata,
integrante la dimensione ecologica e orientata verso lo sviluppo umano…lavoro
scelto in una società più cooperativa e conviviale.
Si tratta, in primo
luogo, di sconnettere il lavoro dal reddito, ma anche di sconnettere il lavoro
dall’occupazione, dato che la riduzione del primo alla seconda sfocia
nell’esclusione di coloro che sono privi di occupazione, nella paura della
disoccupazione tra i salariati e nel controllo sociale degli assistiti. Ancora una volta, è importante non confondere
lavoro e occupazione. «L’occupazione non è altro che lavoro divenuto merce,
contrattualmente sottomesso alla tutela e alle esigenze di un datore di lavoro
e il cui prezzo è determinato dal mercato». A questo riguardo,
il reddito di cittadinanza contraddice l’idea dominante che «la lotta contro la
povertà passa attraverso l’occupazione». La povertà è, infatti, in primo luogo
una faccenda di reddito. Il reddito di cittadinanza rappresenta un cambiamento
nella distribuzione dei redditi, un nuovo sussidio sociale redistributivo che
va ad aggiungersi ad altri.
Ma in realtà, è lo stesso sostentamento che dovrebbe essere centrale,
non il lavoro.
Quindi
devianti gli articoli della Costituzione che parlano della centralità del
lavoro
All’idea di reddito di cittadinanza
sono state mosse anche numerose obiezioni. Alcune sono obiezioni morali, altre
obiezioni economiche. Le une riguardano il principio stesso del reddito di
cittadinanza, molte concernono la sua fattibilità, in particolare il suo finanziamento. La critica morale si fonda, in generale, sulla
vecchia idea cristiana secondo la quale il lavoro costituisce il destino
obbligatorio dell’umanità dopo il peccato originale («chi non lavora, non
mangia», diceva san Paolo).
La critica secondo cui il reddito di
cittadinanza trasformerebbe tutti i cittadini in assistiti, rafforzando così
l’idea che essere cittadino vuol dire anzitutto essere un avente diritto, non è
più accettabile: «Il reddito di esistenza non è un assistentato, perché, una
volta munito del necessario, l’individuo prova il bisogno di agire e di
realizzarsi». Ma
l’obiezione più comune riguarda evidentemente la fattibilità del progetto. Il
reddito di cittadinanza è vitale dal punto di vista economico e finanziario? E
come finanziarlo? Il
suo ammontare deve essere indicizzato sull’inflazione (ma bisogna notare che
non è inflazionistico, poiché segue l’evoluzione del reddito nazionale). L’introduzione
del reddito di esistenza è riducibile a un semplice problema di ripartizione
delle ricchezze esistenti».
Nei computi che sono stati fatti, la fonte di finanziamento più frequentemente
allegata è il trasferimento di una parte dei fondi oggi assegnati alla
protezione sociale. Nel sistema del reddito
di cittadinanza, questa protezione non ha più, infatti, la stessa ragion
d’essere. Il reddito di cittadinanza si sostituirebbe alla maggior
parte dei meccanismi redistributivi e degli aiuti sociali attuali, minimi
sociali, assegni familiari, sussidi per l’alloggio, quoziente familiare
applicato all’imposta sul reddito, supplemento familiare di trattamento, premi
di occupazione, esoneri dalle tasse, tariffazioni sociali, sovvenzioni
agricole, ecc.), eccezion fatta per la previdenza sociale (che è
un’assicurazione e non un sussidio), per l’assicurazione contro la
disoccupazione, certi aiuti all’alloggio e i sussidi agli handicappati. Bisogna
qui ricordare che, secondo l’Insee, le prestazioni sociali rappresentano, da
sole,circa il 44% della spesa pubblica, ossia circa 400 miliardi di euro nel
2007. Su questo totale, il volume delle somme ridistribuite supera i
337 miliardi di euro all’anno, totale sul quale 250 miliardi circa potrebbero
essere stanziati per il reddito di cittadinanza. Il resto del finanziamento
sarebbe assicurato dalla soppressione di un certo numero di nicchie fiscali e
da una riforma della fiscalità diretta e indiretta che preveda, in particolare,
la soppressione delle aliquote e la loro sostituzione con un semplice sistema
di progressività lineare.
In Francia è stato presentato un
progetto di finanziamento del reddito di esistenza basato su un sussidio di 300
euro mensili. Questa cifra corrisponde a un sussidio annuale totale di 216
miliardi di euro per 60 milioni di persone, cifra da riferire a un PIL di quasi
2000 miliardi di euro. L’ammontare sarebbe fissato inizialmente nel quadro di
una legge-programma, poi riaggiustato ogni anno in funzione del prodotto
nazionale. È prevista una fase transitoria di cinque anni che permetta di
passare progressivamente dal lavoro dipendente a forme di «partecipazione». Per
il finanziamento complementare si è ipotizzato un prestito di Stato sul
risparmio.
Alcuni
pensano che il reddito sociale non dovrebbe assumere la forma di classico
denaro liquido, ma quella di una moneta differente, come la «moneta di consumo»
…. o la “Cambiale Sociale”. In questo sistema, ogni produzione commerciale
sarebbe automaticamente accompagnata dall’emissione del suo «equivalente
monetario», ossia dalla quantità di moneta di consumo che permetta l’acquisto
delle merci prodotte. La moneta così emessa potrebbe servire una volta sola:
sarebbe automaticamente annullata nell’istante dell’acquisto. Questo sistema è
molto simile al «credito sociale» di C. H. Douglas o alla «moneta deperibile»
di Sivio Gesell, di cui si è parlato prima. Esso pone, tuttavia, dei problemi :
«Come si fa a stabilire l’equivalente monetario di un prodotto al momento della
sua produzione, soprattutto quando questa produzione richiede pochissimo
lavoro? Il suo valore di scambio, il suo prezzo, non possono essere determinati
dal mercato, poiché l’emissione di moneta di consumo deve aver luogo prima o
nell’istante della immissione sul mercato. Affinché la quantità di moneta
emessa corrisponda al prezzo di vendita, bisogna che i prezzi siano fissati ex
ante, da un “contratto cittadino” tra consumatori, imprenditori e poteri
pubblici. Detto altrimenti, bisogna che i
prezzi siano prezzi politici, che il sistema dei prezzi sia il riflesso
di una scelta politica, di una scelta di società concernente il modello di
consumo e le priorità che la società intende darsi».
Si potrebbe inoltre sostenere che, nel contesto di una progressiva
rarefazione dell’occupazione, il capitalismo potrà sopravvivere solo mediante
una distribuzione del potere d’acquisto che non corrisponda più al valore di
un lavoro. Il reddito di cittadinanza sarebbe allora il mezzo per continuare a
favorire il consumo di merci prodotte per trarre un profitto.
Una prima
fase del piano descritto è il processo che vede un
ritorno in patria, almeno parziale, di produzioni precedentemente
esternalizzate. In pratica, si assiste a un rientro degli
investimenti delle aziende italiane che creano nuovi impianti o esternalizzano
la produzione affindandola a terzisti del territorio. Si tratta soprattutto
di aziende del sistema moda tipo il Gruppo Benetton ad esempio che ha riportato in Italia una piccola parte della
produzione e lo ha fatto lanciando una nuova linea di maglioni “basic” in lana
merino e cashmere con
il marchio “Tv 31100”. La produzione, sui 200 mila maglioni
l’anno, ha comportato un investimento di circa 2 milioni di euro. L’iniziativa è stata possibile grazie alle nuove
tecnologie messe a punto dall’azienda giapponese Shima Seiki, che realizza
macchine per la lavorazione di capi completi senza cuciture e che permette
abbattimenti di costi attraverso la drastica riduzione dei mano d’opera.
Appare evidente a tutti che restare inerti di fronte a un tale catastrofico
scenario significherebbe accettare la fine senza tentare alcuna difesa… questo
modello è l’alternativa all’economia globale e destatalizzante che guarda solo
ai bilanci, ai soldi, mentre stritola le dignità delle persone, e siete Voi,
noi tutti con le nostre ricchezze umane, storiche, locali ed ideali. In questo
contesto i sindaci hanno una grande opportunità, soprattutto se la sapranno
cogliere in tempo ed in quantità massiccia. C’è la possibilità di una
assicurazione di una CASCO, ossia la rappresentazione e la gestione del valore
comune istituzionale che
sono stati chiamati a gestire ed incaricati di governare nel loro territorio, i
beni … ed i cittadini; prima e suprema
ricchezza.
Il modello
di economia compettitiva, rapace ed accentratrice della moneta debito si sta
dissipando, autodistruggendo e porta nel baratro con sé intere nazioni. In virtù
della logica generalizzata dell’interesse che si applica alle monete e di fatto
sta spogliando, derubando ed impoverendo intere economie, nazioni e generazioni
spostando ricchezza da chi l’ha prodotta realmente a chi invece la riscatta
solo avendo prestato denaro, non “VALORE”, ma “VALUTA” ….metri
adatti per misurare il valore…. Questo è il vero abominio del nostro tempo….. aver
adottato la mappa come vera e non il territorio di cui questa è solo la
schematica idealizzata rappresentazione.
Questa
precedente constatazione ci porta a riflettere sul fatto che è necessario
fermare la nostra estenuante corsa e ricominciare a vedere il mondo sotto il
profilo ideale filosofico con al centro l’uomo… e ci apparirà chiaro la falsità
di entità che ruotano attorno all’uomo e la sua natura ma solo per
sottometterlo, manovrarlo, manipolarlo. Il valore è insito nella vita, niente altro è valore
se non c’è vita, e
il valore supremo della vita è il tempo che ciascuna vita ha di esistere,
e non certo il denaro. Continuare a pensare alla triangolazione “uomo, tempo,
denaro” è azione spregevole, schiavistica, e colpevole in questo sistema che ha
piegato l’uomo al lavoro in “batteria” come una stia di polli da sfruttare fino
all’ultima goccia di sangue e del suo tempo . Il mondo si cambia cominciando a
pensare idee nuove, ognuno è ciò che pensa. Se si
continua a pensare sempre le stesse cose si faranno sempre le stesse cose e si otterranno sempre gli stessi risultati.
Lo studio
del concetto del tempo è importante in quanto il valore (qualunque valore) è
solo una diversa estensione del concetto di tempo, se non ci fosse il tempo non
ci sarebbe neppure il denaro, ed altro di ben più importante ….. I nostri
antenati hanno concepito e definito il senso del tempo (passato, presente,
futuro) determinando il concetto del valore che viene dal passato (una casa, un museo, un opera, la torta
della nonna, addirittura una concubina) per poi spenderla (o utilizzarla) nel
presente o nel futuro, sono tutti “potenziali” valori… ma è solo l’uomo che
in previsione dell’utilizzo ne determina il valore più o
meno rilevante nell’ evoluzione del tempo, Ormai è emerso chiaro ed
inconfutabile a tutti che questo sistema economico nazionale ed internazionale
contraddistinto da tagli di investimenti (spesa la sviliscono) che
salvaguardano i bilanci economici nazionali per “mantenere sotto controllo i
debiti” (ossia gli interessi dovuti alle banche private), mentre distrugge ogni
diritto sociale ed individuale, manda
alla deriva il nerbo migliore della società e dell’impresa.. insomma non è alla lunga sostenibile socialmente.
Viceversa vengono più o meno occultamente sostenute produzioni ed intere
filiere economiche inventate di sana pianta senza altro scopo se non per far
girare denaro aduso di amici degli amici.. dicasi supporto e foraggiamento
dell’immigrazione incontrastata ed al contrario agevolata…, D’altra parte
queste inutili filiere produttive servono a generare “consumatori”
lobotomizzati (sia nazionali che immigrati) e
a ridurre i nostri territori a discariche di immondizia materiale e
morale che in futuro si sarà costretti a “bonificare”.
Questo
sistema di potere che ha puntato tutto sullo sfruttamento del lavoro umano e
dell’ambiente non è sostenibile e non ha futuro ed i sistemi attuali, informatizzati
ed automatizzati hanno divorato i cosiddetti “posti di lavoro”. Pretendere
“lavoro” è follia. Il perseguimento insostenibile della sua
creazione secondo le antiche regole è segno di imbecillità e crudeltà estreme.
Basta una
minima riflessione per capire che :
1)
aumentando costantemente la
popolazione (fra 10 anni raggiungeremo i 10 miliardi/mondo);
2)
arrivando sempre più disperati (o
opportunisti) che saranno competitori nel residuo mercato del lavoro;
3)
se la tecnologia e la scienza
eliminano sempre più posti di lavoro, anche nel lavoro intellettuale
utilizzando androidi coscienti e autoriproducenti;
4)
diminuendo costantemente il numero
degli impiegati con reddito… sempre meno saranno quelli che potranno
permettersi di comprare qualcosa;
5)
non è la ricchezza che manca,
6)
non sono i prodotti che mancano,
7)
non è la voglia o la capacità
delle persone di lavorare;
8) non è la tecnologia, le risorse che mancano;
9)
è l’intenzionale mancata
ridistribuzione della ricchezza con equità e dignità che principalmente determina
l’attuale situazione di crisi. Una
plutocrazia/gerontocrazia di banchieri stringe il cappio al collo del mondo nel
debito e negli stenti per gestire il potere sempre più dispoticamente. Ecco
perché noi proponiamo il reddito di cittadinanza. E tutti gli Stati saranno
costretti quanto prima ad adottarlo.
continuare a legare la dignità della vita con il posto del lavoro salariato non ha più senso.
Il
modello di economia accentratrice della moneta debito ormai si sta
autodistruggendo in virtù della logica dell’interesse che si applica alle
monete di fatto sta riducendo in schiavitù intere nazioni. La risposta si può
trovare soltanto in una nuova, intelligente, virtuosa forma di economia :
riduzione dei consumi, riciclaggio, recupero, risparmio energetico; prodotti a
km zero; diversificazione del “modello di vita”; massificazione nell’utilizzo
delle Energie pulite; rieducazione tramite la scuola della popolazione alla
conoscenza, coscienza e responsabilità; capacità critica, alfafabetizzazione
comportamentale etc., etc..-
Le varie
associazioni che sponsorizzano solo un fronte o solo un’idea (esempio km zero),
agiscono bene… ma sono perdenti se non cominciano a capire che bisogna lavorare
insieme e “come sistema” e su tutti i fronti, non solo, ma il primo fronte in assoluto è quello del denaro in quanto “ogni cosa” si fa nel
“tempo” ed il valore nel tempo si sposta solo con il denaro.
Tentare di fare risparmio energetico, o decrescita o qualunque altra iniziativa
senza preoccuparsi della moneta debito significa non aver capito il problema
e quindi non sapere come risolverlo. E questa “comprensione del problema” si
riduce ad un unico principale concetto e cioè : < Tutto il male nasce nel
non voler riconoscere il diritto di proprietà del “valore” di ciascun
uomo.>. A prescindere dal fatto che lavori o meno.-
Un’idea
che dobbiamo sgombrare dalla mente è quella di continuare ad
utilizzare qualcosa di dimensionalmente grande. Banche, magazzini, compagnie, filiere, etc., etc... Oramai è
dimostrato che tutto ciò che è grande è grandemente corruttibile. Più una
comunità, più una azienda è piccola, più è meglio gestibile, anche
nell’emergenza. Gli artigiani, le piccole imprese, i piccoli coltivatori, i
piccoli paesi, le piccole banche cooperative locali sono da preferire e
maggiormente performanti. Ma sopra ogni altra riflessione .. occorre
evidenziare che, mentre qualche decennio
fa era necessario per tutta una serie di vincoli tecnologici avere apparati ed
industrie di grandi dimensioni, oggi non è più obbligo necessario, e nel
momento della massima automazione – robotizzazione industriale, l’unica via che rimane all’uomo
è creare un’economia parallela.
Il pianeta per quanto grande possa sembrare è piccolo, e la gestione
dei territori è una questione seeria, di sopravvivenza . Tutto quanto premesso
per affermare che occorre un nuovo modello di economia che parta da un
nuovo modo di pensare che non è quello delle vite umane condizionate alla moda
decisa dall’arido capitalismo abituato a considerarci automi umani.
Il valore
di un territorio sono le persone che ci vivono, le loro conoscenze, il loro
saperi, l’ambiente, il territorio, la storia, l’archeologia, l’architettura,
l’acqua, l’aria e tutte le altre risorse naturali. La sola presenza di un città
abitata, da valore a quel luogo, senza uomini non esiste valore. È l’uomo il portatore sano del valore. E “nel
tempo” produce, carica, scarica, trasporta e sposta “quanti” di valore da un
uomo ad altri uomini … Purtroppo questo oggi non viene riconosciuto.
Quindi il lavoro che produce una persona deve essere di proprietà del
lavoratore fintanto che non gli viene riconosciuto uno stipendio che fa passare
di proprietà il lavoro prodotto dal lavoratore al datore di lavoro. Con la
moneta debito ciò non è più vero. Occorre far tornare al centro del valore…. il
valore intrinseco di ogni uomo come sopra descritto.
Il
progetto principale sarà nazionalizzare e gestire direttamente le banche
creando MONETA CREDITO, oltre ad invertire
tutte le politiche economiche, annullare ad esempio le pubblicità televisive,
cambiare comportamenti personali, destrutturare i potentati…… invertire i
processi partendo dalle comunità locali, i sindaci saranno chiamati ad essere
d’esempio ai cittadini e partecipare attivamente a questo mutamento ideologico
- filosofico e comportarsi di conseguenza, risparmiando, decrescendo,
demonetizzando la loro vita e quella dei loro concittadini.
Il Comune (ne ha tutte le facoltà nella sua autonomia) già da ora, e senza l’intervento della politica o della finanza ufficiale può garantire “Titoli” per far si che il suo territorio si mantenga e prosperi nel benessere. Tra le tante iniziative possibili c’è quella di rappresentare il valore nel territorio locale e ad esempio per farlo il Comune può “garantire” la Cambiale Sociale Comunale.
Uno dei
migliori modi per fare valorizzare e rimanere la ricchezza in un territorio
(evitando di farla drenare attraverso le multinazionali, grandi banche, catene
di magazzini, grandi compagnie telefoniche, ecc) è quello di cercare di
radicare la ricchezza con una moneta locale. Quella che si può spendere solo in
quel luogo e in quel territorio.
La
cambiale sociale (euro) comunale in breve (CASCO)
è un titolo di rappresentazione e conservazione del valore
che può essere emesso da ogni persona a titolo privato e garantito da un ente
pubblico che rappresenta la comunità di un territorio e quindi il valore di un
territorio.
Il CASCO può essere emesso dal Comune per il
suo solo territorio in maniera personalizzata (con l’effige di un monumento del
luogo per esempio) e può essere spendibile solo all’interno del territorio
comunale. L’emissione ed uso della Cambiale Comunale titolo “CASCO” viene sponsorizzata dall’ente che
rappresenta un territorio con un comunità.
Il CASCO (titolo fiduciario – accettabile, o
no, a proprio insindacabile arbitrio) può essere utilizzato al 100% come titolo
di pagamento per prestazioni intellettuali, servizi culturali e sociali.
(assistenza anziani, formazione, consulenza progettazione, badanti, scuola,
attività artistiche e quant’altro prodotto, realizzato, fornito “in loco”).
I
contadini potranno vendere i prodotti in eccedenza dei loro giardini in CASCO.
Ogni
Comune quindi potrà chiedere servizi ai propri cittadini pagando in CASCO ed i cittadini potranno comprare e
vendere servizi all’interno del Comune in CASCO
ed anche pagare le tasse locali.
Qualora
l’immissione di CASCO diventasse esuberante rispetto al giusto equilibrio fra
“VALORE” locale disponibile e “VALUTA, per regolare il flusso ed evitare
inflazione, il Comune potrà drenare quantità controllate di CASCO mediante
tassa comunale pagabile in “CASCO” per gestire il flusso di titoli CASCO in
circolazione.
Per la
migliore comprensione e facilità di contabilità
1 CASCO sarà uguale ad 1 EURO.
I tagli
delle Cambiali Sociali Comunali saranno come gli euro
5-10-20-50-100- CASCO.
Le Cambiali
Sociali possono
esse usate (e lo sono) come una promessa di pagamento, il Comune può avallare
prestiti ma sempre e solo senza interessi.
Cari Amici
la soluzione c’è…. Bisogna solo crederci e provare di percepire una visione superiore,
e soprattutto capire e dimostrare che si sta dalla parte dei cittadini e non
mai dalla parte delle banche e della finanza. Non basta lamentarsi che lo Stato
centrale ha fatto solo tagli o rapine, bisogna capire perché lo ha fatto e se
si possono evitare, e come, per il futuro quei tagli, rapine,
prevaricazioni, o meglio soverchiarli.
Oggi
quindi non siamo solo e soltanto in competizione con le varie delocalizzazioni
…o anche la mancanza di filtri doganali per merci provenienti da paesi
particolarmente aggressivi… o anche i flussi migratori che
pervengono dai Paesi in urgenza demografica o in guerra per cui siamo al
cospetto di gente che fugge dalla miseria da carenza di lavoro che una volta
giunti qui da noi è disponibile a svolgere qualunque lavoro a qualunque prezzo…
No .. c’è di peggio, molto peggio… siamo alle soglie del dominio, non solo
dell’informatica/telematica… ma ad una conquista del mondo da parte di una
nuova etnia… quella dei robot… e presto anche quella dei robot androidi.
Questo
l’aveva già molto bene intuito, pure se non pienamente sviscerato, Immanuel
Kant , quando parlava dei rapporti fra Golem ed umani… argomento poi affrontato
successivamente da Isaac Asimov, preveggendo di quasi un secolo quello che
sarebbe poi ai giorni nostri avvenuto.
Le tre
leggi della robotica furono un insieme di leggi alle quali, nella fantasia di
Asimov tutti i robot positronici erano obbligati ad obbedire; esse
furono pubblicate, notate, … nel 1942.
Le tre
leggi hanno subito qualche variazione passando da traduzione a traduzione, ma
anche se il contenuto rimane sempre lo stesso è meglio esprimere prima le tre
leggi nella versione originale:
§
Un robot non può recar danno a un
essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un
essere umano riceva danno.
§
Un robot deve obbedire agli ordini
impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima
Legge.
§
Un robot deve proteggere la
propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la
Seconda Legge. »
Le 3 leggi
successivamente furono modificate in:
§
Un robot non può recar
danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato
intervento, un essere umano riceva danno. Purché questo non contrasti con la
Legge Zero
§
Un robot deve obbedire agli
ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla
Legge Zero e alla Prima Legge.
§
Un robot deve proteggere la
propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Legge Zero, la
Prima Legge e la Seconda Legge.
Qui nel
secolo scorso, oltre 75 anni fa, si era nel campo della fantasia…. Ora quella
fantasia è diventata realtà e sempre più lo sarà in futuro… e per quanto
accennato ed estrinsecato fino alla noia in tutte le varie considerazioni che
sono state proposte sul tema in oggetto… se ne deduce che reggimentare,
regolare e normare con un piano d’assetto generale e particolare il divenire
dell’introduzione di sempre più evoluti e performanti cervelli artificiali
nell’industria e qualunque altra attività imprenditoriale, professionale o
lavorativa… è diventata scelta obbligata ed improcrastinabile.
Occorre
che lo Stato (gli Stati) e le sue/loro varie Istituzioni ed Enti applichino una
qualche direttiva nel senso della prima legge della robotica … ampliandola
anche nel senso della ridistribuzione dei redditi derivanti dal lavoro compiuto
dai robot avendolo sottratto ai suoi concorrenti umani.
Altrimenti
si porranno in competizione/lotta alla sopravvivenza di una o due specie
senzienti … occorre quindi che il legislatore arrivi a comprendere la necessità
e l’urgenza di tali normative regolatrici da una parte del mercato del lavoro e
dall’altro della ridistribuzione verso i cittadini della ricchezza prodotta
attraverso l’utilizzo del lavoro a costo tendente a zero dell’utilizzo di
“robot in ogni settore delle attività fin qui definite “umane”… Ma ora e sempre
più in seguito definibili “robotiche”…
Per
ulteriori informazioni ed approfondimenti contattateci.
Orazio Fergnani – AlbaMediterranea.