venerdì 13 maggio 2022

CAPITOLO 35 – LA FINANZA DEL DELIRIO


 

CAPITOLO 35 – LA FINANZA DEL DELIRIO

 

La Tesla  ha recentemente superato, come valore di Borsa, la Ford:  i “mercati”   si contendono il  titolo, che va a ruba. I capitalisti privati fanno a gara per dare capitali al fondatore di Tesla, il geniale Elon Musk; miliardi di dollari, anzi decine di miliardi di dollari. E come tutti sappiamo, i privati sanno a chi merita darlo.

 

Dunque giustamente Tesla supera oggi in Borsa il valore di Ford.  Anche Tesla, come Ford, fa auto: ma ne ha venduta l’anno scorso 76 mila, mentre la Ford, 6 milioni.

Vero è che le auto Tesla sono elettriche,  dunque molto chic, ecologiche, prestigiose da avere  a Sylicon Valley fra i nuovi miliardari creatori di start-up, e quindi costose: 101.300  dollari mentre  Ford fa utilitarie

 

Nel 2016, Tesla ha perso  più di un miliardo  di dollari. E  Ford, intanto, ha guadagnato 10 miliardi. Ma i “mercati”, infallibili nell’allocare i loro capitali, finanziano  – ossia valorizzano –  Tesla più di Ford.

 

E continuano pure ad offrire miliardi a Uber, Uber non ha quasi personale, non ha strutture, è un’azienda di taxi che non ha dovuto comprare un solo taxi si basa su una app, ossia su un piccolo software: insomma è l’incarnazione stessa dell’impresa  “snella e innovativa”, basata  esclusivamente “su un’idea nuova”, prototipo  della “New Economy”  immateriale, impalpabile e dunque  senza i fastidiosi “costi” che vengono dalla necessità di comprare macchinari o assumere operai.

 

Dei piccoli borghesi al posto di Uber si  sono comprati l’auto e non potendosela permettere sperano di pagarsi le rate  facendo i taxisti/schiavi.

Gli investitori-capitalisti profondono miliardi su Uber nel 2016, che ha generato il giro d’affari astronomico ed incomprensibile per una mente sana di 20 miliardi di dollari, e un margine operativo lordo di ben 6.5 miliardi – e contemporaneamente una perdita di 2,8 miliardi.

 

Un ingenuo resta interdetto dal fatto che Uber incamera una commissione del 30% sull’attività dei suoi guidatori-tassisti a  tempo perso e ha appunto perso 9  miliardi da quando è nata nel 2010.

 

Senza considerare che sovvenziona pesantemente la sua attività e sottocosto.

Sovvenzionare in certi paesi la attività, serve ad uno scopo benedetto dai mercati:  debellare la concorrenza, fare “volume”. Tutto il profitto sperato e futuro di Uber sta infatti nel  progetto di rimpiazzare totalmente e dappertutto i taxi, diventare monopolista mondiale di questo tipo di mercato, ed è per questo che riesce ad ottenere somme titaniche dagli investitori, nonostante sia già molto valorizzata (68 miliardi di dollari).

 

Finanziano “idee”, ed Elon Musk ne crea a getto continuo… 53 mila delle  sue auto elettriche Tesla  vendute hanno dovuto essere richiamate  per malfunzionamento.

E i capitalisti di ventura  buttano miliardi in Tesla. Su cosa investono, infondo? Su fuffa di truffatori, direte voi  provinciali.Questa è la New Economy, i mercati premiano le “nuove idee”. I sogni. I deliri.

 

Naturalmente, il fatto che i “mercati” finanzino titanicamente, e per tanti anni, multinazionali della fuffa e del delirio, ed accettino per tanto tempo di incamerare perdite, finirà male, ma come mai ai capitalisti di ventura, ai “mercati”, non importa?

 

Come mai hanno tante  decine di miliardi da buttare? Sono i miliardi, anzi le migliaia di miliardi  emessi dalle banche centrali, ragazzi. A loro, i capitalisti (le banche multinazionali), non costano niente, neanche più il costo della carta e dell’inchiostro e li investono in promesse di profitti mirabolanti, nella speranza del colpo gobbo.

 

Un altro modo di vedere  mostrerebbe invece che  si tratta di investimenti giustissimi e azzeccati gli unici per il torvo e catastrofico prossimo futuro. I miliardi dati a Tesla sono investiti, in fondo, nella “industria del lusso” l’unico possibile mercato del futuro (se non interverranno cambi di rotta). L’auto elettrica da 100 mila dollari, infatti, è fatta apposta per invogliare  il famoso 1% straricco, che oggi è anche vegano, ecologista, animalista, e giustamente vuol guidare un’auto “pulita” a qualunque prezzo. Naturalmente senza  il minimo pensiero che l’auto Tesla non genera elettricità; ha batterie, e l’elettricità la generano le solite centrali a carbone, petrolio, gas, inquinanti come sempre.  

 

Un mondo ineluttabilmente avviato verso un demenziale sovvertimento creativo; già i robot hanno sostituito i precari da McDonald’s; in certe aziende cinesi gli operai sono già sostituiti da automi – non c’è  più bisogno di uomini. Niente salari….

La Ford probabilmente non venderà i suoi 6 milioni di auto agli operai…. Ma la Tesla le sue centomila auto ai nababbi verosimilmente si! (fino a che, per qualche anno, esisteranno i nababbi)

Ma l’industria dell’auto ha pure i suoi uffici di credito, e già offre prestiti anche di 7 anni anche su auto d’occasione anche quando l’auto usata (bene dato in garanzia) raggiungerà il valore zero molto prima che il prestito sia rimborsato. 

 

Ma alla finanza creativa non importa, perché hanno creato qualcosa di ancor più illusorio, quasi magico… quel debito mica se lo tengono nei libri contabili le banche;  lo rifilano, impacchettato in migliaia di prestiti “garantiti” allo stesso modo, a fondi d’investimento, fondi-pensione, e simili.  Stanno di nuovo gonfiando la bolla del subprime, come quella   che  implose nel 2008.  Delirio.

 

E senza soluzione di continuità si passa a renderci conto della peggiore della catastrofi che stanno per travolgerci …. un miliardo e 100 milioni di posti di lavoro, a livello globale, saranno sostituiti dai robot nel corso di poco più di una generazione.

Secondo il Rapporto del Mc Kinsey Global Institute il 49% delle attività lavorative potrà essere automatizzato già a partire dalle tecnologie esistenti.

 

È terrificante, tenendo conto che, nel frattempo, le tecnologie esistenti saranno in via di rinnovamento a velocità iperbolicamente crescente. Cioè i posti di lavoro riservati agli umani diminuiranno di anno in anno in termini variabili. Per l'Occidente e per l'Oriente. Molto più drammaticamente per l'Oriente di quanto non sarà per l'Occidente.Lo stesso rapporto citato aggiunge che circa il 60% di tutti i posti di lavoro inventati dall'uomo contemporaneo possono essere automatizzati per circa il 30% delle loro funzioni, mentre è già ora possibile calcolare la completa automatizzazione futura del 5% delle rimanenti.

 

Gli esperti russi, dal canto loro, ritengono che "nei prossimi 20 anni, circa il 45% delle professioni intellettuali

e circa il 75% dei lavori fisici potranno essere occupati da robot con diversi sistemi di automatizzazione".

Già oggi i robot prodotti negli Stati Uniti e in Giappone, con un ammortamento di due anni in media, sono già,

in produzione di serie,  e più economici della forza lavoro cinese o indonesiana.

 

Dunque sono in vista per questa e la prossima generazione, sconvolgimenti quantitativi e qualitativi. Ci sarà una enorme massa di persone che si troveranno "in eccesso", cioè non più necessarie per un processo di produzione di merci e servizi che sarà in grado di andare avanti senza di loro. E queste masse di persone "liberate dal lavoro" non staranno immobili nelle aree del pianeta in cui si trovano in un dato momento, ma si muoveranno vorticosamente.

 

Gli effetti della robotizzazione sono già, e lo saranno ancora più nel corso dei prossimi anni, di gran lunga più devastanti nei paesi tecnologicamente meno sviluppati. La "liberazione" imposta dalle tecnologie, applicata a società con bassa produttività del lavoro, moltiplicherà molto più massicciamente il numero dei senza lavoro nei paesi che oggi chiamiamo eufemisticamente "in via di sviluppo".

Nei primi dieci anni del XXI secolo, si prevedeva che, nel corso dei venti anni successivi, l'Europa avrebbe avuto bisogno di almeno 20 milioni di immigrati, per fare fronte al basso grado di natalità di tutti i suoi paesi. 

 

Ma queste previsioni, a distanza di soli dieci anni, sembrano già spazzate via da impetuose realtà che non erano state calcolate. Il quadro che si delinea è di gran lunga più raggelante: l'Europa non avrà bisogno di questa immigrazione, che si annuncia enormemente più grande di quella che già oggi non siamo in condizione di assorbire

 

Ed è questa follia che i nostri governanti nella loro ottusa allucinazione nascondendosi dietro l’immagine delle caritatevoli onlus stanno continuando a fare imbarcare immigrati clandestini che non avranno alcuna possibilità di integrazione aggiungendo così a devastazione … devastazione futura al quadrato…E la disoccupazione di massa sarà una delle tante piaghe future ….

 

Ma allora perchè continuare ad insistere su quanto affermano questi articoli della Costituzione?

 

Art. 1.

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro….

Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4.

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto….

Art. 35.

La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.

Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro…..

Art. 36.

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa….

Art. 38.

Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Art. 46.

Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

Analizzando le due tabelle qui sopra si evince che in Italia lo scarto fra occupati stranieri e locali è il più alto d'europa: +6,9%. (con picchi del 33% fra i giovani). il motivo? il sistema economico richiede un tipo di lavoratore con poche skills, intercambiabile, da pagare il meno possibile.

 

«Vengono a rubare il lavoro degli italiani, abbiamo già tanti disoccupati». Oppure: «Fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare». Quante volte abbiamo sentito queste frasi fatte? Un motivo per un conflitto tra queste visioni c’è: l’Italia risulta essere, in base agli ultimi dati Eurostat, uno dei Paesi d’Europa in cui il tasso d’occupazione degli stranieri è più alto di quello dei locali. Precisamente il 6,9% in più, solo in Slovenia e in Grecia il divario è maggiore, mentre in media in Europa gli extracomunitari sono meno occupati degli autoctoni del 10% circa, che diventa il 20% in Francia e il 22% in Germania.

 

Le cifre cambiano se parliamo di stranieri comunitari, quindi rumeni, bulgari, polacchi, ma anche francesi, inglesi, spagnoli, ecc. In questo caso in nessun Paese come il nostro la differenza è maggiore, +14,9%.

 

I QUATTRO POTERI DELLO STATO : Monetario; Legislativo; Esecutivo; Giudiziario

 

Le persone "Perbeniste", accademiche, ufficiali, organiche ....sono le meno attendibili e razionali.... perché invece di porsi delle domande e cercare di darsi delle risposte…. Tengono spento il cervello, accettano passivamente spiegazioni (che non spiegano “davvero” niente) e tendono a mantenere e far sopravvivere il “sistema” anche quando questo si è dimostrato inequivocabilmente fallimentare come attualmente succede.

 

Il POTERE MONETARIO...  Basta che andate a leggervi la promulgazione di una qualunque legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale... tutte le leggi vengo promulgate

 

... SALVO COPERTURA FINANZIARIA... il che conferma che senza soldi non si celebrano nozze... SAREBBE DA DOMANDARSI PERCHE’ UNA COSI IMPORTANTE... LA PRIMARIA funzione e potere dello stato SIA SEMPRE STATO VOLUTAMENTE CELATO e addirittura  nel corso degli ultimi anni sia stato completamente DEMANDATO …..alle banche PRIVATE ! ! ! !

 

I CINQUE  ELEMENTI ESSENZIALI ED INDEROGABILI NECESSARI AD UNO STATO :

TERRITORIO; CITTADINI; MATERIE PRIME/ALIMENTI; ENERGIA; SISTEMA MONETARIO; REDDITO DI CITTADINANZA (IN REALTÀ SONO ALMENO SEI)

 

LA FINE DEL LAVORO

 

1)       prima delle rivoluzioni industriali, più del 90% della popolazione si occupava di agricoltura.

2)       Nella prima rivoluzione industriale grandi masse di lavoratori lasciano l'agricoltura per andare ad operare nelle fabbriche.

3)       Nella seconda rivoluzione industriale, le macchine e l'automazione prendono il posto dell'uomo nell'industria manufatturiera, e le masse di lavoratori lasciano le fabbriche per spostarsi nel terziario ed adottare il computer come strumento di lavoro.

4)       Ora siamo nel corso di una terza rivoluzione industriale, nella quale l'incredibile progressione della potenza di calcolo dei moderni elaboratori, pone in esubero un crescente numero di lavoratori. Attualmente solo il 3% della popolazione si occupa di agricoltura, ma grazie alle macchine agricole, la domanda è ampiamente soddisfatta dalla copiosa produzione. A seguito di questo, la realtà vuole che le masse di lavoratori che escono dal terziario, entrano a far parte del mondo della disoccupazione.

5)       Quando entro dieci anni arriverà la quarta rivoluzione industriale non sarà più soltanto una rivoluzione industriale…che seppure con qualche sconquasso sociale era poi nel giro di qualche anno riassorbita... questa, se non ben gestita sarà il capolinea del genere umano.

 

Nella catena di montaggio dei primi decenni del XX secolo, ogni operaio si occupava di un ruolo ripetitivo, ed a bassa specializzazione. La catena produceva un solo modello di autoveicolo, ed il passaggio ad un nuovo modello richiedeva un ingente investimento sulla catena di montaggio.

Data la complessità della catena di montaggio, i guasti dei singoli stadi di lavorazione erano frequenti ed avevano importanti ripercussioni sul numero di autoveicoli prodotti per unità di tempo.

Nella lean production le autovetture sono costruite da sofisticati robot guidati da un numero limitato di tecnici con elevata specializzazione. Il passaggio ad un nuovo modello di autoveicolo richiedeva una più semplice riprogrammazione delle macchine. La richiesta di lavoratori specializzati pone anche il problema di avere pochi lavoratori sovraccarichi di lavoro, e molti altri disoccupati o sottoccupati.

Si prospetta inoltre una riconsiderazione della globalizzazione dell'economia,

e la rivalutazione del terzo settore, ovvero il no-profit applicato ai servizi di utilità sociale.

QUI SI PONE IL DILEMMA: TUTELARE IL POSTO DI LAVORO O IL LAVORATORE? ECCO LE PESSIME PROPOSTE

 

La tutela del posto di lavoro anziché del lavoratore è però anche la visione del Movimento 5 Stelle. Un convinto fautore di questo approccio è infatti Maurizio Gallegati, uno degli economisti più ascoltati da Beppe Grillo. La proposta sul reddito di cittadinanza, che di fatto non è altro che un sussidio di disoccupazione potenziato.

 

La società globale non è mai stata tanto ricca quanto oggi. Non sarebbe quindi ragionevole che le società ricche distribuissero una parte della loro ricchezza ai loro  cittadini, anche solo in una prospettiva di «investimento sociale», per assicurare una coesione sociale più che mai minacciata? Una concezione radicalmente nuova della solidarietà economica? A queste domande rispondono in senso affermativo i sostenitori di un reddito sociale garantito, cui si attribuiscono numerosi nomi: «reddito di cittadinanza», «reddito sociale», «reddito universale», «reddito di esistenza», «reddito garantito», «reddito d’autonomia», «sussidio universale», «credito sociale», «reddito di dignità», «dividendo universale», «dotazione incondizionata di autonomia», ecc. Il termine di «reddito di cittadinanza» ci sembra quello migliore, perché ha il merito di inscrivere il progetto nel quadro di una politia, cioè di una comunità politica data. Come il diritto di voto, il diritto al reddito di cittadinanza deriverebbe dal solo fatto di essere cittadino.


Il principio è semplicissimo: si tratta di versare a ogni cittadino, dalla sua nascita alla sua morte, un reddito minimo che sia incondizionato, inalienabile, uguale per ciascuno, e cumulabile con qualunque altro reddito o attività senza altra degressività che quella del sistema fiscale in vigore, un reddito versato a tutti, poveri e ricchi, su una base strettamente individuale e senza alcuna esigenza di contropartita. Il reddito di cittadinanza come riconoscimento politico di un diritto incondizionato alla sopravvivenza materiale di ogni cittadino. Rappresenta un atto di solidarietà che si esercita in permanenza, a priori, e non più su richiesta e a posteriori.

 

«Questo reddito è accordato perché si esiste e non per esistere»,

 È un reddito di base che ciascuno integra o no in funzione dei suoi bisogni.


L’idea non è nuova. Già Platone scriveva ne “Le Leggi”: «Se uno Stato vuole evitare […] la disintegrazione civile […],non bisogna permettere alla povertà e alla ricchezza estreme di svilupparsi in nessuna parte del corpo civile, perché ciò conduce al disastro. Perciò il legislatore deve stabilire ora quali sono i limiti accettabili della ricchezza e della povertà».

 

Nell’antica Grecia, Pericle instaurò la mistoforia, distribuita ai cittadini indipendentemente dal loro patrimonio affinché potessero soddisfare i loro obblighi civici.

L’idea di un reddito incondizionato appare nel XVI secolo in Tommaso Moro (Utopia, 1516), ma sembra proprio che sia stato l’umanista spagnolo Joan Lluís Vives ad averne dato per la prima volta una definizione coerente nel suo De subventione pauperum (1526).

 

Due secoli più tardi, l’esempio più frequentemente citato è quello di Thomas Paine che, in un manifesto sulla giustizia agraria (Agrarian Justice) indirizzato al Direttorio nel 1796 e pubblicato l’anno seguente, proponeva che una somma di 15 sterline – sufficiente per acquistare una mucca e un piccolo appezzamento di terra – fosse corrisposta a tutti i giovani pervenuti alla maggiore età e che a ogni ultracinquantenne si attribuisse una pensione annuale uniforme. Questa dotazione si basava sull’idea di una proprietà comune della terra e sulla mutualizzazione di una tassa sulla rendita fondiaria. «Il primo principio della civiltà», scrive Paine, «sarebbe dovuto e dovrebbe sempre essere che la situazione generale degli individui nati in uno stato civilizzato non debba essere peggiore di quanto lo sarebbe stato nello stato di natura».

 

Nel XIX secolo, Charles Fourier (1772-1837) dichiara che «il primo segno di giustizia dovrebbe essere garantire al popolo un minimo crescente in ragione del progresso sociale».
All’inizio degli anni Trenta del secolo scorso, Jacques Duboin (1878-1976), teorico dell’«abbondanzismo», definisce il «reddito sociale» (espressione che fu il primo a impiegare) come la materializzazione di una libertà nuova che dà accesso alla sfera dei valori non mercantili. Eletto deputato dell’Alta Savoia nel 1922, sottosegretario di Stato al Tesoro nel 1924, la sua teoria distributiva, esposta in numerose opere, prevede al contempo un reddito di esistenza garantito «dalla culla alla tomba» e l’introduzione di una moneta garantita dalla produzione.


In materia monetaria, Duboin sosteneva tesi abbastanza vicine alla teoria della «moneta deperibile» sviluppata sin dal 1916 dal tedesco Silvio Gesell (1862-1930), che voleva gravare la moneta di un tasso di svalutazione per attivarne la circolazione e impedirne la tesaurizzazione. Il punto di partenza del suo ragionamento è la constatazione che l’uso classico della moneta vieta di equilibrare i redditi distribuiti con le ricchezze messe in vendita, col risultato di installare la «miseria nell’abbondanza».

«Occorre dunque sostituirla con una moneta creata a questo solo scopo. Ciò potrà essere fatto […] partendo dal principio che ogni cittadino ha il diritto di ricevere a vita dei redditi sufficienti purché adempia, per una parte del suo tempo, a un dovere di partecipazione, l’insieme essendo gestito attraverso l’intermediazione di una moneta di consumo, garantita dalle ricchezze offerte […]

 

Alla moneta capitalista deve essere sostituita una moneta creata man mano che la ricchezza è prodotta, proporzionalmente a essa, per il tramite di prezzi politicamente definiti, e annullata man mano che è venduta per essere consumata. Questa moneta di consumo è un potere d’acquisto che serve una volta sola: non circola e non può produrre interessi. Ma resta la scheda elettorale del cliente sulla produzione da rinnovare, poiché egli conserva la libertà per scegliere i suoi acquisti».

In questo sistema, l’ammontare della massa monetaria emessa durante un dato periodo è uguale al prezzo totale dei beni messi in vendita nello stesso lasso di tempo. A ogni nuova produzione corrisponde l’emissione di una nuova quantità di moneta. Una parte di questa somma è destinata prioritariamente ai servizi pubblici, mentre il resto viene ripartito tra i cittadini.


Si ritrovano idee abbastanza simili nello scozzese Clifford H. Douglas (1897-1952), fondatore della scuola del «credito sociale». Douglas si era convinto che la natura della produzione industriale, combinata al monopolio di creazione monetaria detenuto dal sistema bancario, ha l’effetto di creare situazioni di penuria artificiale per la maggioranza della popolazione. Il denaro, per lui, non doveva essere una misura del valore, ma un simbolo di valore, il cui valore di circolazione deve crescere e decrescere in stretta relazione con la crescita e la decrescita dei beni corrispondenti.

 

Insomma la moneta doveva essere distribuita ai cittadini come forma di “dividendo”

L’idea di un reddito di cittadinanza sembrava utopistica, il che non impedì, tuttavia, di essere sostenuta da personalità tanto diverse come Bertrand Russell, John K. Galbraith, Jan Tinbergen, James Tobin, Paul Samuelson, Sicco Mansholt, ecc. A partire dall’inizio degli anni Ottanta la si è vista risorgere con forza, e la cosa più straordinaria è che, vi hanno aderito personalità provenienti dagli orizzonti più differenti.

 

Così, l’economista americano Milton Friedman, riprendendo un’idea avanzata fin dagli anni Quaranta dall’inglese Juliet Rhys-Williams, si era pronunciato nel 1962 per un reddito minimo avente la forma di una «imposta negativa sul reddito»  (negative income tax credit), al solo scopo di rendere più sopportabile la disoccupazione e la precarietà. Si trattava di un semplice credito d’imposta rimborsabile, calcolato su base familiare (invece di essere una prestazione individuale), da versare alle famiglie non soggette a imposta e che avrebbe funzionato, per i contribuenti tassabili, come una classica riduzione d’imposta[8].

 

L’idea è di accordare un reddito minimo garantito in cambio della libertà per i datori di lavoro di fissare i salari al di fuori di ogni vincolo legale, il che equivale ad abolire le convenzioni collettive e ogni regolamentazione del mercato del lavoro. L’imposta negativa costituisce, in effetti, un sistema di sovvenzione ai bassi salari che invita le imprese a usare ed abusare della «flessibilità» del lavoro e a ridurre le remunerazioni offerte, il che è esattamente l’obiettivo opposto a quello del reddito di cittadinanza (quello vero).

 

In Gran Bretagna, i laburisti hanno introdotto un sussidio per ogni neonato, intoccabile fino alla maggiore età, ma che fino a questa età accumula interessi composti.

 

Ma è anzitutto l’aumento della disoccupazione a spiegare la forte ripresa dell’idea di reddito di cittadinanza. Da più di trent’anni, infatti, nei paesi ricchi si sviluppa una disoccupazione di massa che niente sembra permettere di arginare, poiché progredisce in tutti i paesi industrializzati, quali che siano le politiche adottate. A causa della crescita della produttività, l’innovazione non crea più automaticamente occupazione. Al contrario, il lavoro diventa raro.

 

Ciò non vuol dire che sparirà, come aveva imprudentemente pronosticato Jeremy Rifkin negli anni Novanta, ma che a causa dell’automazione, dell’informatizzazione, della robotizzazione, si producono sempre di più beni e servizi con sempre meno ore di lavoro umano, e con sempre MENO UOMINI.

Malgrado la crescita demografica, la produzione mondiale per abitante è stata moltiplicata per 2,5 tra il 1960 e il 1990. Ora, questa produzione è stata ottenuta con un ricorso sempre minore al lavoro umano, ragione per cui il volume totale di ore lavorate ha continuato a diminuire in quasi tutti i paesi sviluppati.

 

L’era del pieno impiego sembra dunque terminata.

Ne consegue che la distribuzione della ricchezza tramite il lavoro continua a degradarsi e che diventa sempre più pesante farsi carico degli inoccupati (o dei non occupabili). In tali condizioni, prima o poi, il sistema cozza contro i suoi limiti interni. Tuttavia, i governi che si sono succeduti in questi ultimi decenni hanno continuato a trattare la disoccupazione come un incidente passeggero che era bene integrare in attesa del ritorno del pieno impiego.

 

Ora, sin dall’istante in cui si riesce a produrre sempre più beni con sempre meno uomini, il problema centrale smette di essere quello della produzione per diventare quello della sua distribuzione.

 

In tali condizioni, si tratta infatti di sapere come un volume di merci sempre crescente potrà essere assorbito mentre si assiste a una riduzione globale del potere d’acquisto …continuando a crescere la capacità di vendita, mentre la capacità di acquisto diminuisce. La disoccupazione aumenterà contemporaneamente alla produzione, e la crescita allargherà il fossato tra i più ricchi e i più poveri.

 

Bisogna infatti comprendere bene che una macchina che si andrà a sostituire sopprimerà il lavoro da effettuare non di un posto di lavoro, ma centinaia di posti di lavoro, dunque centinaia di salari, e contestualmente anche centinaia di miglia di euro che non rientreranno mai nel circuito economico, andrando ad ingrossare i guadagni del proprietario dell’industria che alla fine dei giochi diverrà l’unica industria globale. Non è dunque il lavoro a scarseggiare, ma l’occupazione, i relativi emolumenti, e il relativo ingresso di questi capitali nel circuito economico e commerciale.

 

In un contesto di rarefazione dell’occupazione, «delle due l’una: o le protezioni sociali sono legate all’occupazione con le conseguenze di disuguaglianza ed esclusione che conosciamo, o le protezioni sociali sono legate alla persona, e ciò deve tradursi come minimo in un reddito garantito».


Si passerebbe così da un’economia dell’scarsità a un’economia distributiva (detta anche «economia dei bisogni»), ridistribuzione non attraverso il lavoro ma la semplice distribuzione delle ricchezze prodotte, dal momento che esse lo sono con sempre meno lavoro UMANO e relativi scarsastipendi.

 

Per coloro  che ne sostengono il principio, l’instaurazione di un reddito di cittadinanza avrebbe molteplici vantaggi. Un tale reddito «permetterebbe al contempo di sradicare la povertà, sopprimere la disoccupazione, ridurre le disuguaglianze e le ingiustizie sociali ed emancipare l’individuo». Un reddito di esistenza è un evidente fattore di integrazione sociale, esso permetterebbe in ogni caso di lottare contro l’esclusione e favorendo l’autonomia, i salariati, non trovandosi più nella condizione di dover accettare qualunque occupazione per sopravvivere permetterebbe nuovi arbitrati tra tempo di lavoro e tempo libero, ed essendo incondizionatamente distribuito a tutti, il reddito di cittadinanza sfugge peraltro a ogni mercanteggiamento politico e non indurrebbe alla frode, contrariamente alla maggior parte delle prestazioni sociali.

 

Il «riconoscimento del carattere sociale collettivo della creazione di ricchezza». «Il livello di produzione di una società […] incorpora l’apporto storico delle generazioni precedenti, quindi, la distribuzione di un reddito d’esistenza manifesta la quota di produzione che rientra oggettivamente nell’ambito di questa eredità comune». Tuttavia, il principale pregio del reddito di cittadinanza è che rimetterebbe in discussione il lavoro salariato come base del capitale e dei rapporti sociali. 

 

Con il reddito di cittadinanza, il lavoro salariato cessa di essere l’unica modalità possibile di inclusione sociale, nonché di socializzazione. Il reddito di cittadinanza, permettendo di passare dal lavoro subìto al lavoro scelto costituisce un considerevole progresso sociale della nostra autonomia che favorisce l’uscita dal capitalismo salariale a vantaggio del lavoro autonomo, così come un’economia rilocalizzata, integrante la dimensione ecologica e orientata verso lo sviluppo umano…lavoro scelto in una società più cooperativa e conviviale.


Si tratta, in primo luogo, di sconnettere il lavoro dal reddito, ma anche di sconnettere il lavoro dall’occupazione, dato che la riduzione del primo alla seconda sfocia nell’esclusione di coloro che sono privi di occupazione, nella paura della disoccupazione tra i salariati e nel controllo sociale degli assistiti. Ancora una volta, è importante non confondere lavoro e occupazione. «L’occupazione non è altro che lavoro divenuto merce, contrattualmente sottomesso alla tutela e alle esigenze di un datore di lavoro e il cui prezzo è determinato dal mercato». A questo riguardo, il reddito di cittadinanza contraddice l’idea dominante che «la lotta contro la povertà passa attraverso l’occupazione». La povertà è, infatti, in primo luogo una faccenda di reddito. Il reddito di cittadinanza rappresenta un cambiamento nella distribuzione dei redditi, un nuovo sussidio sociale redistributivo che va ad aggiungersi ad altri.

 

Ma in realtà, è lo stesso sostentamento che dovrebbe essere centrale, non il lavoro.

Quindi devianti gli articoli della Costituzione che parlano della centralità del lavoro


All’idea di reddito di cittadinanza sono state mosse anche numerose obiezioni. Alcune sono obiezioni morali, altre obiezioni economiche. Le une riguardano il principio stesso del reddito di cittadinanza, molte concernono la sua fattibilità, in particolare il suo finanziamento.  La critica morale si fonda, in generale, sulla vecchia idea cristiana secondo la quale il lavoro costituisce il destino obbligatorio dell’umanità dopo il peccato originale («chi non lavora, non mangia», diceva san Paolo).

 
La critica secondo cui il reddito di cittadinanza trasformerebbe tutti i cittadini in assistiti, rafforzando così l’idea che essere cittadino vuol dire anzitutto essere un avente diritto, non è più accettabile: «Il reddito di esistenza non è un assistentato, perché, una volta munito del necessario, l’individuo prova il bisogno di agire e di realizzarsi». Ma l’obiezione più comune riguarda evidentemente la fattibilità del progetto. Il reddito di cittadinanza è vitale dal punto di vista economico e finanziario? E come finanziarlo? Il suo ammontare deve essere indicizzato sull’inflazione (ma bisogna notare che non è inflazionistico, poiché segue l’evoluzione del reddito nazionale). L’introduzione del reddito di esistenza è riducibile a un semplice problema di ripartizione delle ricchezze esistenti».


Nei computi che sono stati fatti, la fonte di finanziamento più frequentemente allegata è il trasferimento di una parte dei fondi oggi assegnati alla protezione sociale. Nel sistema del reddito di cittadinanza, questa protezione non ha più, infatti, la stessa ragion d’essere. Il reddito di cittadinanza si sostituirebbe alla maggior parte dei meccanismi redistributivi e degli aiuti sociali attuali, minimi sociali, assegni familiari, sussidi per l’alloggio, quoziente familiare applicato all’imposta sul reddito, supplemento familiare di trattamento, premi di occupazione, esoneri dalle tasse, tariffazioni sociali, sovvenzioni agricole, ecc.), eccezion fatta per la previdenza sociale (che è un’assicurazione e non un sussidio), per l’assicurazione contro la disoccupazione, certi aiuti all’alloggio e i sussidi agli handicappati. Bisogna qui ricordare che, secondo l’Insee, le prestazioni sociali rappresentano, da sole,circa il 44% della spesa pubblica, ossia circa 400 miliardi di euro nel 2007. Su questo totale, il volume delle somme ridistribuite supera i 337 miliardi di euro all’anno, totale sul quale 250 miliardi circa potrebbero essere stanziati per il reddito di cittadinanza. Il resto del finanziamento sarebbe assicurato dalla soppressione di un certo numero di nicchie fiscali e da una riforma della fiscalità diretta e indiretta che preveda, in particolare, la soppressione delle aliquote e la loro sostituzione con un semplice sistema di progressività lineare.


 In Francia è stato presentato un progetto di finanziamento del reddito di esistenza basato su un sussidio di 300 euro mensili. Questa cifra corrisponde a un sussidio annuale totale di 216 miliardi di euro per 60 milioni di persone, cifra da riferire a un PIL di quasi 2000 miliardi di euro. L’ammontare sarebbe fissato inizialmente nel quadro di una legge-programma, poi riaggiustato ogni anno in funzione del prodotto nazionale. È prevista una fase transitoria di cinque anni che permetta di passare progressivamente dal lavoro dipendente a forme di «partecipazione». Per il finanziamento complementare si è ipotizzato un prestito di Stato sul risparmio.

 

Alcuni pensano che il reddito sociale non dovrebbe assumere la forma di classico denaro liquido, ma quella di una moneta differente, come la «moneta di consumo» …. o la “Cambiale Sociale”. In questo sistema, ogni produzione commerciale sarebbe automaticamente accompagnata dall’emissione del suo «equivalente monetario», ossia dalla quantità di moneta di consumo che permetta l’acquisto delle merci prodotte. La moneta così emessa potrebbe servire una volta sola: sarebbe automaticamente annullata nell’istante dell’acquisto. Questo sistema è molto simile al «credito sociale» di C. H. Douglas o alla «moneta deperibile» di Sivio Gesell, di cui si è parlato prima. Esso pone, tuttavia, dei problemi : «Come si fa a stabilire l’equivalente monetario di un prodotto al momento della sua produzione, soprattutto quando questa produzione richiede pochissimo lavoro? Il suo valore di scambio, il suo prezzo, non possono essere determinati dal mercato, poiché l’emissione di moneta di consumo deve aver luogo prima o nell’istante della immissione sul mercato. Affinché la quantità di moneta emessa corrisponda al prezzo di vendita, bisogna che i prezzi siano fissati ex ante, da un “contratto cittadino” tra consumatori, imprenditori e poteri pubblici. Detto altrimenti, bisogna che i prezzi siano prezzi politici, che il sistema dei prezzi sia il riflesso di una scelta politica, di una scelta di società concernente il modello di consumo e le priorità che la società intende darsi».

Si potrebbe inoltre sostenere che, nel contesto di una progressiva rarefazione dell’occupazione, il capitalismo potrà sopravvivere solo mediante una distribuzione del potere d’acquisto che non corrisponda più al valore di un lavoro. Il reddito di cittadinanza sarebbe allora il mezzo per continuare a favorire il consumo di merci prodotte per trarre un profitto.

 

Una prima fase del piano descritto è il processo che vede un ritorno in patria, almeno parziale, di produzioni precedentemente esternalizzate. In pratica, si assiste a un rientro degli investimenti delle aziende italiane che creano nuovi impianti o esternalizzano la produzione affindandola a terzisti del territorio. Si tratta soprattutto di aziende del sistema moda tipo il Gruppo Benetton ad esempio che ha riportato in Italia una piccola parte della produzione e lo ha fatto lanciando una nuova linea di maglioni “basic” in lana merino e cashmere con il marchio “Tv 31100”. La produzione, sui 200 mila maglioni l’anno, ha comportato un investimento di circa 2 milioni di euro. L’iniziativa è stata possibile grazie alle nuove tecnologie messe a punto dall’azienda giapponese Shima Seiki, che realizza macchine per la lavorazione di capi completi senza cuciture e che permette abbattimenti di costi attraverso la drastica riduzione dei mano d’opera. Appare evidente a tutti che restare inerti di fronte a un tale catastrofico scenario significherebbe accettare la fine senza tentare alcuna difesa… questo modello è l’alternativa all’economia globale e destatalizzante che guarda solo ai bilanci, ai soldi, mentre stritola le dignità delle persone, e siete Voi, noi tutti con le nostre ricchezze umane, storiche, locali ed ideali. In questo contesto i sindaci hanno una grande opportunità, soprattutto se la sapranno cogliere in tempo ed in quantità massiccia. C’è la possibilità di una assicurazione di una CASCO, ossia la rappresentazione e la gestione del valore comune istituzionale che sono stati chiamati a gestire ed incaricati di governare nel loro territorio, i beni … ed i cittadini; prima e suprema ricchezza.

 

Il modello di economia compettitiva, rapace ed accentratrice della moneta debito si sta dissipando, autodistruggendo e porta nel baratro con sé intere nazioni. In virtù della logica generalizzata dell’interesse che si applica alle monete e di fatto sta spogliando, derubando ed impoverendo intere economie, nazioni e generazioni spostando ricchezza da chi l’ha prodotta realmente a chi invece la riscatta solo avendo prestato denaro, non “VALORE”, ma “VALUTA” ….metri adatti per misurare il valore…. Questo è il vero abominio del nostro tempo….. aver adottato la mappa come vera e non il territorio di cui questa è solo la schematica idealizzata rappresentazione.

 

Questa precedente constatazione ci porta a riflettere sul fatto che è necessario fermare la nostra estenuante corsa e ricominciare a vedere il mondo sotto il profilo ideale filosofico con al centro l’uomo… e ci apparirà chiaro la falsità di entità che ruotano attorno all’uomo e la sua natura ma solo per sottometterlo, manovrarlo, manipolarlo. Il valore è insito nella vita, niente altro è valore se non c’è vita, e il valore supremo della vita è il tempo che ciascuna vita ha di esistere,  e non certo il denaro. Continuare a pensare alla triangolazione “uomo, tempo, denaro” è azione spregevole, schiavistica, e colpevole in questo sistema che ha piegato l’uomo al lavoro in “batteria” come una stia di polli da sfruttare fino all’ultima goccia di sangue e del suo tempo . Il mondo si cambia cominciando a pensare idee nuove, ognuno è ciò che pensa. Se si continua a pensare sempre le stesse cose si faranno sempre le stesse cose e si otterranno sempre gli stessi risultati.

 

Lo studio del concetto del tempo è importante in quanto il valore (qualunque valore) è solo una diversa estensione del concetto di tempo, se non ci fosse il tempo non ci sarebbe neppure il denaro, ed altro di ben più importante ….. I nostri antenati hanno concepito e definito il senso del tempo (passato, presente, futuro) determinando il concetto del valore che viene dal passato (una casa, un museo, un opera, la torta della nonna, addirittura una concubina) per poi spenderla (o utilizzarla) nel presente o nel futuro, sono tutti “potenziali” valori… ma è solo l’uomo che in previsione dell’utilizzo ne determina il valore più o meno rilevante nell’ evoluzione del tempo, Ormai è emerso chiaro ed inconfutabile a tutti che questo sistema economico nazionale ed internazionale contraddistinto da  tagli di investimenti (spesa la sviliscono) che salvaguardano i bilanci economici nazionali per “mantenere sotto controllo i debiti” (ossia gli interessi dovuti alle banche private), mentre distrugge ogni diritto sociale ed individuale, manda alla deriva il nerbo migliore della società e dell’impresa.. insomma non è alla lunga sostenibile socialmente. Viceversa vengono più o meno occultamente sostenute produzioni ed intere filiere economiche inventate di sana pianta senza altro scopo se non per far girare denaro aduso di amici degli amici.. dicasi supporto e foraggiamento dell’immigrazione incontrastata ed al contrario agevolata…, D’altra parte queste inutili filiere produttive servono a generare “consumatori” lobotomizzati (sia nazionali che immigrati) e  a ridurre i nostri territori a discariche di immondizia materiale e morale che in futuro si sarà costretti a “bonificare”.

Questo sistema di potere che ha puntato tutto sullo sfruttamento del lavoro umano e dell’ambiente non è sostenibile e non ha futuro ed i sistemi attuali, informatizzati ed automatizzati hanno divorato i cosiddetti “posti di lavoro”. Pretendere “lavoro” è follia. Il perseguimento insostenibile della sua creazione secondo le antiche regole è segno di imbecillità e crudeltà estreme.

 

Basta una minima riflessione per capire che :

1)       aumentando costantemente la popolazione (fra 10 anni raggiungeremo i 10 miliardi/mondo);

2)       arrivando sempre più disperati (o opportunisti) che saranno competitori nel residuo mercato del lavoro;

3)       se la tecnologia e la scienza eliminano sempre più posti di lavoro, anche nel lavoro intellettuale utilizzando androidi coscienti e autoriproducenti;

4)       diminuendo costantemente il numero degli impiegati con reddito… sempre meno saranno quelli che potranno permettersi di comprare qualcosa;

5)       non è la ricchezza che manca,

6)       non sono i prodotti che mancano,

7)       non è la voglia o la capacità delle persone di lavorare;

8)       non è la tecnologia, le risorse che mancano;

9)       è l’intenzionale mancata ridistribuzione della ricchezza con equità e dignità che principalmente determina l’attuale situazione di crisi. Una plutocrazia/gerontocrazia di banchieri stringe il cappio al collo del mondo nel debito e negli stenti per gestire il potere sempre più dispoticamente. Ecco perché noi proponiamo il reddito di cittadinanza. E tutti gli Stati saranno costretti quanto prima ad adottarlo. continuare a legare la dignità della vita con il posto del lavoro salariato non ha più senso. 

 

 Il modello di economia accentratrice della moneta debito ormai si sta autodistruggendo in virtù della logica dell’interesse che si applica alle monete di fatto sta riducendo in schiavitù intere nazioni. La risposta si può trovare soltanto in una nuova, intelligente, virtuosa forma di economia : riduzione dei consumi, riciclaggio, recupero, risparmio energetico; prodotti a km zero; diversificazione del “modello di vita”; massificazione nell’utilizzo delle Energie pulite; rieducazione tramite la scuola della popolazione alla conoscenza, coscienza e responsabilità; capacità critica, alfafabetizzazione comportamentale etc., etc..-

 

 

Le varie associazioni che sponsorizzano solo un fronte o solo un’idea (esempio km zero), agiscono bene… ma sono perdenti se non cominciano a capire che bisogna lavorare insieme e “come sistema” e su tutti i fronti, non solo, ma il primo fronte in assoluto è quello del denaro in quanto “ogni cosa” si fa nel “tempo” ed il valore nel tempo si sposta solo con il denaro. Tentare di fare risparmio energetico, o decrescita o qualunque altra iniziativa senza preoccuparsi della moneta debito significa non aver capito il problema e quindi non sapere come risolverlo. E questa “comprensione del problema” si riduce ad un unico principale concetto e cioè : < Tutto il male nasce nel non voler riconoscere il diritto di proprietà del “valore di ciascun uomo.>. A prescindere dal fatto che lavori o meno.-

 

Un’idea che dobbiamo sgombrare dalla mente è quella di continuare ad utilizzare qualcosa di dimensionalmente grande. Banche, magazzini,  compagnie, filiere, etc., etc... Oramai è dimostrato che tutto ciò che è grande è grandemente corruttibile. Più una comunità, più una azienda è piccola, più è meglio gestibile, anche nell’emergenza. Gli artigiani, le piccole imprese, i piccoli coltivatori, i piccoli paesi, le piccole banche cooperative locali sono da preferire e maggiormente performanti. Ma sopra ogni altra riflessione .. occorre evidenziare  che, mentre qualche decennio fa era necessario per tutta una serie di vincoli tecnologici avere apparati ed industrie di grandi dimensioni, oggi non è più obbligo necessario, e nel momento della massima automazione – robotizzazione  industriale, l’unica via che rimane all’uomo è creare un’economia parallela.

 

Il pianeta per quanto grande possa sembrare è piccolo, e la gestione dei territori è una questione seeria, di sopravvivenza . Tutto quanto premesso per  affermare che occorre un nuovo modello di economia che parta da un nuovo modo di pensare che non è quello delle vite umane condizionate alla moda decisa dall’arido capitalismo abituato a considerarci automi umani.

 

Il valore di un territorio sono le persone che ci vivono, le loro conoscenze, il loro saperi, l’ambiente, il territorio, la storia, l’archeologia, l’architettura, l’acqua, l’aria e tutte le altre risorse naturali. La sola presenza di un città abitata, da valore a quel luogo, senza uomini non esiste valore.  È l’uomo il portatore sano del valore. E “nel tempo” produce, carica, scarica, trasporta e sposta “quanti” di valore da un uomo ad altri uomini … Purtroppo questo oggi non viene riconosciuto.

Quindi il lavoro che produce una persona deve essere di proprietà del lavoratore fintanto che non gli viene riconosciuto uno stipendio che fa passare di proprietà il lavoro prodotto dal lavoratore al datore di lavoro. Con la moneta debito ciò non è più vero. Occorre far tornare al centro del valore…. il valore intrinseco di ogni uomo come sopra descritto.

 

Il progetto principale sarà nazionalizzare e gestire direttamente le banche creando MONETA CREDITO, oltre ad invertire tutte le politiche economiche, annullare ad esempio le pubblicità televisive, cambiare comportamenti personali, destrutturare i potentati…… invertire i processi partendo dalle comunità locali, i sindaci saranno chiamati ad essere d’esempio ai cittadini e partecipare attivamente a questo mutamento ideologico - filosofico e comportarsi di conseguenza, risparmiando, decrescendo, demonetizzando la loro vita e quella dei loro concittadini.

 

Il Comune (ne ha tutte le facoltà nella sua autonomia) già da ora, e senza l’intervento della politica o della finanza ufficiale può garantire “Titoli” per far si che il suo territorio si mantenga e prosperi nel benessere. Tra le tante iniziative possibili c’è quella di rappresentare il valore nel territorio locale e ad esempio per farlo il Comune può “garantire” la Cambiale Sociale Comunale.

 

Uno dei migliori modi per fare valorizzare e rimanere la ricchezza in un territorio (evitando di farla drenare attraverso le multinazionali, grandi banche, catene di magazzini, grandi compagnie telefoniche, ecc) è quello di cercare di radicare la ricchezza con una moneta locale. Quella che si può spendere solo in quel luogo  e in quel territorio.

La cambiale sociale (euro) comunale in breve (CASCO) è un titolo di rappresentazione e conservazione del valore che può essere emesso da ogni persona a titolo privato e garantito da un ente pubblico che rappresenta la comunità di un territorio e quindi il valore di un territorio.

 

Il CASCO può essere emesso dal Comune per il suo solo territorio in maniera personalizzata (con l’effige di un monumento del luogo per esempio) e può essere spendibile solo all’interno del territorio comunale. L’emissione ed uso della Cambiale Comunale titolo “CASCO” viene sponsorizzata dall’ente che rappresenta un territorio con un comunità.

 

Il CASCO (titolo fiduciario – accettabile, o no, a proprio insindacabile arbitrio) può essere utilizzato al 100% come titolo di pagamento per prestazioni intellettuali, servizi culturali e sociali. (assistenza anziani, formazione, consulenza progettazione, badanti, scuola, attività artistiche e quant’altro prodotto, realizzato, fornito “in loco”).

 

I contadini potranno vendere i prodotti in eccedenza dei loro giardini in CASCO.

Ogni Comune quindi potrà chiedere servizi ai propri cittadini pagando in CASCO ed i cittadini potranno comprare e vendere servizi all’interno del Comune in CASCO ed anche pagare le tasse locali.

Qualora l’immissione di CASCO diventasse esuberante rispetto al giusto equilibrio fra “VALORE” locale disponibile e “VALUTA, per regolare il flusso ed evitare inflazione, il Comune potrà drenare quantità controllate di CASCO mediante tassa comunale pagabile in “CASCO” per gestire il flusso di titoli CASCO in circolazione.

 

Per la migliore comprensione e facilità di contabilità

1 CASCO sarà uguale ad 1 EURO.

I tagli delle Cambiali Sociali Comunali saranno come gli euro 5-10-20-50-100- CASCO.

 Le Cambiali Sociali possono esse usate (e lo sono) come una promessa di pagamento, il Comune può avallare prestiti ma sempre e solo senza interessi.

 

Cari Amici la soluzione c’è…. Bisogna solo crederci e provare di percepire una visione superiore, e soprattutto capire e dimostrare che si sta dalla parte dei cittadini e non mai dalla parte delle banche e della finanza. Non basta lamentarsi che lo Stato centrale ha fatto solo tagli o rapine, bisogna capire perché lo ha fatto e se si possono evitare, e come, per il futuro quei tagli, rapine,  prevaricazioni, o meglio soverchiarli.

 

Oggi quindi non siamo solo e soltanto in competizione con le varie delocalizzazioni …o anche la mancanza di filtri doganali per merci provenienti da paesi particolarmente aggressivi…  o anche  i flussi migratori che pervengono dai Paesi in urgenza demografica o in guerra per cui siamo al cospetto di gente che fugge dalla miseria da carenza di lavoro che una volta giunti qui da noi è disponibile a svolgere qualunque lavoro a qualunque prezzo… No .. c’è di peggio, molto peggio… siamo alle soglie del dominio, non solo dell’informatica/telematica… ma ad una conquista del mondo da parte di una nuova etnia… quella dei robot… e presto anche quella dei robot androidi.

 

Questo l’aveva già molto bene intuito, pure se non pienamente sviscerato, Immanuel Kant , quando parlava dei rapporti fra Golem ed umani… argomento poi affrontato successivamente da Isaac Asimov, preveggendo di quasi un secolo quello che sarebbe poi ai giorni nostri avvenuto.

 

Le tre leggi della robotica furono un insieme di leggi alle quali, nella fantasia di Asimov  tutti i robot positronici erano obbligati ad obbedire; esse furono pubblicate, notate, …  nel 1942.

 

Le tre leggi hanno subito qualche variazione passando da traduzione a traduzione, ma anche se il contenuto rimane sempre lo stesso è meglio esprimere prima le tre leggi nella versione originale:

 

§         Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.

§         Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.

§         Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. »

Le 3 leggi successivamente furono modificate in:

 

§         Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. Purché questo non contrasti con la Legge Zero

§         Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Legge Zero e alla Prima Legge.

§         Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Legge Zero, la Prima Legge e la Seconda Legge.

 

Qui nel secolo scorso, oltre 75 anni fa, si era nel campo della fantasia…. Ora quella fantasia è diventata realtà e sempre più lo sarà in futuro… e per quanto accennato ed estrinsecato fino alla noia in tutte le varie considerazioni che sono state proposte sul tema in oggetto… se ne deduce che reggimentare, regolare e normare con un piano d’assetto generale e particolare il divenire dell’introduzione di sempre più evoluti e performanti cervelli artificiali nell’industria e qualunque altra attività imprenditoriale, professionale o lavorativa… è diventata scelta obbligata ed improcrastinabile.

 

Occorre che lo Stato (gli Stati) e le sue/loro varie Istituzioni ed Enti applichino una qualche direttiva nel senso della prima legge della robotica … ampliandola anche nel senso della ridistribuzione dei redditi derivanti dal lavoro compiuto dai robot avendolo sottratto ai suoi concorrenti umani.

 Altrimenti si porranno in competizione/lotta alla sopravvivenza di una o due specie senzienti … occorre quindi che il legislatore arrivi a comprendere la necessità e l’urgenza di tali normative regolatrici da una parte del mercato del lavoro e dall’altro della ridistribuzione verso i cittadini della ricchezza prodotta attraverso l’utilizzo del lavoro a costo tendente a zero dell’utilizzo di “robot in ogni settore delle attività fin qui definite “umane”… Ma ora e sempre più in seguito definibili “robotiche”…

 

Per ulteriori informazioni ed approfondimenti contattateci.

 

Orazio Fergnani – AlbaMediterranea.