COME
VENEZIA ORCHESTRÒ IL PIÙ GRANDE DISASTRO FINANZIARIO DELLA STORIA
….
che portò alla Peste Nera, nella metà del Trecento. La gravità del
crac finanziario che si prospetta oggi, si ritrova nella rilettura
della storia precedente.
LA
PESTE NERA CHE DECIMÒ LA POPOLAZIONE EUROPEA alla metà del XIV
secolo fu
causa ed effetto del più grande tracollo finanziario della storia.
Al
paragone, la Grande Depressione degli anni Trenta del secolo scorso
fu un episodio transitorio e di scarse conseguenze.
Allora,
con il tracollo delle grandi case bancarie fiorentine dei Bardi e
Peruzzi, avvenuto nel 1345, si verificò una vera e propria
disintegrazione finanziaria. Oggi il
rischio è quello di una riedizione dello stesso fenomeno in cui,
come si legge sulle cronache dell’epoca, “tutto il credito
scomparve nello stesso momento”. Ecco il perché della necessità
della “Cambiale Sociale”.
Oggi
a prevedere questo rischio è Lyndon LaRouche, l’economista
americano la cui analisi sull’inevitabilità del crac, seppur
pubblicata negli anni novanta è comunque attualissima.
Già
nel corso del 1995 abbiamo avuto le prime avvisaglie di questa
disintegrazione, con le clamorose bancarotte del Messico, della
contea di Orange nella California e quelle di grandi e prestigiose
merchant bank inglesi. Oggi, come nel Trecento, queste bancarotte
sono la conseguenza di “bolle finanziarie” speculative che
crescono innaturalmente paralizzando produzione e commercio, cioè
l’economia reale.
La
differenza fondamentale tra il 1345 ed il 2015 è che allora non
esistevano gli stati nazionali. Non c’era un governo potenzialmente
in grado di sottoporre il sistema bancario ad una radicale
riorganizzazione, salvaguardando al tempo stesso la produzione reale
con nuove, esclusive emissioni di credito, mentre
questo sarebbe oggi possibile qualora si riuscisse ad esercitare
pienamente la sovranità nazionale….
Non a caso da decenni … sempre le stesse casate di banchieri
discendenti da quelli di cui qui si parla … stanno attualmente
lavorando per lo smantellamento e la distruzione delle istituzioni
nazionali e primariamente alla eliminazione degli Stati nazionali.
Allora
questa via di scampo dello Stato sovrano (che del tutto teoricamente
ancora esiste – ma che si potrebbe ricomporre) non esisteva e di
conseguenza la popolazione finì per essere decimata. Si calcola che
nel periodo che va tra il 1300 ed il 1450 la popolazione europea si
ridusse del 35-50%, mentre quella mondiale si ridusse del 25%.
Gli
storici sono soliti attribuire questo immane disastro causato dalle
banche e dal loro sistema finanziario ad un capro espiatorio, Edoardo
III re d’Inghilterra.
Edoardo si ribellò al sistema finanziario con il quale i banchieri
fiorentini stavano conquistando il controllo sul suo paese e, a
partire dal 1342, sospese i pagamenti ai Bardi ed ai Peruzzi. Gli
storici di rito liberista dicono che i banchieri fiorentini fecero
allora tanto di quel bene semplicemente badando ai fatti propri.
I
grandi casati usurari seguendo la propria ingordigia di denaro,
costruendo i monopoli finanziari delle proprie casate, svilupparono
il commercio e dettero vita all’industria capitalistica “in
pacifica” concorrenza con altri mercanti, per poi espiare i
peccatucci dell’usura con generose elemosine agli istituti
ecclesiasitici (da
loro gestiti in prima persona).
Ma,
continua il mito, in questo paradiso terrestre c’era il serpente,
c’erano i re – si capisce, nel loro ruolo centralizzatore i
despoti antesignani del moderno stato nazionale. Spendaccioni
impenitenti, con le loro guerre dispendiosissime e le loro corti
festaiole, i monarchi finivano invariabilmente nell’inadempienza,
non onoravano quei crediti che i poveri banchieri concedevano loro
per quel misto di riverenza e timore che incutono le teste coronate.
Fu
così che il capitalismo, l’impresa privata allora emergente, finì
nella rovina del XIV secolo e che,questo fu tra i fattori scatenanti
della Peste Nera, coi suoi trenta milioni di morti.
La
morale (attualissima) del mito – parabola liberista – finanziario
è che occorre evitare di avere tra i piedi un’autorità
centralizzata (e forte) perché essa è solo capace di indebitarsi
per finanziare le sue manie espansionistiche, finendo poi sempre per
farsi beffe dei suoi laboriosi creditori.
Mentre
la realtà è l’esatto contrario…e cioè … alle banche (in ogni
epoca) occorre agire senza un contropotere (quali gli Stati) che
potrebbero opporsi alla realizzazione dei loro sporchi affari.
Ma
vediamo come davvero si sono svolti i fatti in epoca storica e
soprattutto la fondamentale responsabilità ed il significato della
protezione accordata agli ebrei dalla Santa Sede nei secoli.Nulla di
meglio di un ciclo di leggende ebreo/italiane ed ebreo/tedesche, nate
in merito ad un papa ebreo già nell’alto medioevo (che noi
sappiamo invece essere avvenuto metodicamente da sempre… da che
esiste il papato … altrimenti sarebbero inspiegabili infinite
situazioni avvenute in migliaia di epoche e luoghi, ma tutte inerenti
i due cardini del ragionamento (ebraismo e cristianesimo)….
Nulla
può illustrare la sottigliezza e la complessità/ambivalenza dei
legami secolari ed interpolati fra gli Ebrei e la Santa Sede. Una di
queste leggende, secondo la versione più antica a noi pervenuta, che
è del quinto secolo, (appena dopo l’instaurazione, avvento e
consolidamento dell’istituzione del papato e la sua sostituzione ai
comandi dell’impero d’occidente.
Il
primo vero e formalmente papa in questa dimensione imperiale si
chiamava Simon Cefa o Simon Caifa e sarebbe stato nel fondo della sua
anima un leale ebreo. Preoccupato dei rapidi progressi del
Cristianesimo, temendo che questa eresia potesse sedurre il popolo
eletto, (secondo un’altra versione …. Perché i cristiani
minacciavano di massacrare gli Ebrei qualora questi non si fossero
uniti a loro), si dichiarò cristiano per poter penetrare nel cuore
della setta rivale, e quindi, stornare il pericolo imminente.
Tralasciando
secoli bui dove reperire notizie certe ed inconfutabili risulta
estremamente difficoltoso, e pericoloso saltiamo all’inizio del
1400 e possiamo riportare una lettera dell’arcivescovo di Trani che
si lamentava con Giovanni XXII perché gli Ebrei perseguitati della
sua diocesi si erano ridotti di numero e con esso anche i profitti
che costui ne traeva e gli inquisitori colpivano pure gli Ebrei
convertiti … il papa su questo, e probabilmente altre lamentele
sospese per due anni qualunque persecuzione… e per focalizzare
meglio la reale essenza degli elementi in gioco… si deve
evidenziare che il motivo del contendere è sempre il denaro e la
ricchezza economica, non certamente l’elevazione spirituale e la
fede.
Vale
a questo scopo riportare lo scritto di Jacop Elis, polemista
ebreo-provenzale dell’epoca, che ringraziava Iddio < di aver
moltiplicato le nostre ricchezze, perchò questo ci dà la
possibilità di proteggere la vita dei nostri figli e le nostra,
quindi di far fallire i disegni dei nostri persecutori…>.
La
difesa effettuata dagli Ebrei per spiegare il loro innato amore per i
preziosi, denaro e la ricchezza, è che, essendo perseguitati,
l’unico modo per sopravvivere fosse il possesso di denaro con cui
incupire e tacitare i possibili persecutori… Insomma come al solito
metodicamente fanno i levantini sostituire gli effetti con la causa e
cioè affermare che le periodiche e persistenti persecuzioni erano il
frutto di un odio religioso… e per difendersi dai tentativi di
conversione forzosa utilizzavano il denaro/ricchezza… mentre in
realtà era si perseguiti (e non perseguitati) in quanto esercitando
il mestiere di strozzini erano invisi alle popolazioni e perciò
periodicamente oggetto di vendette e ritorsioni. Insomma,
e comunque, il commercio del denaro diventa per loro l’unico mezzo
di sopravvivenza.
Ma
veniamo ad uno dei punti cardine…Nei Padri del Talmud ai commentari
alla legge scritta dell’Antico Testamento … Deuteronomio XXIII,
20 : < Potrai percepire un interesse dallo straniero, ma non
potrai percepirne da tuo fratello….>… In pratica la legge
talmudica, glorificando l’artigianato in sfavore del commercio,
giudicava mestiere di banchiere/strozzino solo dal punto di vista del
vantaggio che questa attività avrebbe potuto apportare
all’affermazione dell’ebraismo sul cristianesimo.
Da
queste premesse parte l’ascesa del commercio ebreo del denaro….
D’altro
canto ..stante di fatto… questa modalità esistenziale degli Ebrei,
il papato formalizza molto laicamente e pragmaticamente un concetto
per secoli vigente che poi scaturirà nell’odierna tragica
situazione…e
con il V Concilio Laterano del 1516 legittimò l’usura e l’attività
bancaria e le “licenze” da lungo tempo pratica tenuta dalla
Chiesa Cattolica nei confronti dei Commercianti altrimenti detto
banchieri/usurai ebrei.
Il
concetto doppiogiochistico della Chiesa era questo : siccome gli
Ebrei, essendo la loro esistenza e la loro possibilità di salvezza
dell’anima disperata, a causa dell’uccisione di Gesù Cristo e
della fondamentale malafede storica…l’usura è tollerata e
“codificata”, controllata per una motivazione razionale di
convivenza.
Quindi
la Chiesa non avrebbe motivi per “vegliare” sulle loro anime,
perché comunque l’effetto sarebbe lo stesso, … sia che gli Ebrei
siano dediti all’usura o meno…,,, In questo modo le leggi che
prescrivono una certa tassazione sulle usure degli Ebrei, con questo
non canonizzandole, né legittimandole, ma ordinandole ed
organizzandole entro precisi limiti.
Questa,
ad esempio, è un’interpretazione data dal papa Urbano VIII (Maffeo
Vincenzo Barberini) nel 1625, il cui pensiero era : <Il permesso
di esercitare il prestito contro pegni è dato dal papa a titolo di
tolleranza, e il concetto è che …. Non si dovrebbero concedere
autorizzazioni agli Ebrei.. di prestare contro interessi … tuttavia
si fa eccezione a favore di alcuni … Non deve quindi essere regola
generale e ci si riserva il diritto caso per caso di concedere o
rifiutare permessi…Ragionamento
sicuramente di origine bizantina di inarrivabile perversità,
doppiezza, infamità pervasa di assoluta illogicità ed immoralità.
Gli
archivi storici di Todi, Ascoli, Matelica conservano i più antichi
contratti dai Comuni con gli usurai ebrei romani risalenti alla fine
del XII secolo .. Particolarmente interessante è l’accordo del
1297 tra il Comune di Ascoli e una ventina di usurai ebrei
consorziati di Firenze Arezzo e Roma (città dove occultamente
tuttora agiscono i centri nevralgici dell’usura nazionale,
internazionale e di altra natura) ….. mediante il versamento di
cento fiorini l’anno essi ottenevano il monopolio di esercitare
l’usura …. Ma
soprattutto occorre evidenziare massicciamente le caratteristiche che
chiariscono pienamente il rapporto intercorrente fra usurai cristiani
ed usurai ebrei… e la loro localizzazione spaziale e temporale… e
cioè… i diciotto usurai toscani di Firenze ed Arezzo erano tutti
cristiani…. I quattro usurai …. ebrei… solo provenienti da
Roma… Incredibile coincidenza o dato di fatto?
Se
ci fosse necessità si può citare il caso di Orvieto che nel 1313
per svincolarsi dalla “scomunica di Papa Clemente V inflitta nel
1307…. chiese un prestito a 10 “capitalisti” per 15.000 ducati
… dopo che il Comune di Orvieto aveva interpellato gli strozzini
fiorentini Mazzi e Sassetti… i quali si erano ben guardati di
mettersi in cattiva luce col papato….ed aveva ottenuto il prestito
da questi dieci finanziatori ebrei… tutti di Roma… e molto
presumibilmente, molto vicini ed amici dal papato.. a ulteriore
conferma della commistione di interessi fra la Chiesa e gli Ebrei….
Chiesa
e compartecipi che attraverso l’infiltrazione degli usurai
capillarmente nel territori andava gradualmente indebitando le
comunità e da una parte soggiogandoli col terrore della punizione
eterna… e dove questo non faceva breccia attraverso l’induzione
all’indebitamento materialistico e terreno. A contrastare il
supporto concesso dalla Chiesa agli usurai ebrei, a partire dal XII –
XIII secolo i prestatori locali escono dall’irregolarità e
dall’anonimato ufficializzandosi e poi spesso associandoci
nell’esercizio dell’usura.
Ma
guarda caso.. Il 13 ottobre 1307 fu ordinato l'arresto di tutti i
Cavalieri templari che si trovavano in Francia, un'azione dettata da
motivi finanziari … e a seguire Clemente V convocò il Concilio di
Vienne del 1311, sospese l'ordine, (bolla Vox
in excelso
del 3 aprile 1312)… e le proprietà francesi dell'ordine e le
banche dei Templari. vennero espropriate da Filippo IV non dopo però
che nel 1311 (la situazione finanziaria era sistemata!) … fosse
promulgata la bolla “Ex gravi” …. che guarda caso …. vieta ai
Comuni (e non alla Chiesa) di concedere le “licenze” di esercizio
del prestito ad usura (ma non agli Ebrei)….e mentre gli ebrei
venivano arsi sul rogo in Francia, Germania etc., in Italia
particolarmente sotto il controllo della Chiesa … questo non
avviene…
Come
pure da sottolineare quello che avvenne nel 1347/1350, quando nel
terrore del castigo divino del flagello della peste….i cristiani
usurai prestatori su pegno, ai quali si era da sempre la Chiesa aveva
incusso il terrore della punizione divina … praticamente tutti
“rimisero
i debiti ai loro debitori”
… viceversa gli strozzini ebrei furono incontaminati da una simile
infezione morale in quanto i loro rabbini mai si sognarono di
colpevolizzarli .. e meno che mai gli usurai ebrei pensarono benché
minimamente di rimettere i debiti ai loro debitori….
Chissà
come, chissà perché questo smaccato vantaggio dato dalla Chiesa ai
capitalisti ebrei.
A
seguito delle vicende derivanti dal cataclisma sociale generato
dall’epidemia di peste e alle (questa volta) persecuzioni
antiebraiche in Germania … gli Ebrei superstiti in parte si
diressero a Venezia, dove fra le altre più o meno nobili operazioni
nel 1366 realizzarono i “Banchi dei Poveri”. Da
evidenziare che i tassi di interesse (su pegno) praticati dagli
usurai (sia ebrei che cristiani) ai poveri, oscillava fra il 25% e il
40% all’anno.
L’infiltrazione
nelle istituzioni pubbliche avveniva immediatamente dopo essere
riusciti ad ottenere la concessine.. e la prima tappa era la nomina a
“tesoriere comunale” esattamente la stessa funzione che fanno
tutte le banche attuali a cominciare dalla B.C.E. e BANKITALIA con
la complicità delle venti banche specialiste di aste comprando i
titoli del debito pubblico ….ovviamente lo scambio di favori era
sempre vicendevole… l’esercito del Comune o del Principe
difendeva e sosteneva le “ragioni del banchiere” … ed il
banchiere finanziava le guerre e le pretese del principe...
La
motivazione ufficiale della Chiesa del sostegno particolare fornito
agli ebrei era sempre e soltanto la necessità di “preservare i
cristiani dal peccato dell’usura, e che la funzione comunque
portava lenimento alle difficoltà della povera gente….Ma le
motivazioni reali e concrete della Chiesa erano ben altre.
Dalla
fine del 1400 l’autorizzazione del papa era ”conditio sine qua
non” ed i papi partecipavano attivamente al contratto che gli
usurai ebrei contraevano .. ma la motivazione ufficiale che dava
vantaggio ad entrambe le parti, era che … dato che l’anima degli
Ebrei deicidi era comunque irrimediabilmente persa … peccato di
usura o meno erano condannati alla dannazione eterna… tanto valeva
propagandare l’immagine di un atteggiamento benevolo del papa e dei
principi ..
Vale
la pena di focalizzare l’attenzione sugli oppositori e supporters
della conquista delle posizioni di ufficialità delle nascenti banche
ebraiche… da una parte gli ordini monastici più integralisti, e la
borghesia ….. ed incredibilmente alleati i banchieri/usurai
italiani da un lato e viceversa dall’altra parte il ceto dirigente
locale, il potere costituito … e soprattutto la CURIA ROMANA….
I
vantaggi per questi ultimi del tutto evidenti e reciproci. Ancora
più indicibili, in base alle motivazione di facciata di cui si è
detto prima erano alcuni “sporchi” affari che si erano compiuti e
in seguito sempre si sarebbero eseguiti … e cioè l’utilizzo di
finanziamenti effettuati apparentemente da usurai ebrei… ma pure
con capitali cristiani in parte o in “toto” …. Questa fra altre
valide ragioni morali, sociali, ed altro era anche validissima
ragione per evadere le tasse e far “sparire” somme ingenti
altrimenti non occultabili al fisco… (una specie di “paradiso
fiscale” ante litteram).
Da
tener presente che gli usurai ebrei che pretendevano dal 30 al 40% di
media di interessi… a Firenze nel 1457 pagavano una tassa del 10%
sull’ammontare delle somme depositate presso di loro.,… elevato
poi al 12% nel 1475… E la Signoria esprimeva le stesse reprimenda
in merito alla capitalizzazione e al mancato investimento ed utilizzo
immediato sul mercato economico …. Esattamente
come stanno facendo oggigiorno le banche con l’acquisto dei titoli
tossici o anche i cittadini/risparmiatori che preferiscono comprare
buoni del tesoro invece che spendere nei consumi e rilanciare
l’economia.
Recentemente
sono stati pubblicati almeno due libri dai quali si desume che il
mito fa acqua da tutte le parti. Nel «The
Medioeval Super-Companies: A Study of the Peruzzi Company of
Florence»
(London, Cambridge University Press), pubblicato nel 1994, Edwin Hunt
dimostra che la grande casa bancaria lavorava in perdita, al punto di
rischiare la bancarotta, già attorno al 1330, cioè prima dei
crediti al re Edoardo, e che questo era il risultato della politica
creditizia seguita nell’agricoltura e nel commercio. Le compagnie
bancarie principali riuscirono a sopravvivere oltre il 1340 soltanto
perché non si diffondevano rapidamente come ora le notizie sulla
gravità delle loro posizioni.
Dopo
aver riesaminato da cima a fondo tutta la corrispondenza e i libri
mastri dei Bardi e dei Peruzzi, Hunt asserisce che le “condizioni”
dei prestiti delle due banche fiorentine a re Edoardo erano brutali,
(il sequestro delle entrate della corona), in
realtà il debito che Edoardo finì per ripudiare si era ridotto a 15
o 20 mila sterline….
credito inferiore a quello che essi vantavano nei confronti del
governo della loro città, e che neppure Firenze stessa riuscì
allora a pagare.
Per
capire la dimensione di questa realtà è estremamente utile il libro
di Frederick C. Lane, «Money
and Banking in Medioeval and Renaissance Venice»
(Baltimore 1985, John Hopkins University Press) perché dimostra che
in realtà era
la finanza veneziana a controllare la “bolla speculativa” della
finanza mondiale, tra il 1275 ed il 1350,
bolla che Venezia fece esplodere nel periodo successivo al 1340.
A
smentire una volta di più la mitica coesistenza in regime di libero
mercato, la realtà è che gli oligarchi veneziani mandarono in
bancarotta i colleghi fiorentini,
e le conseguenze furono pagate dalle economie dell’Europa e del
Mediterraneo…. Mentre Firenze ricopriva un ruolo analogo a quello
oggi ricoperto da “New York”, con la sua Wall Street delle grandi
banche, Venezia
era “Londra”, cioè tirava le fila di banchieri, sovrani, papi ed
imperatori attraverso una rete finanziaria molto sottile e un dominio
completo del mercato della moneta e del credito.
Lo
storico francese Fernand Braudel spiega («Civiltà
e capitalismo, dal XV al XVIII secolo»)
che Venezia,
alla testa dei banchieri fiorentini, genovesi e senesi, fu
impegnata dall’inizio del XIII secolo a distruggere le premesse su
cui edificare uno Stato nazionale
voluto dall’imperatore
svevo
Federico II di Hohenstaufen.
“Venezia
aveva deliberatamente imbrigliato tutte le economie circostanti,
compresa quella tedesca, al proprio tornaconto; ne traeva il suo
reddito impedendo loro di agire liberamente... Il XIV secolo registrò
la creazione di un monopolio così potente a vantaggio delle città
Stato italiane... che gli embrioni degli Stati territoriali come
Inghilterra, Francia e Spagna necessariamente ne soffrirono le
conseguenze”.
Il
“trionfo del liberismo” e il soffocamento sul nascere degli Stati
nazionali definisce il contesto della catastrofe del XIV secolo.
Solo un secolo più tardi, quando il Rinascimento dette vita agli
Stati nazionali, prima quello di Luigi XI in Francia, poi in
Inghilterra e Spagna, la popolazione europea riuscirà a sottrarsi
alla barbarie e all’involuzione demografica.
Tra
XI e XIII secolo si verificò un notevole sviluppo della popolazione,
in Europa ma ancora di più in Cina. Durante i due secoli del
Rinascimento neo-confuciano della dinastia S’ung la popolazione
cinese raddoppiò, raggiunse i 120 milioni; anche nelle regioni
settentrionali della Francia e dell’Italia la densità demografica
si avvicinava ai livelli del XVIII secolo. Le nuove tecniche per
estendere la superficie coltivata furono senz’altro le più
importanti tra le innovazioni che permisero una crescita continua
della popolazione per sette secoli fino al 1300, ripopolando l’Europa
devastata dal crollo dell’Impero Romano.
Ma
già all’inizio del XIV secolo si registrano in Europa le prime
interruzioni di un aumento continuo sia dei raccolti che della
popolazione, mentre in Cina vedremo che imperversava già una vera e
propria devastazione. Grandi carestie si registrano negli anni
1314-1317, 1328-1329 e 1338-1339.
Le
regioni agricole più produttive nel nord della Francia e dell’Italia
registrano flessioni demografiche a partire dal 1290, mentre nelle
città si registra una stagnazione(l’unica eccezione fu Milano,
dove i Visconti, nemici di Venezia, seguivano con determinazione la
politica delle infrastrutture, tra cui anche grandi opere pubbliche
idrauliche.
Nel
1310 un banchiere lucchese poteva vantarsi di essere in grado di
raccogliere crediti per 200 mila lire tornesi in un batter d’occhio
alla fiera di Troyes; come
conseguenza, il volume degli scambi di prodotti fisici reali in
quelle fiere cominciò subito a diminuire.
Alla fine del XIII secolo, un rallentamento del commercio colpì
innanzitutto le merci, mentre le operazioni di credito si protrassero
ancora, ma le fiere entrarono in una fase di grave declino. A partire
dal 1320 iniziarono le grandi manovre finanziarie: si
verificarono “enormi fughe di argento oltremare che sconvolsero
l’equilibrio dell’Europa a metà del XIV secolo”.
L’argento europeo esportato da Venezia in oriente tra il 1325 ed il
1350 equivaleva “forse al 25% di tutto l’argento coniato in
Europa”.
Una
chiara manifestazione di “fuga dei capitali all’estero” o
l’investimento senza fine nei titoli tossici che sottraggono linfa
vitale all’economia reale…. Allora come adesso…
La
manovra monetaria veneziana “creò problemi cronici della bilancia
dei pagamenti fino in Inghilterra e nelle Fiandre”; nel
commercio divenne sempre più difficile pagare.
La Francia “fu svuotata di monete d’argento”. Il
sovrintendente della zecca di re Filippo calcolò che almeno 100
tonnellate di argento erano state esportate
“nella terra dei saraceni”, i migliori partners commerciali di
Venezia.
La
produzione dei beni più importanti fu irreparabilmente danneggiata,
con grave danno al commercio ed alla circolazione monetaria, molti
anni prima del crac del 1340, dai banchieri che evidentemente
imponevano tassi d’interesse da usura. “Le super-compagnie
fiorentine utilizzavano i prestiti ai monarchi per assicurarsi il
dominio su certe merci vitali, specialmente il grano e
successivamente la lana ed il panno.
I
banchieri fiorentini in realtà operavano su una scala internazionale
limitata all’Europa occidentale, mentre l’impero marittimo,
finanziario e commerciale veneziano si estendeva su tutta la massa
continentale eurasiatico-africana, e basta
questo per capire che furono i vertici veneziani a mettere in moto il
disastro del XIV secolo.
Venezia
all’epoca fungeva da centro bancario, da mercato degli schiavi e da
centrale di spionaggio per conto dei Khan mongoli.
Le
case bancarie dei Bardi, Peruzzi ed Acciaiuoli, insieme ad altre
grandi banche fiorentine e senesi, furono tutte fondate intorno al
1250. Nell’ultimo decennio di quel secolo le loro dimensioni e la
loro rapacità crebbero enormemente e si riorganizzarono facendo
largo a nuovi soci, le famiglie dell’aristocrazia
terriera, soprattutto quella settentrionale,
che si era da sempre ferocemente battuta contro ogni forma di governo
centrale, e che sotto la coordinazione ed il finanziamento di Venezia
avevano combattuto sia il Barbarossa che Federico II sotto
il vessillo delle “libertà comunali”.
All’inizio
del XIV secolo Venezia coordinava questi Guelfi Neri, gli stessi che
avevano osteggiato il disegno politico di Dante Alighieri. E
allora proprio come adesso contro l’influenza del «De
Monarchia»
Venezia mise in campo un gruppo di politologhi che decantavano quello
veneziano come il modello di governo ideale: da Bartolomeo da Lucca a
Enrico Paolino da Venezia e soprattutto Marsilio da Padova.
La
Parte Guelfa si proclamava il partito del papato ma
chiaramente esercitava forti pressioni sui pontefici affinché
l’usura non fosse più considerata un peccato mortale ma solo
veniale.
In questo contesto è interessante il parallelo tra la nascita delle
case bancarie nel periodo successivo alla fine di Federico II e il
proliferare di eresie delle diverse religioni, soprattutto quella
catara, più congeniali alla pratica dell’usura che è altrimenti
espressamente vietata (almeno sulla carta) dalle tre religioni
monoteiste. Le
sovrapposizioni tra i due fenomeni, usura ed eresia, sono evidenti,
anche senza uno studio approfondito, nel caso della roccaforte catara
di Caorse, nel meridione della Francia, da cui prendevano il nome i
banchieri usurai caorsini.
Venezia
costrinse Federico Barbarossa a rinunciare alla sovranità monetaria
in Italia, ritirando la coniazione argentea del Sacro Romano Impero,
e permettendo alle città di battere una moneta propria e
riuscì
a stabilire un vero e proprio monopolio sulla circolazione di oro ed
argento, moneta e lingotti, sia in Europa che in Asia. Il
crac del 1340 coinvolse tutti meno che i veneziani.
I
banchieri fiorentini elargivano prestiti ai monarchi e aspettavano
poi la restituzione dei soldi ma gli interessi non potevano essere
menzionati nei contratti, perché sarebbero stati considerati usura e
quindi un peccato mortale, un crimine… L’espediente a cui si
ricorreva è ancora oggi usato dal Fondo Monetario Internazionale:
per concedere il prestito i banchieri esigevano delle “condizioni”.
La
prima era quella di impegnare direttamente le entrate delle casse
reali, cioè “privatizzare” le entrate dello Stato; significava
di fatto che i sovrani rinunciavano alla sovranità sulle proprie
economie.
NON
A CASO OGGI IN ITALIA CI RITROVIAMO J.P. Morgan e soci…
Dato
che nell’Europa del XIV secolo le merci più importanti (gli
alimentari, la lana ed i tessuti, le ferramenta, il sale) venivano
prodotte esclusivamente in un sistema di licenze e di tassazione
reali, il
controllo che le banche esercitavano sulle entrate della corona finì
dapprima per instaurare il monopolio privato della produzione di quei
beni ed in un secondo momento condusse alla “privatizzazione” e
al controllo delle funzioni stesse del governo (esattamente come
adesso che le aziende di Stato vengo regalate ai “privati – ed
esattamente come oggi quando ci ritroviamo con UN GOVERNO NOMINATO
DELLE BANCHE).
Nel
1325, ad esempio, i Peruzzi possedevano tutti i diritti sulle entrate
del Regno di Napoli, controllavano l’esercito del regno,
riscuotevano tasse e gabelle, nominavano funzionari e soprattutto
vendevano tutto il grano del regno di re Roberto. Poi, per stabilire
un monopolio ancora più stretto costrinsero re Roberto a fare la
guerra per conquistare la Sicilia, che allora era sotto la Spagna e
alleata quindi del Sacro Romano Impero. Le
devastazioni della guerra ridussero la produzione del grano in
Sicilia rafforzando il monopolio cerealicolo dei Peruzzi.
In
quello stesso periodo i banchieri fiorentini portarono avanti una
simile politica di “privatizzazioni” anche nel regno di Ungheria,
i cui sovrani erano parenti di re Roberto d’Angiò.
Invece
di pagare gli interessi sui prestiti, perché la cosa sarebbe stata
riconosciuta come “usura”, il re elargiva dei “doni” o
“compensazioni” per i sacrifici che loro banchieri si accollavano
per pagare il suo bilancio;
i doni erano un buono extra, oltre alla concessione delle entrate
della corona. Quando re Edoardo decise di proibire ai mercanti
italiani di esportare i propri profitti dall’Inghilterra, questi
decisero di acquistare enormi quantitativi di lana che stiparono nei
monasteri dei Cavalieri ospedalieri, che a loro volta erano loro
debitori, alleati politici e soci nel monopolio della lana.
I rappresentanti dei Bardi convinsero poi Edoardo III a boicottare
l’industria tessile delle Fiandre per distruggerla, perché era
l’unico modo per continuare a spingere in alto il prezzo della lana
ed aumentare quindi le entrate della corona che essi ormai usavano
per coprire il suo debito… i banchieri genovesi intorno al 1325
facevano altrettanto alla corte di Castiglia, che era l’altra
grande fornitrice di lana in Europa.
Nei
primi cinque anni della Guerra dei Cent’anni, a partire dal 1339, i
banchieri fiorentini imposero all’Inghilterra un cambio del fiorino
superiore del 15% rispetto alla moneta inglese. Quando il re
s’accorse di perdere il 15% sul suo monopolio della lana decise di
battere un proprio fiorino inglese, ma
i fiorentini riuscirono a fare in modo che la nuova moneta fosse
generalmente respinta.
In
tal modo i Bardi ed i Peruzzi provocarono la famosa insolvenza di re
Edoardo.
Anche
il banchiere e cronista Giovanni Villani riconosce che il debito che
Edoardo doveva ai Bardi e Peruzzi comprendeva
in realtà crediti che egli aveva già ripagato, proprio come accade
oggi ai paesi del Terzo Mondo debitori del FMI… o anche il Debito
Pubblico italiano che oggi assomma a 2160 miliardi di euro… ma che
è già stato ripagato nel corso degli anni per oltre 3000 (tremila)
miliardi… il che starebbe a dire che dovrebbe essere stato saldato…
ma a quanto pare non basta..:
I Bardi vantavano un credito nei suoi confronti superiore alle 180
mila marche sterline. Ed i Peruzzi più di 135 mila marche sterline,
che... insieme fanno un totale di 1.350.000 fiorini d’oro –
ovvero il valore di un regno.
Ancora
maggiore era il flusso delle rendite raccolte dal papato, lasciti e
decime, durante la Cattività Avignonese. Sotto
Giovanni XXII, tra il 1316 ed il 1336, le rendite papali raggiunsero
i 250 mila fiorini d’oro annui. Il grosso di queste rendite
proveniva dalle decime raccolte in Francia dalle banche veneziane,
mentre nel resto d’Europa, con eccezione della Germania, le decime
erano raccolte dagli agenti dei Bardi.
In
Italia i banchieri seguivano un’aggressiva politica di prestare non
solo ai mercanti ma anche ai contadini ed ai proprietari terrieri,
spesso mirando ad
impossessarsi delle loro proprietà fondiarie.
Le
città italiane furono costrette a cedere grossa parte delle loro
entrate fiscali, le gabelle, direttamente alle banche creditrici. A
partire dal 1315 furono abolite le tasse sul reddito nelle città
(gli estimi), per aumentarle invece nelle zone agricole circostanti.
Così i banchieri, i mercanti e l’aristocrazia guelfa invece di
pagare le tasse potevano estendere i loro crediti (le prestanze) ai
comuni ed alle città. In Firenze nel 1342 gli interessi effettivi
avevano raggiunto il 15% su un debito di 1.800.000 fiorini d’oro.
Nessun prelato denunciò la pratica di quest’usura e i proventi
delle gabelle furono impegnati anticipatamente per sei anni ai
creditori. Il duca d’Atene, Walter
di Brienne, che per un breve periodo fu signore di Firenze, cancellò
tutti gli impegni verso i banchieri, cioè dichiarò un’insolvenza
come quella di Edoardo III.
Un’idea
delle conseguenze della politica economica dei Guelfi Neri si desume
dalla storia demografica del contado di Pistoia, la cui densità
demografica, che intorno al 1250 aveva raggiunto le 60-65 persone per
chilometro quadrato, si ridusse a 50 nel 1340 e piombò a 25 persone
per chilometro quadrato nel 1400, come conseguenza di cinque anni di
Morte Nera. Le grandi
carestie del 1314-1317, del 1328-1329 e del 1338-1339 non furono
affatto “disastri naturali”.
Alcune
case bancarie toscane minori (ubi
major minor cessat),
gli Asti di Siena i Franzezi e gli Scali, erano già fallite dopo il
1320. I Peruzzi, gli Acciaiuoli ed i Buonaccorsi operavano in
perdita, dirigendosi verso la bancarotta come conseguenza del crollo
della produzione dei beni primari di cui avevano ottenuto il
monopolio ma che veniva divorata dal meccanismo canceroso della
speculazione finanziaria.
Gli Acciaiuoli ed i Buonacorsi, che prima della cattività avignonese
erano stati i banchieri dei papi, finirono in bancarotta nel 1342 a
seguito dell’insolvenza di Firenze e delle prime morosità di
Edoardo III. Peruzzi e Bardi, che all’epoca erano le più grandi
banche del mondo, crollarono nel 1345, innescando il caos nei mercati
finanziari del Mediterraneo e dell’Europa, con
l’eccezione della sfera della Lega Anseatica, le città del nord
della Germania che non avevano mai ammesso i banchieri italiani ad
operare nei loro mercati.
Un’epidemia
mortale cominciò a diffondersi nel 1340; non era ancora la peste
bubbonica ma falcidiò il 10% degli abitanti della Francia
settentrionale e 15 mila dei quasi 100.000 mila abitanti di Firenze.
Nel 1347/8 si diffuse in Europa la Morte Nera, la peste bubbonica e
pneumonica, proveniente dalla Cina dove aveva già sterminato 10
milioni di abitanti.
Venezia
costituì il più grande successo commerciale del Medio Evo – una
città senza industrie, con la sola eccezione delle costruzioni
navali militari,
giunse a dominare il mondo mediterraneo e controllare un impero
semplicemente attraverso le imprese commerciali. Nel XIV secolo
giunse al periodo di successo e potenza massimi. I patrizi veneziani
si curavano meno dei profitti provenienti dalle industrie rispetto a
quelli derivanti dal commercio tra regioni in cui vigevano
valutazioni diverse dell’oro e dell’argento.
Tra
il 1250 ed il 1350 i finanzieri veneziani misero in piedi una
struttura di speculazione mondiale sulle monete e sui metalli
preziosi che
richiama per certi aspetti l’immensa speculazione odierna degli
“strumenti derivati”.
Le dimensioni di questo fenomeno erano tali da contenere e
condizionare la più modesta speculazione sul debito, sulle merci e
sul commercio delle casate bancarie fiorentine.
I
Veneziani avevano perfettamente capito che stabilire il loro
controllo monopolistico sull’emissione e sulla circolazione della
moneta dei monarchi dell’epoca, permetteva il controllo
dell’economia mondiale.
Le
banche veneziane apparivano ingannevolmente trascurabili rispetto a
quelle fiorentine, in realtà disponevano di enormi maggiori risorse.
Il vantaggio stava nel fatto che l’impero veneziano agiva come un
organismo unico, perseguendo
i propri interessi con mezzi non solo bancari, ma anche commerciali,
diplomatici, militari e spionistici.
In questo periodo, il commercio veneziano su lunga distanza avveniva
attraverso le “mude di Stato”, convogli navali ben scortati, dove
tutto era deciso dagli organi dello Stato, centralizzava inoltre le
attività di diverse zecche ed i traffici in metalli preziosi e dove
ai mercanti veniva concessa facoltà di appalto (le carature).
Nel
1310 il commercio dei preziosi e della moneta era l’interesse
principale dei traffici veneziani. Dietro agli speculatori c’erano
naturalmente le grandi garanzie di consorzi finanziari e protezioni
politiche.
Ogni
anno partiva da Venezia la “muda dei lingotti” composta da
venti-trenta galere, armate e scortate senza badare a spese, che
navigava alla volta del Mediterraneo Orientale oppure dell’Egitto.
Cariche principalmente di argento, le navi facevano ritorno a Venezia
cariche di oro sotto ogni forma, monete di tutti i tipi, lingotti,
barre, lamine ecc. I profitti di questo commercio erano di gran lunga
superiori a quelli degli usurai in Europa, sebbene i Veneziani non si
trattenessero dal fare profitti anche su quel fronte.
Risulta
che i finanzieri veneziani prescrivevano ai propri agenti a bordo
delle mude di trarre da questi scambi di argento e oro un profitto
minimo dell’ 8% per ogni sei mesi di viaggio, annuo minimo del 16%
e probabilmente medio del 20%.
Il
Doge Tommaso Mocenigo nel 1423 tenne un famoso discorso alla
Serenissima Signoria per illustrare l’arricchimento favoloso di
Venezia in cui diceva che l’esportazione aveva raggiunto i 10
milioni di ducati l’anno, attraverso la flotta commerciale. I
profitti delle esportazioni ammontavano a 2 milioni di ducati,
altrettanto quelli delle importazioni, per cui si può calcolare un
profitto annuo del 40%, considerati i due viaggi annui delle grandi
mude. La zecca veneziana coniava ogni anno 1.200.000 ducati d’oro e
800.000 ducati d’argento, di cui 20 mila andavano annualmente in
Egitto ed in Siria, 100 mila sul territorio italiano, altri 50 mila
oltremare e ancora altri 100 mila in Inghilterra ed altrettanto in
Francia.
Frutto
della libera impresa? Certamente no. Questo
“successo” criminale è il risultato dell’“usura come
religione di Stato”.
Dalla metà del Duecento l’oro orientale veniva saccheggiato dai
Mongoli in Cina, che fino ad allora aveva posseduto l’economia più
ricca del mondo, ed in India, oppure veniva estratto nelle miniere
del Sudan e del Mali in Africa e venduto ai mercanti veneziani in
cambio di argento europeo enormemente sopravvalutato. L’argento
proveniva dalla Germania, dalla Boemia e dall’Ungheria, ma veniva
sostanzialmente venduto tutto ai veneziani che pagavano in oro.
Coniazioni
che non erano veneziane cominciarono a sparire, prima dall’impero
bizantino, nel XII secolo, poi nei domini mongoli ed infine in Europa
nel XIV secolo.
In
questo contesto le crociate che si protrassero tra il 1099 ed il 1291
ebbero un unico principale strategico effetto: espandere e rafforzare
l’impero commerciale di Venezia in Oriente. Venezia era la base per
il trasporto navale dei crociati, dava loro crediti ed esigeva in
compenso “favori” di natura strategica. Attraverso le crociate
Venezia si assicurò il controllo su Tiro, Sidone, Acri e Lajazzo e
consolidò incontrastata il dominio economico su Costantinopoli e su
tutti i traffici che passavano per i Dardanelli. Queste città erano
le teste di ponte costiere delle “vie della seta” che
attraversando le regioni del Mar Nero e del Mar Caspio giungevano in
Cina ed in India. Nel periodo della dominazione mongola, che va dal
1230 al 1370, queste vie erano una sorta di “vie consolari”
battute e mantenute dalla cavalleria mongola.
L’impero
dei mongoli è stato il più grande della storia ed il più crudele,
riuscendo a sterminare con le guerre e le malattie circa il 15% della
popolazione mondiale nel giro di un secolo, distruggendo tutte le
grandi e fiorenti città, dalla Cina occidentale all’Irak e dal
Nord della Russia all’Ungheria, comprese le città commerciali che
facevano concorrenza a Venezia. L’alleanza
con i mongoli, insieme al monopolio dell’oro del Sudan e del Mali,
conferì ai veneziani il monopolio sulla circolazione monetaria nei
decenni che precedettero la disintegrazione finanziaria del XIV
secolo.
I
Mongoli sostituirono la circolazione aurea nei territori conquistati
in Cina ed in India con monete d’argento e
cartamoneta.
Gli scambi con i veneziani avvenivano a Tabriz e Trebisonda, città
commerciali persiane cadute sotto i mongoli, e nella città portuale
di Tana nel Mar nero. Qui l’oro veniva scambiato con l’argento
proveniente dall’Europa. Complementare
al traffico monetario era la tratta degli schiavi (esattemene come
ora sta avvenendo con i “clandestini”).
L’argento era sottoforma di sommi
veneziani, dei piccoli lingotti che “erano il mezzo comune di
scambio in tutti i kanati mongoli e tartari... La richiesta di
argento dall’estremo oriente era in continuo aumento, e i Veneziani
erano in grado di spingere al rialzo il prezzo dell’argento sebbene
ve ne fossero quantità enormi, che arrivavano a Venezia dall’Europa.
Il
sistema di alleanze messo a punto dai Veneziani comprendeva non solo
i crociati, le città guelfe nere e gli angioini, ma spesso anche il
papato, tanto che i Mongoli signori della Persia giunsero ad avanzare
ai re ed ai papi europei proposte di crociate congiunte…… Grazie
al diritto esclusivo di commerciare con i Mamelucchi d’Egitto
concessole da Papa Giovanni XXII,
Venezia stabilì il suo monopolio sullo scambio di argento
sopravvalutato e di schiavi forniti dai mongoli in cambio dell’oro
del Sudan e del Malì.
Sorge
una domanda …: <Come è possibile che la finanza liberistica,
senza un governo che ne avesse il controllo, abbia condotto al
tracollo tutte le economie del continente eurasiatico? Come hanno
potuto poche banche in un angolo d’Europa mettere in moto una
catastrofe del genere? ECCO
LA RISPOSTA…..
Alla
fine del XIII e XIV secolo, Venezia
gestiva tutta la coniazione e gestiva i cambi monetari del più
grande impero della storia, quello mongolo,
allo scopo di saccheggiare e distruggere le popolazioni sottomesse.
Venezia
aveva esteso il proprio controllo sul resto del commercio e della
coniazione di ciò che restava dell’impero bizantino e dei
sultanati mamelucchi nell’Africa Settentrionale.
In questo stesso periodo Venezia trasformò la circolazione monetaria
in tutto l’oriente, da monete in oro a monete d’argento, e di
contro trasformò la circolazione monetaria in Europa e Bisanzio,
dove la base monetaria d’argento fu sostituita dalla base aurea.
Mercanti
e finanzieri veneziani potevano contare su profitti fino al 40% annui
su investimenti a breve e questo su una base economica mondiale
dell’epoca dove il profitto reale, ovvero il “surplus”
produttivo, nei casi migliori si aggirava tra il 3 ed il 4% all’anno.
Le operazioni bancarie dei Guelfi Neri, dei banchieri fiorentini,
rappresentavano un aspetto, un’articolazione delle manipolazioni
finanziarie veneziane, e davano tassi di profitto che pur
non raggiungendo i record veneziani, erano abbastanza alti da erodere
la base produttiva reale, sottraendo investimenti all’economia così
accentuando la depressione.
La
speculazione monetaria globale sulle economie europee diretta da
Venezia, determinò il contesto che causò quel tracollo finanziario.
Dal 1275 al 1325, il rapporto tra i valori medi del prezzo dell’oro
e quello dell’argento aumentò in maniera continua, disturbato solo
da qualche fluttuazione a breve termine, dal valore di 8 a 1 si
arrivò così al valore di 15 a 1. Facendo leva sul monopolio
dell’oro mongolo e africano, Venezia s’impossessò della
produzione di argento europea. “Venezia deteneva la posizione
centrale nel mercato mondiale dei lingotti ed attirò su Rialto un
volume rapidamente crescente di acquisti e vendite stimolate dal
continuo cambiamento dei prezzi dei due metalli preziosi.
Contestualmente dal 1290 fino al terzo decennio del secolo successivo
si registrò un rapido aumento dei prezzi dei beni più importanti.
In
questo processo di rapida speculazione, Venezia estese il proprio
controllo sulle economie circostanti, compresa quella tedesca, dove
si concentrava la produzione di argento, del ferro e dei suoi
manufatti. Negli anni successivi al 1320 i mercanti veneziani non si
recavano più in Germania, ma i tedeschi furono costretti ad aprire
le loro succursali a Venezia, nel “Fondego de’ Tedeschi”. A
Rialto si
effettuavano transazioni bancarie senza valuta, si concedevano
crediti in conto corrente, si stipulavano contratti di credito, si
creava quindi “denaro bancario” su cui speculare.
Non si trattò di una raffinata innovazione nel mondo bancario, ma
più semplicemente del controllo sulla speculazione mondiale: essi
avevano il controllo sulle riserve.
In
effetti, le famose “LETTERE CAMBIALI” dei banchieri fiorentini
erano soltanto una forma molto grezza dei “contratti derivati”
che si sono diffusi come un cancro nell’economia mondiale sullo
scorcio del XX secolo. I banchieri fiorentini imponevano di fatto una
tangente a chiunque esercitasse il commercio in quanto, date
le numerose monete esistenti che Stati e città mettevano in
circolazione nella propria giurisdizione, i commercianti erano
continuamente costretti ad effettuare cambi presso quelle banche.
Questa taglia sul commercio, che passa sotto il nome di “LETTERA
CAMBIALE”
(presentata come l’innovazione creativa dell’epoca), diventò poi
sempre più gravosa perché doveva coprire anche i rischi derivanti
dalle fluttuazioni generate dal monopolio veneziano dei metalli
preziosi. La
LETTERA CAMBIALE del XIV secolo costava
mediamente un 14% d’interesse,
un costo del tutto paragonabile al prestito ad usura.
Venezia
costrinse l’Europa a passare al sistema aureo risucchiando
tutto l’argento in circolazione.
Dal 1300 al 1309 l’Inghilterra acquistò all’estero 90 mila
sterline di argento per la coniazione, mentre nel periodo 1330-1339
riuscì ad importarne solo 1000 sterline. “Ma per tutto il decennio
1330-1340 a Venezia non si registrò nessuna scarsità di argento”.
I
banchieri fiorentini avevano così ampio spazio per speculare con il
loro famoso fiorino d’oro. Ma nel periodo 1325-1345 si registra un
capovolgimento della situazione. Il rapporto del prezzo dell’oro su
quello dell’argento iniziò rapidamente a diminuire,da 15 a 1 scese
a 9 a 1. Quando il prezzo dell’argento cominciò a risalire, dopo
il 1330, a Venezia l’offerta di argento era enorme. Nel periodo
1340-1350 “lo scambio internazionale di oro e argento tornò ad
intensificarsi notevolmente”, contemporaneamente ad una nuova
impennata dei prezzi dei beni. I
banchieri fiorentini adesso si trovarono intrappolati con tutti i
loro investimenti denominati in oro, mentre il prezzo del metallo
scivolava al ribasso, quasi dimezzando il capitale e potere
d’acquisto.
I
superprofitti della Serenissima nella speculazione globale
continuarono fino ai disastri bancari ed alla disintegrazione del
mercato avvenuti tra il 1345-47 ed in seguito.
Nel
periodo 1330-1350 la Peste Nera si diffuse nella Cina meridionale
sterminando tra i 10 ed i 20 milioni di persone, mentre veniva
esaurendosi la furia saccheggiatrice dell’impero mongolo.
L’economia
monogola si fondava su branchi sterminati di cavalli che rovinarono
l’agricoltura di tutto l’immenso dominio dei Khan. Questo
flagello ebbe anche l’effetto di costringere i roditori portatori
della peste, confinati da secoli in una ristrettissima regione del
nord-est della Cina, a migrare verso le regioni meridionali e sulle
vie che verso occidente portano al Mar Nero.
Nel
1346 la cavalleria mongola diffuse la peste nelle cittadine della
Crimea, sul Mar Nero, da dove i traffici marini la portarono in
Sicilia, nel 1347, e da qui si diffuse in tutt’Europa.
La
popolazione europea ristagnava sugli stessi livelli di sviluppo da
circa quarant’anni, concentrandosi per motivi di sopravvivenza
maggiormente nelle città dove le infrastrutture, soprattutto quelle
idriche e sanitarie, risultavano sempre più fatiscenti e malandate.
I famosi ponti di Firenze, ad esempio, furono edificati tutti nel
XIII e nessuno nel XIV secolo. La situazione alimentare cominciò a
peggiorare con lo scarseggiare dei raccolti o addirittura a causa di
carestie di cui si è accennato. Durante le crociate, la pur
limitatissima istruzione classica che si impartiva nei monasteri fu
duramente perseguitata dall’ordine cistercense di Bernardo di
Chiaravalle che predicava le crociate. Nel 1225 il papato proibì che
nei monasteri si istruissero i giovani esterni, gli “oblati”,
l’unica forma di istruzione per chi non appartenesse ad una
famiglia particolarmente facoltosa, con le immaginabili conseguenze.
Dio
permette il male perché combattendolo diventiamo esseri umani
migliori, scrisse Gottfried Leibniz, il filosofo e matematico tedesco
che nel XVII secolo fondò la scienza dell’economia fisica. Ci
sono invece quelli, e sono molti, che con Thomas Malthus oggi pensano
che una grande epidemia mortale sia il modo migliore per risolvere il
problema di presunte eccedenze demografiche.
Tra il 1360 ed il 1370 Matteo Villani scrisse nelle sue cronache che
mentre ci si attendeva che dopo la peste vi fosse un’abbondanza di
prodotti per i pochi sopravvissuti, in
realtà si verificarono nuove carestie ed aumenti disordinati dei
prezzi.
I
prezzi infatti aumentarono per l’arco di un’intera generazione e,
a partire dal 1380, si verificarono una forte deflazione ed il
contemporaneo crollo dei salari.
Nel
1401 re Martino I d’Aragona espulse i “banchieri italiani” dal
suo regno. Nel 1403 Enrico IV impose leggi molto rigide sulle loro
attività in Inghilterra. Nel
1409 nelle Fiandre i banchieri genovesi furono sbattuti in prigione.
Nel 1410 tutti i mercanti italiani furono espulsi da Parigi.
Quando Luigi XI diventò re di Francia nel 1461, regolò gli affari
monetari e finanziari del paese sotto la sua sovranità per
facilitare la rapida costruzione di città e infrastrutture. Sia
nella Francia di Luigi XI, che nella contemporanea Inghilterra di
Enrico VII “forme di economia nazionale mercantilista si
combinavano ad una risoluta ostilità alle tecniche finanziarie
italiane”.
Della
serie …. Nulla di nuovo sotto il sole…