mercoledì 21 dicembre 2022

 


LA FAVOLA DI NATALE

IL PIU’ STUPENDO ESEMPIO DI MANIPOLAZIONE DELLA COMUNICAZIONE


ORAZIO FERGNANI

E-MAIL : oraziofergnani@tiscalinet.it


CARI AMICI VI VOGLIO RACCONTARE UNA FAVOLA DI NATALE


Cari amici quest’anno come tutti gli anni ho pensato di farvi un regalo particolare, eccentrico, originale, ma quest’anno è eccezionalmente particolare, perché vi farà profondamente riflettere, dubitare, meditare, analizzare la vostra vera personalità, la vostra profonda convinzione filosofica, religiosa, etica, storica, culturale.


LA FAVOLA…… DI NATALE


IL 25 dicembre la maggioranza dei Cristiani professanti in tutto il mondo si appresterà a celebrare il Natale, il presunto giorno della nascita di Gesù.


In altre parole vi farà ripercorrere con una serie di preconcetti e principi diversi da quelli che avete avuto fino ad ora tutte le tappe in cui avete dovuto fare delle scelte. E forse il mondo vi sembrerà un po’ diverso, e forse l’impressione che ne ricaverete non vi piacerà molto, ma forse la visione della realtà, e lo stato di consapevolezza che avrete dopo aver letto questa “FAVOLA DI NATALE” potrebbe essere un po’ più vicina alla Verità di quella che avete ora.


Nella speranza di avervi fatto comunque cosa gradita (seppure se nuda, cruda ed amara la verità è sempre da preferire all’oblio, all’ignoranza alla menzogna ),


Vi porgo i più sentiti e caldi


Auguri ………per…………. qualunque ricorrenza o cerimonia vogliate festeggiare……


Orazio Fergnani.



Il culto del dio Mitra, divinità di origine persiana le cui prime tracce risalgono al 1300 a.C. ma probabilmente molto anteriore, è uno dei culti orientali che tramite il mondo ellenico si diffusero a Roma. Testimonianze della religione mitraica sono state ritrovate in Gran Bretagna, Italia, Romania, Germania, Ungheria, Bulgaria, Turchia, Persia, Armenia, Siria, Israele e Africa del Nord. Mithra è un dio Indo-Iraniano. Nell' induismo è glorificato come il binomio Mitra-Varuna. C'è anche un inno dedicato solamente a lui nel Rig Veda (versetto 3.59). Lui è il Sovrano della Luce Divina, protettore della verità, ed è invocato quando un giuramento è prestato. Mithra è anche citato nella mitologia cinese, dov'è conosciuto come "L'Amico". Nelle statuette cinesi, Mithra è rappresentato come un generale militare, ed è considerato l'amico dell'Uomo in questa vita e il protettore dal male nella prossima vita.


Questo culto cominciò a prendere piede nell’impero romano a partire dalla fine del I secolo d.C. e raggiunse il periodo di massima diffusione al tempo degli imperatori Severi.

Il Mitraismo occidentale si è formato da una lunga e complessa evoluzione dell'antico culto iranico e come molti altri culti di origine orientale, anch'esso aveva le caratteristiche della religione iniziatica e segreta. Questo è uno dei motivi per cui i santuari, i 'mitrei', furono sempre ricavati in ambienti sotterranei. Il dio Mitra e il suo mistero sembra siano stati introdotti nel mondo greco-romano dai pirati di Cilicia deportati da Pompeo nel 67 a.C. in Grecia, ove però questa religione ha lasciato scarse testimonianze.

Assai più vistose e numerose le tracce superstiti nella penisola italica, dove si affermò alla fine del I sec. d.C., diffondendosi poi con estrema rapidità nelle province nordiche (Mesia, Dacia, Pannonia, Germania, Britannia) attraverso le guarnigioni militari che, insieme agli schiavi, furono i più attivi propagandisti di Mitra.

Una rappresentazione scultorea della tauroctomia

La totale mancanza di fonti scritte fa assumere una straordinaria importanza alla documentazione archeologica relativa a Mitra, il cui mito si ricostruisce in base alle numerose raffigurazioni rinvenute nei mitrei.

La storia di Mitra si articola in diversi episodi: il dio nasce da una roccia con una fiaccola e un coltello fra le mani, con un colpo di freccia fa scaturire l'acqua da una roccia. Successivamente Mitra inizia ai propri misteri il Sole, da cui è distinto ma al tempo stesso strettamente associato, segue un patto fra le due divinità, che siedono insieme a banchetto per poi salire sul carro solare verso il cielo.

Nell'iconografia Mitra è frequentemente associato a Varuna insieme al quale personifica i due aspetti del cielo, diurno e notturno, nonché l'ordine cosmico e umano: Varuna punisce i malvagi e i trasgressori, mentre Mitra è protettore della giustizia e dei patti, del bestiame (cui garantisce buoni pascoli) e degli uomini giusti. Oltre agli aspetti celesti e solari la sua originaria personalità connessa con la giustizia assunse anche una connotazione cosmogonica e soteriologica, mirante cioè alla salvezza dell'uomo.

Ma l'avvenimento centrale del rito mitraico è senza dubbio il sacrificio del toro, la cui morte promuove la vita e la fecondità dell'universo. L'iconografia di tale evento era posta sempre ad una estremità dell'antro, solitamente di forma allungata e con due lunghi banconi ai lati, in cui venivano celebrati i sacrifici rituali ed i banchetti cultuali.

Oltre al dio ed al toro, nella tauroctonia erano sempre presenti delle figure simboliche ben precise: un cane ed un serpente che bevevano il sangue del toro, uno scorpione che lo pungeva ai testicoli, delle spighe di grano che germogliavano dalla coda dell'animale morente e un corvo.

Il loro significato è incerto: lo scorpione ed il serpente sono visti di solito come forze del male che tentano di impedire al sangue ed al seme del toro di raggiungere e fecondare la terra, il cane al contrario ne trae forza mentre le spighe simboleggiano la forza vitale che si libera dal toro morente a favore delle piante verdi. Il corvo, messaggero divino, stabiliva il contatto tra Mitra ed il Sole. Una interpretazione molto diffusa e suggestiva lega i vari animali prima citati alla rappresentazione astronomica e astrologica del cielo e delle costellazioni, mentre l'uccisione del toro e la presenza del sole fanno pensare ad un rito segreto che alluda al meccanismo di precessione degli equinozi. Il carattere cosmico di Mitra è sottolineato poi dalla costante presenza al suo fianco dei due dadofori, o portatori di fiaccole, Cautes e Cautopates, tipologicamete affini al dio e insieme al quale costituiscono una sorta di trinità: rappresentano infatti, nel corso della giornata, rispettivamente il sole dell'aurora, del mezzogiorno e del tramonto, mentre nel ciclo annuale alludono alla primavera, all'estate e all'autunno.


Come in tutti i misteri, anche a quello mitraico si era ammessi attraverso una iniziazione segreta e preceduta dal giuramento di non rivelare il rito. L'ingresso era riservato ai soli uomini e l'iniziato poteva gradualmente accedere ai sette gradi della gerarchia (corvo, ninfo, soldato, leone, persiano, corriere del sole, padre) attraverso prove e cerimonie delle quali sappiamo, ovviamente, molto poco. Il loro carattere doveva essere però essenzialmente simbolico ed incruento come del resto lo stesso sacrificio del toro, punto centrale della liturgia mitraica, impossibile da eseguire nella maggior parte dei mitrei a causa delle piccole dimensioni dei locali.

Secondo alcuni studiosi proprio la disciplina gerarchica dell'iniziazione, così come il carattere vittorioso del dio e il contenuto morale del mitraismo, che muove dall'antica idea persiana dell'eterno combattimento contro il male, spiegherebbe il successo incontrato dai misteri di Mitra presso l'esercito e poi anche presso gli imperatori, al punto da far scrivere ad Ernest Renan che "se il cristianesimo fosse stato fermato nella sua espansione da qualche malattia mortale, il mondo sarebbe stato mitraico".

L'apogeo del mitraismo si ebbe nel II-III secolo d.C., periodo particolarmente travagliato durante il quale l'impero vacillava minato da una crisi non solo economica e militare, ma che investiva anche tutto il mondo pagano che approderà più tardi alla totale cristianizzazione. In questo periodo il mitraismo si identificò con la religione orientale del Sole, diversa dal mitraismo ma con essa confusa dalle masse popolari, che fu assunta a religione preferita dello stato durante il regno di Aureliano (270 - 275 d.C.); in seguito Diocleziano cercò di sostenere il culto di Mitra quale religione del Sol invictus nelle legioni imperiali. In quell'epoca la religione mitraica si diffuse anche nelle classi più elevate fino ad arrivare allo stesso imperatore.

Senza diventare mai religione ufficiale dello stato, il mitraismo godette però di una vasta fortuna, oltre che nell'esercito, soprattutto tra le classi più modeste della società: schiavi, liberti, operai, artigiani e piccoli commercianti. Contemporaneamente, da questi stessi strati popolari e da esigenze spirituali analoghe, muoveva anche l'altra grande religione monoteista dell'epoca: la religione cristiana, che avversò sempre il mitraismo come il concorrente più pericoloso.

Oltre alle comuni origini orientali, molti erano gli elementi sorprendentemente somiglianti fra i due culti: l'episodio di Mitra che fa scaturire l'acqua dalla roccia richiamava il miracolo della rupe di Mosè e il miracolo della fonte operato da S. Pietro, non può poi sfuggire il parallelismo tra le lustrazioni ed il battesimo, la comune credenza nella resurrezione dei morti e nel giudizio finale presieduto da Mitra o da Cristo, la singolare coincidenza della celebrazione del natale del dio fissato il 25 dicembre, giorno del solstizio d'inverno, da entrambe le religioni.


Nella lotta scatenatasi tra le due comunità una prima vittoria fu conseguita dai cristiani con l'editto di Costantino del 313 d.C. , mentre la restaurazione pagana di Giuliano l'Apostata (361 - 363) permise una ripresa del culto di Mitra, segnando soprattutto una battuta d'arresto alla distruzione dei mitrei precedentemente iniziata.


Con la vittoria di Teodosio su Eugenio (394 d.C.) la religione cristiana prevalse definitivamente su quella mitraica che poté resistere ancora per poco nelle zone periferiche, mentre a Roma, sopra i mitrei saccheggiati e distrutti (poco cristianamente) dai cristiani, vennero erette chiese e basiliche.


Il  MITO

Esistono due leggende differenti riguardo alla nascita di questa divinità, accomunate dalla sua scelta di incarnarsi al fine di sconfiggere il male cosmico e morale, salvando così il genere umano. Secondo la prima leggenda, Mitra sarebbe nato da una pietra, dalla quale sarebbe uscito armato di una daga in una mano, una fiaccola nell'altra e con un berretto frigio sul capo.


La seconda leggenda narra invece che il dio decide di venire al mondo incarnandosi nel ventre di una vergine, e vede la luce in una grotta. I festeggiamenti per la sua nascita avvenivano il 25 dicembre (vale la pena ricordare che la Chiesa ha accettato solo nel IV secolo, più o meno nel 335 DC, tale data come effettiva data di nascita di Cristo) e, sempre secondo la leggenda, Mitra avrebbe abbandonato il mondo terreno per tornare in cielo 33 anni dopo essersi incarnato.


Qualsiasi sia stata la sua nascita, la sua è una vita eroica: la sua prima azione è quella di soggiogare il Sole, per poi accordarsi con lui e ricevere in dono una corona luminosa. Cattura poi un toro, portandolo nella sua grotta e superando tutta una serie di difficoltà, causate da un serpente e da uno scorpione, inviati dal dio maligno Ahriman; dal corpo del toro, una volta sgozzato, vengono emanate tutte le piante salutari, in particolare la vite dal suo sangue e il grano dal suo midollo; dal suo seme sarebbero invece nati tutti gli animali utili all'uomo. Al termine del suo operato, con l'aiuto del Sole, Mitra sarebbe assurto in cielo, da dove continuerebbe a proteggere gli esseri umani.


Nell'iconografia la divinità viene spesso rappresentata insieme a due personaggi, detti i dadofori o portatori di fiaccole: i loro nomi erano Cautes e Cautopates, ed erano talmente legati al dio da costituire in pratica un'unica divinità, il triplice Mitra.


Il primo dei due porta la fiaccola alzata, l'altro abbassata: rappresentano il ciclo solare, dall'alba al tramonto, e allo stesso tempo il ciclo vitale: il calore luminoso della vita e il freddo gelido della morte.


Somiglianze con il cristianesimo


Spesso molti storici fanno riferimento al Mithraismo per le molteplici e sorprendenti affinità con il Cristianesimo.


Per i credenti Mithra rappresentava "la Luce del Mondo", simbolo di verità, giustizia e lealtà. Era il mediatore tra cielo e terra, ed uno dei componenti della Santa Trinità. Secondo la mitologia persiana, Mithra nacque da una vergine chiamata 'Madre di Dio'. Il dio restava celibe per tutta la vita e predicava tra i suoi discepoli il controllo di se', la rinuncia e l'astinenza dalla sessualità.


Mithra rappresentava un sistema di etica in cui la fratellanza veniva incoraggiata in modo tale da creare un'unione contro le forze del male.

Per gli adoratori di Mithra, il paradiso era celestiale e l'ade infernale. Essi credevano che i poteri benefici del dio avrebbero agito contro le sofferenze umane garantendo, come giustizia finale, l'immortalità e la salvezza eterna nel mondo a venire. Auspicavano inoltre il giorno del giudizio, che avrebbe visto resuscitare i morti, e credevano nella possibilità di un conflitto finale che avrebbe distrutto l'ordine esistente di tutte le cose per ottenere il trionfo della luce sulle tenebre.


Il credente doveva purificarsi tramite il rito del battesimo, per poi prendere parte ad una cerimonia in cui beveva vino e mangiava pane per simbolizzare il corpo e il sangue del dio. Le domeniche erano i giorni sacri, e la nascita del dio veniva celebrata annualmente il 25 Dicembre. Dopo aver compiuto la sua missione sulla terra e prima di salire in paradiso, il dio partecipava all'Ultima Cena con i suoi discepoli per proteggere per sempre il credente dall'alto.


Le analogie con la religione cristiana non sono solamente legate ad una delle due leggende relative alla sua nascita, alla durata della sua incarnazione e alla sorta di aureola che il Sole gli dona: il rituale mitraico prevedeva sette gradi di iniziazione: Corax, Crypticus, Miles, Leo, Perses, Heliodromus e Pater.


Chi raggiungeva il grado più elevato, quello di Pater (che è lo stesso appellativo con cui ci si rivolge ad un sacerdote cristiano), era colui che officiava i riti, era considerato il rappresentante della divinità in terra, indossava un berretto ed un vestito rossi (come i cardinali) ed aveva un bastone da pastore con la punta ricurva (la mitra, appunto) come simbolo della propria posizione.


Ben presto i primi cristiani avrebbero iniziato a considerare il mitraismo un "travisamento satanico dei riti più sacri della loro religione", (mentre è molto più probabile il contrario, a dire il vero…) perseguitandolo (sempre poco cristianamente) aspramente. 


Il  RITUALE

Malgrado Mitra fosse una divinità solare, i mitrei, templi in cui i suoi riti venivano officiati, erano sotterranei (specus), probabilmente in ricordo della grotta in cui la divinità sarebbe nata e/o vissuta.


Fu Zoroastro ad iniziare questa tradizione: in qualche modo l'antro rappresentava l'universo nel suo complesso, e gli oggetti in esso posizionati ne rappresentavano simbolicamente gli elementi e le parti.


Ricostruzione di una cerimonia mitraica


I misteri mitriaci venivano officiati in grotte, spesso attigue alle catacombe dei cristiani, denominate antrum, spelaeum, o spelunca. Esse erano costituite da un portico (porticus), una sala (pronaos), una sacrestia (apparatorium), e da un ambiente culturale vero e proprio (la crypta). Questa struttura architettonica era poi rifinita (come nel caso del Mitreo di Dura Europos) dalla volta del soffitto dipinta in blu e punteggiata di stelle, mentre l'arco sovrastante l'abside (istoriato con rilievi raffiguranti Mithra nell'atto di sacrificare il toro) recava dipinti i segni Zodiacali. Tale simbolismo cosmico-astrale era poi completato dalle raffigurazioni di Sol e Luna, e da una sorgente situata nell'antro; ciò peraltro corrispondeva alla descrizione della grotta mitriaca fattane da Porfirio (cfr. De Antrum Nympharum, VI) il quale menzionava sia sorgenti d'acqua che verdi alberi in fiore. Datali testimonianze (sia iconografiche che scritte) si può facilmente dedurre che lo spelaeum mitriaco rappresentasse simbolicamente il cosmo, immagine del mondo nel quale il re-salvatore Mithra si manifestava portando la luce della conoscenza e della vita.


Purtroppo si sa poco dei rituali, delle simbologie e delle speculazioni cosmologiche e astrologiche della religione mitraica, che dovevano essere piuttosto complesse e note solamente agli iniziati di livello più alto.


Da alcuni dipinti ritrovati in vari mitrei (gli esempi di mitrei contenenti dipinti sono piuttosto rari, più spesso sono presenti sculture o bassorilievi), appare probabile che, durante le liturgie, i fedeli portassero delle maschere che ne mettevano in mostra il livello di iniziazione raggiunto.


Quel che è noto è che la vittoria sul toro selvaggio rappresenta la vittoria dell'ordine sul caos e sulla barbarie e che il culmine del cerimoniale era un banchetto a base di pane (prodotto a partire dal grano, cioè dal midollo del toro) ed acqua (o forse vino, prodotto dall'uva, cioè dal sangue del toro).


Anche in questo caso, la somiglianza con il rito cristiano dell'eucarestia è molto spinta. Purtroppo non ci sono note le formule rituali che il pater pronunciava durante lo svolgimento del rituale.


Sembra comunque che esistesse una sorta di percorso di purificazione attraverso sette porte (non necessariamente da intendersi fisicamente), una per ciascun livello di iniziazione, ma anche una per ciascun circolo celeste allora noto (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno), e forse rappresentate dalle icone dei sette simboli di iniziazione.


In alcuni casi è presente una cella al di sotto della sala principale, chiamata fossa "sanguinis", collegata ad essa tramite un sistema di tubature che servivano con tutta probabilità ad una sorta di battesimo, officiato attraverso un'abluzione nel sangue del toro sacrificato. 


GRADI DI INIZIAZIONE DEL MITRAISMO


1. Grado d'iniziazione: Corvo ( Corax )

E' il primo grado iniziatico, simboleggiava la morte del neofita. Nella Persia antica era abitudine esporre cadaveri sulle torri funerarie perché fossero mangiati dai corvi. Il Corvo, come simbolo della morte, può anche essere visto su alcune carte dei tarocchi come la carta numero 13, invece della Morte. A questo punto il neofita muore e rinasce in un corso spirituale. Al neofita veniva assegnato un mantra da ripetere e i suoi peccati venivano lavati nell'acqua, con il battesimo.


Il neofita si desta dal lungo sonno in cui ha dormito per molti anni e si apre a una nuova esperienza che è quella della luce; apre le porte del suo io per spogliarsi ed entrare nudo nella luce.


Il grado del Corvo è sotto la protezione di Mercurio. Simboli che appartengono a questo grado: corvo, cadduceo, ariete, tartaruga, lira, vaso.


Il simbolo del corvo è presente sia nel mitreo di S. Prisca a Roma sia nel Mitreo delle Dura-Europo sull'Eufrate in Siria che in molti altri siti.


2. Grado d'iniziazione: Nymphus ( Crisalide )

E' il secondo grado iniziatico, rappresenta la nascita. Le farfalle nascono dalle larve... Queste sono all'inizio più piccole di un grano di miglio; quando, crescono diventano vermi e dopo tre giorni piccole larve.


Poi crescono ancora e piano piano mutano il loro aspetto diventando quindi crisalidi; e sebbene, abbiano un guscio duro, si muovono se vengono toccate.


Dopo poco tempo il guscio si rompe e volano via animaletti con le ali che chiamiamo farfalle.

"Non poteva vedere "la luce della verità" finché "il velo della realtà" non veniva alzato. Lui era promesso al culto e diventava casto per almeno la durata di questa fase. Era lo sposo (amante) di Mithra; inoltre offriva alla sua statua una coppa di acqua, la coppa era il suo cuore e l'acqua il suo amore."


Il grado della Crisalide è sotto la protezione di Venere. Simboli che appartengono a questo grado: serpente, didema, lucerna.

Il simbolo della crisalide è presente sia sulla pietra tonda di Salona (Dalmazia) che sul rilievo di Eros e Psyche a Capua che in molti altri siti. 


3. Grado d'iniziazione: Miles ( Soldato )

E' il terzo grado iniziatico, rappresenta la battaglia. Anche il terzo grado rientra negli stadi preparatori che gli iniziati oltrepassano rapidamente.


Tertulliano ci dice che il candidato doveva combattere contro un uomo con la spada per conquistare la corona.


Il neofita doveva inginocchiarsi (sottomissione all'autorità religiosa), nudo (simbolo dell'abbandono della vecchia vita), bendato e con le mani legate.


Veniva poi offerta una corona sulla punta di una lancia. Una volta incoronato, le corde andavano tagliate con un solo colpo della lancia e tolta la benda.


Questa rappresentava la sua liberazione dalla materialità del mondo.



Questo rappresentava anche la rimozione dell'intelletto stesso, permettendo a Mithra di essere la guida. Dopo questa fase il neofita cominciava la vera battaglia contro il suo essere basso: un soldato è colui che combatte realmente il vero nemico.


Il grado del Miles è sotto la protezione di Marte.


Simboli che appartengono a questo grado: scorpione, gambero, elmo, lancia , berretto frigio, bisaccia.


Il simbolo del Miles è presente sia mitreo delle sette porte di Ostia che sugli altari di Heddernheimche in molti altri siti. 




4. Grado d'iniziazione: Leo ( Leone )

E' il quarto grado iniziatico, rappresenta l'elemento del fuoco. E' il gradino per entrare nella porta dell'Oltre, del non commensurabile.


All'iniziato si apre una nuova visione del mondo, quella del mondo fenomenico a cui si può accedere solo con un atto di forza e vigore interiore.



Il banchetto rituale, costituito da pane e vino, rappresentava l'ultima cena di Mithra con i suoi compagni, prima della sua ascesa al cielo sul carro del Sole.


Il grado del Leo è sotto la protezione di Giove.


Simboli che appartengono a questo grado: cane, cipresso, alloro, folgore, l'aquila, vespa. Un importante affresco per capire la rilevanza di questo grado è presente nel mitreo di S. Prisca.


"Accipe thuricremos, pater accipe sancte leones, per quos thura damus, per quos consumimur ipsi."


"Accetta amichevolmente, santo Padre, i Leoni che bruciano l'incenso (e il loro elemento: il fuoco), attraverso essi noi spargiamo l'incenso, attraverso essi anche noi finiremo"


5. Grado d'iniziazione: Perses ( Persiano )

E' il quinto grado iniziatico. Il rappresentante del Persiano è Cautopates, il pastore vestito secondo l'uso nazionale e con la torcia abbassata. E' il grado che sottende al ruolo del Custos delle grotte mitraiche.


"L'iniziato ha ottenuto questo grado attraverso un'affiliazione alla razza che era l'unica che meritava di ricevere la più alta rivelazioni della saggezza del Magio". L'emblema di questa fase era un'arpa, l'arpa che Perseo ha usato per decapitare il Gorgon, simbolizzando la distruzione dell'aspetto più basso dell' iniziato. L'iniziato era inoltre purificato con il miele, perché era sotto la protezione della luna.


"Il miele è associato con la purezza e la fertilità della luna perché in Iran antico la luna era considerata la fonte del miele, e quindi l'espressione "luna di miele" denota non il mese dopo il matrimonio, ma la continuazione dell'amore e della fertilità nella vita matrimoniale".


Il grado del Perses è sotto la protezione di Luna. Simboli che appartengono a questo grado: arco, faretra, bastone, falce di luna, civetta, usignolo, archi, acinace, chivi, brocca, delfino, treppiede, spiga. Il grado del Persiano è ben rappresentato nel rilevo di Dieburg nella faccia posteriore. 



6. Grado d'iniziazione: Heliodromo ( Corriere del Sole )

E' il sesto grado iniziatico. Il rappresentante dell' Heliodromo è Cautes, che solleva la torcia e preannuncia il sorgere del Sole. Rappresenta il levar del sole e il viaggio quotidiano del dio attorno alla terra.


Nel grado di Heliodromus (camminatore del sole) sotto il sole, l'iniziato imitava il sole al banchetto rituale. Si sedeva accanto a Mithra (il padre), vestito in rosso, il colore del sole, del fuoco e del sangue della vita.


Il grado dell'Heliodromo è sotto la protezione di Sole.


7. Grado d'iniziazione: Pater ( Padre )


E' il settimo e il più alto grado iniziatico, rappresenta tramite Saturno il Tempo dell'Oro ....redeunt Saturnia regna.


Il grado del Pater è sotto la protezione di Saturno. Nel mitreo di S. Prisca il Pater è seduto sul trono e gli iniziati gli sfilano innanzi. 


Dove si trovano I mitrei tuttora esistenti e visitabili.


ROMA


La religione mitraica ebbe una diffusione piuttosto ampia a Roma come un po' in tutto l'impero a partire dal I secolo DC. Inizialmente ben tollerata, venne duramente combattuta a partire dal III secolo da parte dei cristiani, che molto probabilmente ne assorbirono alcune caratteristiche e alcuni rituali.


Di conseguenza, a Roma si trovano diversi mitrei, purtroppo non tutti visitabili con facilità: per alcuni di essi è necessario chiedere l'autorizzazione all'ente che li gestisce.


Mitreo di S. Clemente


Uno dei mitrei che è possibile visitare facilmente, è quello sottostante alla chiesa di S. Clemente, in Via S. Giovanni in Laterano, non lontano dal Colosseo. Vale la pena visitarlo, anche perché la chiesa è molto interessante di per sé;

originariamente eretta sulle rovine di costruzioni romane, si compone di due chiese sovrapposte: la basilica inferiore venne eretta nel 385, e, dopo un paio di restauri, venne distrutta alla fine dell'XI secolo. Sulle sue rovine, venne eretta la basilica superiore, all'inizio del XII secolo. Si deve arrivare però agli anni '30 del nostro secolo per riscoprire che, al di sotto dell'abside della basilica inferiore, è presente un tempio risalente al III secolo DC e dedicato al dio Mitra.


L'angusto corridoio che si percorre per accedervi è caratterizzato dall'essere scavato nella pietra scabra, a simulare lo specus di Mitra. La struttura è quella tipica di questo tipo di templi: si tratta di una sala a volta ribassata, con banconi in muratura lungo i lati: al centro, si trova un altare scolpito sui quattro lati, così come sono scolpite alcune delle pareti. Immancabili i bassorilievi della tauroctonia (uccisione del toro), dei dadofori e del serpente.


Mitreo del Circo Massimo


In Via dell'Ara Massima di Ercole, a due passi dai Fori Olitorio e Boario e sul lato opposto della strada rispetto alle rovine del Circo Massimo, si trova il deposito del Teatro Dell'Opera di Roma; nei suoi sotterranei, sono presenti i resti di un mitreo risalente al III secolo DC.


L'accesso non è normalmente aperto al pubblico, ed entrarvi non è semplice: nell'antro regna un buio pesto, e la stretta scalinata che vi dà accesso è di difficile percorribilità. All'interno, un'anfora interrata nel centro della sala, un bassorilievo con la tauroctonia e alcuni simboli mitraici: il corvo e il cane (suoi alleati), lo scorpione e il serpente (suoi avversari). Le nicchie che si notano qua e là sono, purtroppo, omai vuote.





Mitreo Barberini

Al di sotto dello splendido Palazzo Barberini, capolavoro barocco e caso rarissimo di opera in cui hanno lavorato entrambi i grandi geni del periodo, Bernini e Borromini, si trova un mitreo importantissimo, perché è uno dei pochi mitrei in Italia che contiene rappresentazioni dipinte. Venne costruito in due fasi: la prima risale al I secolo DC e la seconda all'inizio del III secolo. Sul fondo della sala, dotata di seggi laterali, si trova l'affresco dedicato al sacrificio del toro e alle azioni eroiche della divinità. Sulla fascia superiore, i simboli zodiacali, sovrastati a loro volta da una rappresentazione di Zurvan Akarana, il Tempo Illimitato: è un mostro alato (a simboleggiare la velocità con cui si muove), con testa di leone (che ne simboleggia la voracità), completamente avvolto dalle spire di un serpente (simbolo dei cicli celesti).


Purtroppo, l'affresco non è in buono stato, ma si intuisce il terrore sacro che doveva originariamente incutere. Mitreo delle Terme di Caracalla: Uno dei più maestosi mitrei dell'Impero si trovava sotto l'esedra occidentale delle meravigliose Terme di Caracalla. Incastrato nella fitta rete di sotterranei delle terme, era dotato di diverse sale, tra cui la principale era quella dedicata al banchetto. Una sala ad un livello ancora più basso, vicino alla fossa "sanguinis", è in comunicazione tramite una serie di cunicoli con la sala principale, ed era probabilmente dedicato alle abluzioni "battesimali" nel sangue dell'animale sacrificato. Vi sono inoltre locali che erano probabilmente usati come latrine, e sale più piccole che venivano usate come spogliatoi.


Mitreo di S. Prisca

Uno dei luoghi più suggestivi di Roma è di certo il colle Aventino; dal Giardino degli Aranci si può godere una delle viste più belle di Roma, godendosi il lento scorrere del Tevere, la nave di pietra dell'Isola Tiberina, giù fino all'ansa che è stato il centro della ripresa di questa città nel periodo rinascimentale. In cima al colle, si trovano diverse basiliche di grande interesse storico e artistico (S. Sabina, S. Alessio per citarne due). La piccola chiesa di S. Prisca, risalente almeno al V secolo DC, venne costruita su un'antica abitazione patrizia, in cui la tradizione vuole che venne ospitato lo stesso S. Pietro, e venne restaurata XV e nel XVII secolo.


Da essa si può visitare un piccolo museo adattato nel ninfeo dell'abitazione romana e, attraverso uno stretto cunicolo, si accede al mitreo sottostante, riportato alla luce negli anni '40.


Come il mitreo Barberini, è uno dei pochi a riportare affreschi sulle sue pareti, rappresentanti i sette gradi d'iniziazione, una processione in onore del dio, la tauroctonia e una rappresentazione di Saturno sdraiato (è bene ricordare che Saturno altro non è che la versione latina di Crono, la principale delle divinità che i Greci chiamavano Titani, ossia i "genitori" delle divinità olimpiche; il nome stesso del padre di Zeus ne indica il legame con il tempo).

Nel vestibolo venivano probabilmente uccise le vittime sacrificali, mentre molte delle decorazioni sono oggi contenute in un'altra sala; sono inoltre presenti un battistero con rappresentazioni allusive ai segni zodiacali ed una vasca lustrale e una sala probabilmente dedicata alle iniziazioni.


Ariccia/Marino

Il mitreo di Marino si presenta come una galleria stretta e lunga che in precedenza era stata utilizzata come cisterna per l’acqua (nelle vicinanze sono stato trovati altri resti archeologici), infatti le pareti il pavimento e il soffitto sono ricoperti da uno strato di calce mista a pozzolana e a piccolissimi frammenti di terracotta, che impedisce all’acqua di uscire.


La trasformazione in luogo di culto avvenne successivamente, quando l’ambiente non era più utilizzato come cisterna; lungo le pareti furono praticati dei fori, sia per potervi mettere le lucerne per l’illuminazione, sia per poter costruire una divisione interna che divideva gli iniziati in base al grado raggiunto, furono pure costruiti due banconi lungo le pareti dove si sdraiavano i fedeli che in tal modo consumavano il banchetto sacro.


Davanti all’affresco c’è un cippo di peperino con un’iscrizione in latino INVICTO DEO CRESCES ACTOR ALFI SEBERI D P (al dio invitto pose come dono Cresces, amministratore di Alfio Severo) che si riferisce ai frequentatori che potrebbero essere stati gli schiavi che lavoravano nelle vicine cave di peperino.


Passiamo ora a descrivere la scena affrescata, che per la qualità dei colori e del disegno è uno dei migliori al mondo; si pensi che in Italia si conoscono solo altri due mitrei dipinti, uno a Roma sotto Palazzo Barberini e uno a S. Maria Capua Vetere in Campania. Al centro dell’opera c’è Mitra, all’interno di una grotta, vestito alla maniera orientale con il berretto frigio, una tunica con maniche e calzoni lunghi, tutto di colore rosso.


Sulle spalle gli volteggia un mantello blu bordato anch’esso di rosso, che è costellato di stelle, tra cui spiccano sette pianeti; il dio ha la testa girata verso il Sole raggiante, dipinto in alto a sinistra, che lo guarda benevolente ed ha accanto un corvo nero; all’alto lato è raffigurata la Luna con lo sguardo chino e circondata di luce riflessa.

Mitra è rappresentato mentre uccide il toro.


Mitra uccidendo quest’ultimo rigenera la Terra, infatti dalla coda dell’animale spuntano alcune spighe di grano.

Ai lati della scena, in basso, sono presenti due altri personaggi chiamati dadòfori, cioè portatori di torce, sotto il Sole a sinistra c’è Càutes con la fiaccola alzata e accesa, sotto la Luna a destra c’è Cautòpates con la fiaccola abbassata e spenta in rappresentazione della notte.

Alcune scenette, quattro per ogni lato, riportano le fasi più significative del mito di Mitra; si comincia a sinistra dall’alto:

Completano la decorazione dell’ambiente altre due rappresentazioni dei Dadofori poste vicino l’ingresso, dipinti però in posizione inversa rispetto ai precedenti; a destra c’è Càutes con la fiaccola accesa e alzata che rappresenta il sorgere del sole e il lato positivo, a sinistra c’è Cautòpates con la fiaccola spenta e abbassata che rappresenta il lato buio negativo, infatti ancora oggi sinistro è considerato sinonimo di incidente.


L’opera ha quindi bisogno di restauri, che purtroppo ancora tardano ad arrivare, per mantenere intatta questa stupenda testimonianza del passato, in modo da farla conoscere ed apprezzare anche ai nostri figli.



Mitreo delle Terme di Caracalla - Roma

E' il più grande mitreo ad oggi rinvenuto, conteneva molte persone e vista la sua vicinanza alle Terme era sicuramente molto frequentato.


VULCI

Al centro troviamo l'altare e lateralmente le sei celle dedicate agli iniziati. In fondo ci dovrebbe essere stata la raffigurazione della taurarchia.


SUTRI

Tutto completamente scavato nella pietra tufacea, presenta i banconi laterali seguiti da colonne. In fondo probabilmente era presente una raffigurazione della taurarchia. Ad oggi troviamo degli affreschi successivi di origini cristiana che hanno coperto le precedenti raffigurazioni.

Per la visita indicazioni per la Chiesa della Madonna del Parto.


OSTIA


Mitreo delle sette sfere

Nel mosaico del pavimento troviamo le sette porte descritte da Celso. Davanti al primo ingresso si trova un pugnale.


Mitreo degli animali

Nel mosaico del pavimento all'ingresso troviamo un uomo dall'aspetto selvaggio e lunghi capelli, tiene nella destra una paletta per il fuoco e nella sinistra una falce.


Il fuoco che rappresenta il "Leone",prosegundo sul pavimento troviamo raffigurati una civetta che rappresenta il "Persiano", un gallo l'"Eliodromo", uno scorpione "il "Miles", un serpente il "Nymphus". Più avanti troviamo una testa di toro con le corna a forma di falce di luna; a destra la coda che alla morte dell'animale si trasforma in spiga; a sinistra l'impugnatura del pugnale con il quale Mithra sacrifica il toro.


Mitreo delle sette porte

Nel mosaico del pavimento all'ingresso troviamo un portale con sette porte al cui centro la porta più grane contiene una lampada.





Mitreo di Felicissimo

Nel mosaico del pavimento troviamo nel primo riquadro due berretti frigi con la stella sulla punta, simbolo di Cautes-Lucifero e di Cautopates-Espero.



Mitreo delle terme

Al mitreo si accede da una scala dell'edificio sovrastante.


Attraverso una serie di cunicolo arriviamo al mitreo da dietro alla scultura.


Visione molto suggestiva del mitreo a cui è possibile accedere fino a sostare sulle panche laterali


Mitreo delle pareti dipinte


Probabilmente risalente al II secolo a. C. ha una struttura classica con i due podi laterali rivestiti di stucco.


Nel muro di fondo si alza un altare con un'iscrizione dedicata al sole; davanti all'altare troviamo un cippo in marmo con il busto di Mithra e due dadofori sui lati.


Le figure dipinte sulle pareti fanno riferimento ai gradi iniziatici


Mitreo del Palazzo Imperiale

Il mitreo era inserito nel palazzo imperiale e costituiva il soggiorno per gli imperatori.


Sul pavimento a mosaico troviamo la scritta " Soli invict(o) mit(hrae) d(onum) d(edit) L. Agrius Calendio.


Mitreo della Planta Pedis


Sull'altare si possono notare figure rappresentanti il sole e la luna.


Il nome del mitreo risale alla raffigurazione a mosaico che troviamo all'inizio del pavimento. A metà è rappresentato un serpente.








Mitreo dei serpenti

Il mitreo presenta una forma classica con le due panchine laterali e l'altare in fondo.


Di buone dimensioni, il nome gli è stato dato per la presenza degli affreschi che rappresentato dei grossi serpenti.


Mitreo di Lucrezio Menandro

L'altare presenta una falce di Luna che simboleggia la taurarchia. Troviamo un'iscrizione che recita "deo invicto Mithrae" in onore a Lucrezio Menandro il custode del sacello.


Mitreo della casa di Diana

Situato proprio all'interno delle strutture abitative e molto nascosto, presenta un altare con un arco che ricorda la volta.


S. Maria Capua Vetere


Nell'affresco del sacrificio del toro possiamo notare che sul mantello di Mithra scintillano le sette stelle (i pianeti).


Sulla punta del berretto frigio brilla una stella (Saturno). La veste e i calzoni sono rossi; il toro bianco con la coda che si stà trasformando in spiga.

A sinistra vediamo il dio sole con la raggiera e il corvo; un raggio va dal sole e Mitha tagliando in due la parete della grotta. In alto a destra la Luna, a sinistra Cautes cche indossa abiti persiani e ha l'arco in mano; a destra Cautopates.

Inoltre troviamo lo scorpione, il serpente e il cane. In basso a sinistra Oceanus e a destra Tellus (dea della terra).


Trieste

Mitreo di Duino

Singolare esempio di Mitreo inserito in una grotta naturale, come il culto mitraico imporrebbe. In fondo troviamo un bassorilievo raffigurante la taurarchia con le figure del Cautes e del Cautopates ai lati. In alto è leggibile la scritta D(eo) I(nvicto) M(ithrae).


Fonti:


- 'Roma Mitraica' di C. Pavia - Lorenzini editore 1986;

- F.M.R. n. 61 - maggio 1988;

- 'Roma sotterranea' a cura di R. Luciani - Palombi editore 1984.







Caratteristiche tipicamente orientali del Mitraismo


Il Mitraismo conservò purtuttavia il suo spirito orientale; ma tutta la sua struttura ideologica dovette rinunziare alla tradizionale formulazione iranica, per adottare una terminologia più consona all' ambiente occidentale. Le arcaiche denominazioni delle divinità mitriache dovettero così cedere il posto agli usuali nomi delle corrispondenti divinità greco-romane e, insieme ai nomi furono adottate anche le rispettive tipologie simboliche, secondo l'iconografia religiosa ormai convenzionale nel mondo classico ed ellenistico. In questo modo l' antica divinità iranica del cielo (cfr. Herod.1,131), che nella religione di Zarathushtra si chiamava Ahura Mazda (pahlavico, Ohrmazd) divenne Zeus, Giove; mentre il suo avversario, il principe del male Angra Mainyu (Ahriman) venne ad identificarsi con il dio degli Inferi Hades-Plutone. Il dio di una bevanda inebriante usata dai Magi (mazdei) a scopo liturgico nelle loro trance estatiche, l'haoma (che di volta in volta è stata identificata con la cannabis sativa, l'asclepias acida, l'amanita muscaria, e l'amomo), divenne Dionysos-Bacco, il dio del vino. Le divinità iraniche corrispondenti ai grandi astri del giorno e delle notte divennero Helios e Selene, Sol e Luna; l'immagine "divinizzata" della Terra fu rappresentata sotto le sembianze di Hera-Giunone; l'Acqua come Poseidon-Nettuno; e così via...


Vi furono però dei limiti a questo processo sincretistico di assimilazione e di trasfusione di elementi religiosi fra loro solo apparentemente discordi; Mithra, la divinità principale, mantenne inalterato il suo nome, mentre l'arcaico epiteto iranico di Nabarzes cedette il posto al greco Aniketos ed al latino Invictus. Quest'ultimo epiteto era poi segno della stessa personificazione salvifica di Mithra nel ruolo di messaggero del Sole di mezzodì vincitore sulle tenebre (Sol Invictus, Sole Invincibile), ruolo che nella tradizione iranica spettava al Saoshyant (il redentore-salvatore) foriero della Gloria e dello Splendore divino (Xvarenah): < ...Lo Xvarenah si associerà al Saoshyant vittorioso e agli altri suoi soci, quando renderà eccellente la vita, non soggetta a vecchiaia, non soggetta a morte, incorruttibile, immarcescibile, sempre viva..." (Yasht, XIX, 89 trad. Gh. Gnoli).


I misteri mitriaci venivano officiati in grotte, spesso attigue alle catacombe dei cristiani, denominate antrum, spelaeum, o spelunca. Esse erano costituite da un portico (porticus), una sala (pronaos), una sacrestia (apparatorium), e da un ambiente culturale vero e proprio (la crypta). Questa struttura architettonica era poi rifinita (come nel caso del Mitreo di Dura Europos) dalla volta del soffitto dipinta in blu e punteggiata di stelle, mentre l'arco sovrastante l'abside (istoriato con rilievi raffiguranti Mithra nell'atto di sacrificare il toro) recava dipinti i segni Zodiacali. Tale simbolismo cosmico-astrale era poi completato dalle raffigurazioni di Sol e Luna, e da una sorgente situata nell'antro; ciò peraltro corrispondeva alla descrizione della grotta mitriaca fattane da Porfirio (cfr. De Antrum Nympharum, VI) il quale menzionava sia sorgenti d'acqua che verdi alberi in fiore. Da tali testimonianze (sia iconografiche che scritte) si può facilmente dedurre che lo spelaeum mitriaco rappresentasse simbolicamente il cosmo, immagine del mondo nel quale il re-salvatore Mithra si manifestava portando la luce della conoscenza e della vita.


Nella personificazione di Sol Invictus, Mithra nasceva da una cava rocciosa il 25 dicembre. Egli era infatti petroghénes, cioè "nato dalla roccia", e portatore della ignea fiaccola, simbolo dell'epifania luminosa e gloriosa del dio salvatore; allo stesso modo l'iranico redentore del mondo Saoshyant si sarebbe rivelato alla fine dei tempi: materializzandosi in una forma corporea consustanziale alle stelle, all'interno di una colonna luminosa. Tale dimensione salvifica del culto, unita a speculazioni e simbologie di tipo cosmico-astrale (cfr. la struttura architettonica dei Mitrei), dava evidentemente testimonianza di una indissolubile continuità con le concezioni soteriologiche dei Magi persiani, unite a dottrine di tipo astrologico.

Il simbolismo cosmico connesso ai Misteri di Mithra, non era unicamente di natura per così dire "discendente", ovverossia legato solamente al manifestarsi della divinità salvatrice nel cosmo sensibile. Esisteva, al contrario, anche una specie di gerarchia "ascendente", una ,scala (cfr. Origene, Contra Celsum, VI, 22) iniziatica che permetteva al neofito di accedere alle beatitudini divine, sottoponendolo ad un rigido rituale di iniziazione durante il quale si sarebbe realizzata la sua "divinizzazione" in terra, oltrepassando e dissolvendo le catene del fato e del tempo, emancipandosi dal dominio delle forze infere.


Colpisce inoltre nell'iconografia religiosa del Mitraismo la raffigurazione di un essere divino sicuramente estraneo al pantheon classico: un essere mostruoso, alato, con testa di leone, ed il corpo avvolto nelle spire di un serpente. Esso secondo F. Cumont era una immagine del Tempo, che ogni cosa dissolve e consuma, le ali accennavano alla rapidità del suo fluire; le circonvoluzioni del serpente, la cui testa poggiava di solito sopra il capo leonino alludevano alla vicenda ciclica alla quale erano sottoposti i moti stellari ed astrali, che presiedevano all'implacabile scorrere del Tempo. Sovente questa fantastica divinità che gli antichi chiamavano anche Eone (Aion, Seculum, Eternità) teneva in mano una o due chiavi. Questo era un riferimento al Sole, che nel suo corso quotidiano alternativamente apriva e chiudeva le due porte del cielo, ad Oriente quando si levava, a Ponente quando tramontava. Altro attributo frequente era lo scettro, simbolo del dominio sul Tempo, esercitato eternamente su ogni cosa.


Questa strana immagine di divinità diffusasi in tutto l'ambito ellenistico, era un elemento totalmente estraneo al pantheon grecoromano, ed apparteneva sicuramente al nucleo originario iranico del Mitraismo. Prova di ciò era la sua relativa arcaicità, testimoniata già sin dal IV sec. a.C. da Eudemo di Rodi, discepolo di Aristotele (cfr. Damascio, Dubitationes et Solutiones, 125 bis).

Il nome iranico di tale divinità era Zurván (o Zrvan). Nello Zoroastrismo ortodosso Zurván impersonava i panni di una creatura del buono Ahura Mazda (cfr. Videvdat, XIX, 13, 16). All'epoca della rinascita persiana durante il regno dei Sassanidi, quando lo Zoroastrismo divenne la religione ufficiale denominata appunto zurvanita, che, al contrario della dottrina dualistica ortodossa la quale poneva come coesistenti già sin dalle origini (ed ab aeternum) i due principi antagonisti del Bene e del Male (Ahura Mazda ed Ahriman), faceva derivare ambedue i principi da un'unica superiore ed assoluta entità precisamente da Zurván akarana, il "Tempo Infinito". Da questa misteriosa entità procedevano perciò i due "gemelli" Ohrmazd ed Ahriman, inserendo di conseguenza un netto (e... "pericoloso") dualismo ontologico fino ad allora sconosciuto all'ortodossia zoroastriana.


Questa figura, in accordo poi con le sue funzioni "demiurgiche" e temporali, fu poi chiamata dai greci con il nome del loro dio Chronos (Saturno). Diffusosi il culto Mitriaco in tutto l'ambito mediterraneo (specialmente per opera di soldati, e pirati) si può facilmente supporre che l'iconografia tipica del primitivo Zurván iranico, Signore del "Tempo Infinito", si sia arricchita, specialmente in terra egiziana, di attributi zoomorfi. Nota era ad esempio l'abitudine degli egizi di raffigurare le proprie divinità in figura animale; ed attraverso un processo di assimilazione sincretistica poteva essere avvenuto che allo Zurvàn-Chronos mitriaco e divinità egizie a testa di animale come la dea leonessa Sekmeth (la "possente"), paredra del demiurgo Ptah il cui culto era celebrato nella città di Menfi. Per quanto concerneva poi il simbolismo del serpente, sempre associato aquesta divinità mitriaca, bisogna inoltre ricordare che tale simbolismo (cfr. 1' Uroboros ellenistico) era tipico di religioni misteriche come la gnosi, specialmente per quanto riguardava sette come gli Ofiti (=adoratori di serpenti) i quali in esso vi raffiguravano la stessa immagine del Cristo separatosi dal Gesù psichico e carnale sulla croce, sulla quale, sempre secondo le loro concezioni, sarebbe stato immolato l'edenico serpente.



Testo tratto da: I Persiani di Gerhard Schweizer - Garzanti Editore



La storia della Persia iniziò a Battria e prima ancora che un governatore vi regnasse in nome dei re divini, visse a Battria un uomo che sarebbe diventato, più di qualsiasi altro, una figura determinante per la notorietà della cultura persiana in occidente. Costui fondò una religione e diede alla Persia, una nuova spiritualità. Ma ancora di più: egli ha elaborato una visione del mondo che ha avuto ripercussioni decisive sulla nostra stessa cultura, plasmandola in aspetti non secondari.


L'uomo era Zarathustra. Chi, non conoscendo gli avvenimenti del passato, supporrebbe che il fondatore di una tale religione abbia avuto un'importanza storica mondiale? Quando gli arabi conquistarono la Persia e vi diffusero l'islamismo, la religione antico-iraniana scomparve quasi completamente dalla regione e Zarathustra rimase a lungo, per i posteri, un profeta la cui dottrina era stata superata e soppiantata da quella di fondatori di religioni più affermate - Gesù Cristo, Maometto, Buddha. Un uomo quindi irrevocabilmente travolto dalla storia. Pur tuttavia, molti principi teologici delle religioni moderne, la cui origine fu a lungo ricercata nei profeti ebraici, sono già delineati negli scritti di Zarathustra.


Questo è già un motivo sufficiente per chiedersi se la religione ebraica e, in seguito, il Cristianesimo e l’Islamismo non siano stati profondamente influenzati dal suo insegnamento. Sulla persona di Zarathustra sappiamo ancor oggi ben poco. Gli storici disputarono a lungo sulla sua data di nascita e sui luoghi in cui visse e agì. Non esistono indizi veramente affidabili anche perché‚ i suoi insegnamenti vennero messi per iscritto secoli dopo la sua morte con l'eccezione delle Gàthà, le prediche in versi, o inni, che si ascrivono a Zarathustra stesso; anche quest'ultime però ritraggono la biografia del profeta a tratti vaghi. La leggenda si basa solo su scritti postumi. Oggi - dopo complessi studi linguistici e comparazioni di testi antico-iraniani - la maggior parte dei ricercatori è arrivata alla conclusione che Zarathustra dovrebbe essere nato attorno all'anno 630 prima dell'epoca cristiana nella città di Battria. Di conseguenza non era un persiano bensì un battriano, come allora si chiamavano gli abitanti della regione. Ma apparteneva come i persiani agli Arya, la grande stirpe indoeuropea che a partire dal terzo millennio prima di Cristo si era spinta ininterrottamente dall'Asia centrale verso sud. Il nome Arya (oggi arii o ariani) se lo erano scelto gli stessi bellicosi nomadi; significa "i nobili" e doveva rendere evidente il distacco che volevano frapporre tra loro e i popoli sottomessi.


Alcune tribù erano penetrate in India attorno al 1900 prima dell'epoca cristiana ed avevano fondato nel corso di dieci generazioni il sistema di caste degli indù, altre tribù erano confluite nello stesso periodo nei grandi altipiani disabitati, con steppe e deserti, montagne e fertili valli, in quel paese che alla fine si chiamerà "Iran", "paese degli ariani". Il nome di Zarathustra rivela la sua discendenza da una famiglia di ricchi allevatori, tradotto significa "l'uomo dai vecchi cammelli". Suo padre si chiamava Porushaspa, "quello dei destrieri balzani", come sta scritto nei frammenti a noi pervenuti dell'Avesta, la bibbia di Zarathustra. Se si vuole prestar fede alla leggendaria tradizione dell'Avesta, Zarathustra fu il terzo figlio di una distinta famiglia nobile, gli Spitama, che ebbero cinque figli. Il padre sembra esser stato sacerdote di un clan di nobili allevatori che non avevano alcun tempio e offrivano i loro riti sacrificali all'aperto, nella steppa. Influenzato spiritualmente dalle tradizioni nomadi della sua tribù e dalla vita cittadina di Battria, fu destinato, ancora molto giovane, a seguire le orme del padre, a diventare lui pure sacerdote. Ma di quale religione?


Le testimonianze scritte del tempo sono poche, ma bastano a delineare un quadro sufficientemente chiarificatore. Gli iraniani dai battriani ai medi fino ai persiani - suddividevano i loro dei in due classi: le divinità superiori della luce che abitavano nel cosmo, gli ahura, e gli spiriti inferiori che dimoravano nella terra, nel vento, nell'acqua e nel fuoco, i daeya. Nessun uomo però si sentiva in grado di comprendere razionalmente l'autorità di tali dei, talvolta li si percepiva senza un motivo ben identificabile come amici e soccorritori, altre volte crudeli e distruttori. Mancava ancora un profeta che, col suo messaggio, delineasse in quell'insondabile complesso di divinità un ordine profondo e illuminante. Gli iraniani potevano solo sperare di rendere clementi quegli dei misteriosi e inquietanti tramite canti di lode e doni sacrificali. Nei loro solenni rituali doveva scorrere abbondante sangue di tori e di buoi, per lenire il terrore di un destino incommensurabile. I sacerdoti e il popolo bevevano, in determinate occasioni, una bevanda inebriante che portava il nome del loro dio dell' estasi .


Haoma, e con danze ritmiche interminabili cadevano in trance per percepire, sia pur per brevi momenti, l'incantevole ebbrezza dell'immortalità, come i loro dei. Zarathustra si accorse ben presto dell'inadeguatezza di tali rituali, dato che all'età di vent'anni abbandonò la sua patria e parti in solitudine. Lui, che si nominava uno zaotar, poeta sacro e predicatore, voltò le spalle al mestiere di sacerdote. Dieci anni, forse anche vent'anni, dovettero durare le peregrinazioni del religioso viandante. Nell'Avesta troviamo scritto soltanto che alla fine, sul fiume Daitya, gli apparve un angelo e si sarebbe verificato uno dei più fecondi avvenimenti per la storia delle religioni. Zarathustra ebbe la visione della lotta cosmica tra le forze del bene e del male, tra Dio e Satana; poi della resurrezione dei morti nel giorno del giudizio universale e della continuazione dell'esistenza dopo la morte, nel paradiso o nell'inferno - tutto ciò molto prima che i profeti di altre religioni annunciassero gli stessi principi.


Se le supposizioni degli storici sono esatte questo è avvenuto negli anni che vanno dal 610 al 590 prima dell'epoca cristiana. Quindi seicento anni prima di Cristo e mille e duecento anni prima di Maometto, ma seicento anni dopo Mosé. Sul fiume Daitya apparve - cosi raccontano le Gàthà - al religioso viandante, dopo lunghe meditazioni, l'angelo Vohu Manu "animo buono" avvolto in uno splendido mantello di luce che lo condusse al trono del dio Ahura Mazdah "signore saggio". Zarathustra salutò il dio con un inno che culminava con le parole: "...io bramo, con queste mie parole, conoscerete, di tutti il più saggio, il creatore di ogni cosa per tramite dello Spirito santo". Passarono diversi anni prima che Zarathustra, dopo quella visione, uscisse dalla solitudine iniziando quindi a predicare nella capitale della sua patria. La gente lo ascoltava senza troppo interesse, i sacerdoti e i nobili lo respingevano duramente. Pochi furono i seguaci che si strinsero attorno a lui e lo accompagnarono nei suoi viaggi di predicazione sulle piazze dei mercati nelle città, nei paesi e negli accampamenti di tende. Dopo anni di delusioni e di persecuzioni lasciò Battria e coi pochi suoi discepoli andò nel regno di Corasmia. Il re Vistaspa lo accolse benevolmente, tenne lunghe conversazioni con lui e si convertì alla nuova fede: fu un successo decisivo. I nobili a corte seguirono ben presto l'esempio del re, così fecero pure i sacerdoti. Zarathustra poté‚ iniziare la sua opera.


Sotto la protezione del re fece costruire davanti alle porte della città il suo famoso tempio del fuoco al cui altare, all'aperto, i sacerdoti intonavano canti e catechizzavano il popolo. Non c'era più bisogno di sacrificare vittime animali per rendere benevoli gli dei. Chi agiva secondo i precetti del "saggio signore", Ahura Mazdah, cioè rettitudine, laboriosità e onestà, poteva sperare nella grazia divina per l'avvenire. Keshmar divenne la residenza di Zarathustra e in quella città affluirono i curiosi per ascoltare le sue prediche, da lì partirono i suoi allievi come missionari nelle province lontane e in altri regni. Ciò nonostante non mancarono le difficoltà e gli ostacoli. La casta dei nobili sacerdoti, da lungo tempo insediati nella città, rimase testardamente fedele alla religione preesistente e si coalizzò con i principi degli stati vicini contro il riformatore. La guerra che segui fu fatale al fondatore della religione e al suo protettore, il re Vistaspa. Zarathustra rispose ai suoi avversari non meno bellicosamente, come indica un passo delle sue prediche in versi a noi pervenute: "Nessuno di voi presti ascolto alle parole e alle istruzioni del servo della menzogna perché‚ costui getta la casa e il paese, la provincia e lo stato in miseria e rovina. Quindi opponetevi a lui con le armi!".


Si arrivò così alla prima guerra di religione sul territorio persiano. Per Zarathustra terminò in una catastrofe. Le truppe nemiche, quando penetrarono nella capitale, bastonarono a morte il vecchio di settantasette anni prima di doversi ritirare in fuga. Zarathustra mori da martire - come tanti padri fondatori di religioni.

Avvenne attorno all'anno 553 a.C. Secondo la leggenda la dottrina di Zarathustra fu scritta, ancora ai tempi del maestro, con inchiostro d'oro su dodicimila pelli di bue e venne poi conservata nella biblioteca reale di Persepoli. Di quell'originale non ci è pervenuto alcunché‚ dev'essere verosimilmente finito alle fiamme nell'anno 330 prima dell'epoca cristiana quando i soldati di Alessandro il Grande, conquistata la città, vi appiccarono fuoco. Ciò che è rimasto sono copie redatte seicento anni dopo da sacerdoti, sulla base di altri esemplari dell'Avesta; anche di quelle ci sono pervenute soltanto parti frammentarie perché‚ gli arabi, durante la loro avanzata conquistatrice, operarono ripetute distruzioni. I brani a noi pervenuti forniscono in ogni caso sufficienti chiarificazioni sulla sua dottrina. A questo punto sorge il dubbio: si tratta sempre di idee originarie di Zarathustra? Probabilmente ben poco dev'essere cambiato dalla prima stesura di mille anni precedente, ma per gli studiosi di religioni il corpo di informazioni redatte dai sacerdoti posteriori a Zarathustra non è fino in fondo attendibile. Zarathustra ha - come molti padri di religioni - lasciato ben poco di scritto.


Di tutto ciò che ci è pervenuto, solo le Gàthà (Gli inni) nei libri Yasna (riti del sacrificio) che potrebbero essere ascritti direttamente a lui; esse furono infatti redatte in un dialetto simile al sanscrito come era allora in uso a Battria. Si tratta però di pochi punti di riferimento precisi che, nonostante ciò, permettono di ricostruire con una certa approssimazione i caratteri grandiosi e unici della sua dottrina. Zarathustra confutò la fede dei suoi padri che riconosceva un gran numero di ahura, le divinità della luce, e di daeva, i demoni. Egli sostenne che una sola di quelle divinità ahura era l'unico dio: Ahura Mazdah, "saggio signore". Ahura Mazdah non appare più agli uomini, come gli altri ahura, in maniera visibile, non sposa altre dee e non genera figli, non è nemmeno più una divinità volubile che, incomprensibilmente, dispensa a volte il bene, altre volte il male. Il suo Ahura Mazdah non ha un 'immagine corporea, è onnipresente, astratto e eterno; ben lontano dalle passioni umane incarna un principio facilmente identificabile: il bene. A questo unico dio si oppone però un antagonista col nome di Angra Mainyu, lo "spirito del male". Il grande oppositore, un daeva in origine, non lascia niente di intentato per distogliere gli uomini dalla fede nel bene.


Ci sono poi figure ausiliarie quali forze del bene e del male, sono spiriti e demoni derivati, nelle loro qualità, dalle divinità precedenti. Dalla parte di Ahura Mazdah sta innanzi tutto Spenta Mainyu, "spirito santo" che compare talvolta quale incarnazione dell'unico dio, altre volte come entità a se stante in qualità di annunciatore della volontà divina. I dei-servitori di questo "spirito santo" sono divinità della luce, amesha spentas, "spiriti immortali", gli Angeli essi ricevono di regola l'incarico di annunciare agli uomini i messaggi divini. Vohu Manu, "animo buono", era uno di quegli angeli apparso a Zarathustra per accompagnarlo al trono di dio.


Dalla parte dello "spirito del male", Angra Mainyu, stanno i daeva, i demoni. A quel gruppo appartengono la maggior parte delle divinità venerate dai contemporanei di Zarathustra e sono spiriti cupi al servizio del male. Dio è eterno ma la lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, è limitata nel tempo, così insegnò Zarathustra. La lotta iniziò dopo che Dio aveva creato un mondo senza peccato, abitato da un uomo e da un animale ideali. Allora, nel regno della luce di Ahura Mazdah, comparve il suo antagonista Angra Mainyu che negò la creazione divina e volle corromperla secondo le sue attitudini.


Passarono tremila anni finché‚ lo spirito del male riuscì a penetrare nel mondo senza peccato e a eliminare l'uomo e l'animale ideali. Da quel momento si moltiplicarono sulla terra i demoni inferiori generati da Angra Mainyu. Lo spirito del male non riuscì però a scacciare dal mondo l'influenza del bene perché‚ sia l'uomo che l'animale ideali avevano lasciato il loro seme sulla terra. Da quel seme nacquero, magicamente, la prima coppia umana e le prime specie animali. In quelle nuove forme viventi erano però frammischiati sia il bene che il male, l'epoca d'oro del paradiso senza antagonismi e senza peccato era finita. Fu così che iniziò la storia universale costellata da conflitti e intrighi drammatici, da quel momento l'uomo fu, ed e ancora, chiamato a scegliere tra il bene e il male. La nuova epoca durava da trentamila anni. Poi Dio decise di aiutare gli uomini inviando tra loro un profeta: Zarathustra. Il profeta però viene riconosciuto tale solo da una minoranza degli uomini e più tempo passerà dalla sua morte, più gli uomini si allontaneranno dalla morale e dalla virtù. Come punizione Dio condannerà il mondo a una catastrofe di inondazioni, di incendi e di guerre disastrose, quindi i suoi angeli suoneranno le trombe del giudizio universale. Così gli uomini tutti si alzeranno dalle loro tombe e dovranno rispondere al cospetto del divino signore della loro vita, se hanno accettato o rifiutato il messaggio spirituale del profeta. Mentre per i fedeli inizia a quel punto una "vita eterna" nel regno di Dio, gli altri saranno condannati all'eterno tormento" nell'inferno. Alcuni caratteri di questo insegnamento religioso erano nuovi, mai formulati e predicati fino ad allora da nessun altro uomo.


Spesso si tratta di concetti che i cristiani, gli ebrei e i musulmani, pur con tutte le differenze nei dettagli, riconoscono a loro familiari, ovvi addirittura. Tutto ciò fu annunciato seicento anni prima della nascita di Cristo! In ogni caso però la dottrina di Zarathustra nacque mezzo millennio dopo Mosé e più di un secolo dopo la venuta dei grandi profeti ebraici Isaia, Geremia e Elia.


Quanto ci fu di veramente originale in Zarathustra? Quali conseguenze ebbe la sua dottrina? Quanto ha ripreso da altri modelli religiosi e in che cosa influenzò religioni posteriori? Ancora oggi gli storici delle religioni dibattono attorno alla questione se Zarathustra abbia riformulato in maniera più chiara idee già preesistenti oppure se creò qualcosa di radicalmente nuovo. Alcune delle loro ricerche però possono già essere prese come certezze ed ora le esamineremo. Iniziamo dalla fede in un dio unico. Zarathustra ha fondato una religione monoteistica ma non fu affatto il primo ad annunciare il credo in un unico dio. Gli ebrei, i cristiani e i musulmani ascrivono tale primogenitura al patriarca ebreo Abramo che attorno al 2100 a.C. emigrò dalla Mesopotamia a Cana. Abramo visse mille e cinquecento anni prima di Zarathustra, anche Mosé e Isaia sono precedenti al padre della religione dell'Iran orientale.


Zarathustra è stato influenzato da quei profeti ebrei? Battria era una città di commerci posta su una battuta via carovaniera sulla quale i mercanti del Mediterraneo si recavano fino in India e in Cina. Una città cosmopolita dunque, dove confluivano anche le idee dell'oriente e dell'occidente. Ciò nonostante è ben poco verosimile che il pensiero ebraico sia arrivato fino a Battria dato che gli ebrei non mostravano propensione a viaggiare cosi lontano e meno ancora a predicare ad altri popoli la loro religione. Zarathustra dovette ricevere stimoli da un'altra direzione. Ma quale? Nessun popolo del suo tempo, eccetto gli ebrei, credeva in un unico dio valido per tutti gli uomini. Un popolo però aveva mosso i primi passi in quella direzione: gli indiani arii. Gli Indiani avevano iniziato già un secolo prima di Zarathustra a sviluppare nella parte filosofica del loro Veda, la cosiddetta Upanisad (dottrina segreta), una nuova forma di religione. Non pochi tra i loro significativi pensatori presumevano che, dietro la complicata molteplicità degli dei, ci fosse una magica forza primigenia, un'anima universale creatrice del tutto che veniva chiamata Brahman. Si trattava di un principio astratto quasi incomprensibile per le masse dei fedeli. I semplici contadini e artigiani continuavano a credere solo a Siva, Visnu e a mille altre divinità - per i colti sacerdoti quegli dei rappresentavano soltanto forme apparenti dell'inesauribile brahman.


L'unità oltre la più svariata molteplicità! Presso gli indiani si stava delineando, sia pur con contorni vaghi, l'idea del dio unico. Zarathustra conosceva forse quei testi? E probabile. Addirittura molto verosimile dato che l'orientalista americano Richard Frye richiama l'attenzione sul fatto che le sue preghiere in versi, le Gatha, sono riconducibili per metro e ritmo al Veda dei brahman indiani. Lo stesso titolo dell'opera omnia Avesta (Sapere) corrisponde a quello della raccolta indiana di scritti religiosi Veda (Sapere). Inutile sottolineare che non dovrebbe esser stato difficile decifrare la "lingua sacra" degli indiani arii, il sanscrito, che era parecchio somigliante al dialetto di Battria. A quel tempo dovevano poi verificarsi frequenti contatti tra i sacerdoti arii dell'Iran orientale e dell'India settentrionale.


Zarathustra avrebbe quindi sviluppato ulteriormente, e in maniera radicale, ciò che gli eruditi indù avevano fatto germogliare; egli ha - indipendentemente dai profeti ebraici e con lo sguardo diretto all'India - impresso un nuovo corso all'idea di un "principio primordiale", di un Anima universale ". Vicino a Battria, molto lontano dalla Palestina, la culla dei profeti ebrei, ha preso corpo ancora una volta, e in un geniale atto creativo, la fede in un unico Dio. Zarathustra però non diventerà per questo un genio nella storia delle religioni. Elaborò soltanto ciò che gli ebrei avevano già formulato in maniera analoga. L'idea della fede in un unico dio non avrebbe tardato a imporsi se lui stesso non fosse vissuto. Dove sta dunque l'aspetto unico e originale che, prima di lui, nessun profeta annunziò? Qual è il nuovo che influì in maniera decisiva su altre e posteriori religioni? Oggi una gran parte degli studiosi di storia delle religioni, impegnati nell'analisi delle fonti storiche, sono d'accordo nel loro giudizio su un punto: che Zarathustra fu il primo profeta ad annunciare l'esistenza di Satana. Zarathustra per primo ha considerato il mondo terreno come il luogo dello scontro tra il bene e il male e nessuno prima di lui ha chiamato gli uomini a fare una libera scelta tra queste due forze assolute. Zarathustra ha - come si espresse il suo lontano ammiratore e critico Freidrich Nietzsche in Ecce homo - "intuito per primo quella che e' la ruota decisiva nell'ingranaggio delle cose, la traduzione della morale nella metafisica". E certo che questo modello ha dei precedenti - gli indiani arii e gli iraniani operavano da tempo una distinzione tra dei del bene e del male, suddividendo così l'universo in due mondi contrapposti - ma fu peculiare di Zarathustra l'aver fissato linee precise in quell'ordine ancora vago. Lui per primo predicò la resurrezione dei morti nel giorno del giudizio universale in cui l'uomo, al cospetto di Dio, deve rispondere delle sue buone e cattive azioni.


Prima di Zarathustra nessuno ha annunciato l'esistenza di un aldilà, del paradiso per i buoni e dell'inferno per i cattivi. Ciò che molti di noi credevano appartenesse al patrimonio inventivo degli ebrei non venne ideato per tramite di apparizioni nei deserti della Giudea o sul fiume Giordano, bensì nelle montagne e nelle steppe dell'Afghanistan e sulle rive dell'Amu Darja. Gli ebrei ai tempi di Zarathustra conoscevano già i dieci comandamenti di Mosé e credevano che i peccatori suscitassero l'ira di Dio. La pena però li minacciava nell'aldiquà, per mano di un giudice, e spesso avveniva, come raccontano in maniera leggendaria le parti più antiche del Vecchio Testamento, che Dio intervenisse direttamente e funestasse i peccatori con la guerra e le epidemie. Una giustizia compensatrice nell'aldilà era sconosciuta anche agli stessi profeti Isaia e Ezechiele, che furono quasi contemporanei di Zarathustra. E pur vero che nelle loro scritture si trova formulata la promessa che i morti sarebbero rinati, ma quella profezia per immagini e metafore annunciava più che altro la resurrezione dello stato di Israele dopo un periodo di decadenza: il loro pensiero era quindi legato all'aldiquà, era di tipo politico. Nella fantasia degli ebrei esisteva soltanto un regno delle ombre dove tutti i morti sarebbero giunti, senza distinzioni tra ricompensa e pena, tra paradiso e inferno. Un tale regno delle ombre era in tutto simile all'ade dei greci.


Gli ebrei non conoscevano ancora il diavolo quale potente antagonista di Dio. Nelle scritture bibliche di quel tempo Satana compariva soltanto quale esecutore di Jahvè e spirito della punizione, cioè doveva sempre adempiere al volere del suo supremo signore. Il diavolo non era ancora il demone ostinato che cercava di trionfare su Dio con l'aiuto degli uomini. Inoltre gli ebrei consideravano la storia dell'umanità come un unico susseguirsi di avvenimenti. Non si parlava ancora per loro della prima coppia umana, Adamo (in ebraico: essere umano) e Eva (in ebraico: terra), della svolta drammatica causata dall'apparizione del diavolo, del peccato originale e del divenire storico sulla terra che aveva come meta conclusiva il giudizio universale alla fine dei giorni. Gli ebrei consideravano la storia dell'umanità come un eterno ripetersi di avvenimenti simili, senza uno scopo intrinseco al divenire. Immagini e concetti religiosi degli ebrei di quel tempo non si discostavano molto da quelli degli altri popoli progrediti, dagli indiani ai cinesi ai babilonesi e egiziani fino ai greci e romani. Tre secoli dopo la morte di Zarathustra, gli ebrei pensavano diversamente. Nelle loro scritture bibliche si ritrovavano ormai quelle idee religiose che noi oggi consideriamo essere in tutto e per tutto ebree e, in senso traslato, cristiane, appartenenti alla cultura europea tutta. La diffusione delle idee religiose di Zarathustra venne assicurata dal sorgere di una potenza politica che riuscì a difendere efficacemente la nuova religione contro i suoi oppositori. Solo allora si realizzò per Zarathustra la possibilità di diventare famoso oltre i confini iraniani e di influenzare così in maniera decisiva altre religioni. Questa forza politica stava già formandosi al tempo di Zarathustra stesso: era l'impero dei persiani. Ma gli storici non nascondono i loro dubbi.


Soprattutto uno dei più significativi esperti di religioni antico-iraniane, Geo Widengren, nega che i Grandi Re del primo impero persiano abbiano creduto seriamente agli insegnamenti religiosi di Zarathustra. Quei re, più uomini politici che religiosi, avrebbero accettato della nuova religione alcuni precetti dottrinali ma si sarebbero ben guardati dall'entrare in aperto conflitto con le tradizioni esistenti. Un'ennesima questione non risolta quindi. Com'è così frequente per tutto ciò che riguarda la storia dell'antica Persia. Una cosa però è certa: in Iran la dottrina di Zarathustra ha vissuto nel periodo seguente una fase di forte sviluppo.


E ancor più: alcuni principi persiani e alti funzionari favorirono la nuova religione nelle province conquistate, in oriente fino alla valle dell'Indo, a occidente fino alla regione posta tra il Tigri e l'Eufrate, in Asia minore, Siria, Palestina e Egitto. In nessun caso i persiani costrinsero un popolo sottomesso a convertirsi alla religione di Zarathustra, al contrario, essi lasciarono a ciascuno la propria fede. Tutti i sudditi però avevano la possibilità di interessarsi attivamente alla nuova religione. Ciò dovette avere conseguenze imprevedibili e decisive per quel tempo. L'incontro con Zarathustra portò a una svolta religiosa di grande importanza presso uno dei popoli sottomessi: gli ebrei. Gli effetti furono di importanza storica mondiale. Gli ebrei di quel tempo passarono attraverso la più grande crisi della loro storia. Nell'anno 587 a.C. Nabucodonosor re di Babilonia aveva fatto distruggere la capitale ebraica Gerusalemme fino alle mura di cinta e deportato soprattutto uomini di lettere, sacerdoti, funzionari dell'amministrazione, commercianti e soldati nelle regione del Tigri ed Eufrate.


Lo stato ebraico non esisteva più, l'intera élite intellettuale, e con lei una parte del popolo, viveva sotto il dominio di governanti stranieri, molto lontano dalla patria nativa. Quell'epoca - che è entrata nella storia col nome di prigionia babilonese - ebbe fine per mano di Ciro, il Grande Re dei persiani; egli fece tornare gli ebrei nella terra dei loro padri dopo aver conquistato il regno babilonese. Ma idee e indirizzi spirituali di coloro che tornarono a casa erano diversi da quelli dei loro diretti antenati: nella loro permanenza in terra straniera erano stati influenzati dall'incontro e scontro con una cultura assolutamente nuova e, per certi versi, affascinante. Messi alla prova da quell'esperienza, profondamente disorientati, i sacerdoti ebrei cominciarono a riflettere intensamente sulle grandi questioni religiose, sul senso dell'esistenza; anche il popolo si mostrava ricettivo a nuovi messaggi profetici. Durante quel periodo storico vennero formulate parti fondamentali del Vecchio Testamento ispirate al patrimonio culturale straniero.


Innanzi tutto a Babilonia: da li gli ebrei presero il mito della creazione della prima coppia di uomini dal fango e la leggenda del diluvio. Ma impararono molto anche dai persiani. Come possiamo però dimostrare che gli ebrei furono influenzati proprio dalla dottrina di Zarathustra? A questo riguardo siamo in possesso di un documento illuminante. Si trova nel Vecchio Testamento: il libro di Daniele. Non ne conosciamo gli autori, probabilmente il libro è stato scritto uno o diversi secoli dopo la morte del profeta ebraico. Deve poi trattarsi di una commistione di elementi leggendari e di avvenimenti realmente accaduti; ciononostante possiamo tirare alcune importanti conclusioni dal testo. Se proviamo a seguire la biografia di Daniele - per come la si può ricostruire con l'ausilio della tradizione biblica - ne rimaniamo sorpresi. Daniele visse alla corte del re babilonese Nabucodonosor; era stato destinato a una posizione di rango dagli alti funzionari che avevano avuto il compito di scegliere tra gli ebrei prigionieri i più belli, i più intelligenti e i più capaci per il servizio di corte. Daniele fece carriera a corte grazie alla sua capacità di interpretare in maniera convincente i sogni di Nabucodonosor, e ciò non era poco in un paese in cui dai sogni si leggeva il futuro. Egli diventò addirittura alto funzionario.


Quando Ciro conquistò Babilonia, l'esperto di riguardo andò a corte a Susa e diventò per decenni un importante consigliere del Grande Re Dario. Fin qui la sua biografia. Di importanza decisiva sono le parole che gli autori biblici a lui posteriori attribuiscono a Daniele. Nel dodicesimo capitolo del libro che porta il suo nome leggiamo: "E molti, sicché‚ giacciono dormienti sotto la terra, si sveglieranno, certuni per la vita eterna, altri per l'umiliazione e la vergogna eterne... Tu però Daniele (e' Dio che parla) vai pure finché‚ arriverà la fine; e sii tranquillo, che tu risorgerai nella tua terra alla fine dei giorni". Frasi simili non si erano mai trovate negli scritti del Vecchio Testamento. Sono pensieri attribuiti a un ebreo al servizio dei persiani e che a Susa ebbe senz'altro contatti quotidiani con seguaci di Zarathustra.


Per la prima volta un ebreo annuncia la resurrezione dei morti nel giorno del giudizio universale. Nello stesso libro si legge, per la prima volta, che il divenire storico ha una meta precisa nella fine del tempo: la necessaria scomparsa del nostro mondo imperfetto e l'inizio raggiante di un eterno regno di Dio. Il libro di Daniele dimostra l'influenza della religione di Zarathustra sul pensiero ebraico. Non deve trattarsi certo dell'unico caso. Nel corso del III e II secolo a.C. gli ebrei si appropriarono anche della dottrina degli angeli e dei demoni, di Dio e Satana quali antagonisti universali in questo mondo terreno. Gli ebrei non credettero più che sia il bene quanto il male provenivano in uguale misura da Dio e che in quanto tali dovevano essere accettati. Da quel momento tutto il male era da ascriversi a forze demoniache che operavano da un ben definito regno delle tenebre e contro le quali bisognava opporre un'energica resistenza.


Nel II secolo a.C., la religione ebraica si configurava così come Gesù la conobbe. Il Redentore accolse poi diversi aspetti fondamentali di quelle nuove idee. E non solo lui. Seicento anni dopo, Maometto diede vita all'islamismo prendendo le mosse dal patrimonio ebraico e cristiano: anche quest'ultimo predicò che gli uomini erano posti in questo mondo per scegliere tra Dio e Satana; anche lui insegnò la resurrezione dei morti nel giorno del giudizio universale, anche lui annunciò il paradiso quale ricompensa per gli uomini retti e l'inferno come punizione per i peccatori.


E' un vero paradosso: i segnaci di Zarathustra sono oggi una minoranza in via di sparizione di nemmeno duecentomila fedeli, ma il pensiero del padre fondatore ha collaborato a forgiare tre grandi religioni - i cui segnaci rappresentano più della metà della popolazione mondiale. In Persia si trovano oggi quarantamila seguaci di Zarathustra, un numero insignificante rispetto al totale della popolazione. La maggior parte di loro vive a Teheran e nelle regioni di Kerman e Yasd. Nessun persiano musulmano impedisce loro di raccogliersi attorno al fuoco sacro e di pregare Ahura Mazdah; ai seguaci di Zarathustra è assicurata piena libertà di culto. In questo caso anche gli sciiti fanatici non fanno eccezione, nonostante la loro fama di intolleranti. Secondo i precetti islamici, nessuna religione che insegni la fede in un unico Dio può essere ostacolata. I musulmani riconoscono la fede di Zarathustra come una forma primitiva dell'islamismo e ciò permette ai fedeli di Ahura Mazdah di sopravvivere, almeno fino a oggi, nel loro paese di origine. Al di fuori della Persia i seguaci di Zarathustra sono presenti in un certo numero in India, dove erano fuggiti già nel VII secolo. Là li si nomina parsen, che significa nient'altro che persiani. Il loro centro è la metropoli di Bombay. Essi riuscirono a tramandare il loro credo nella memoria dei posteri in maniera più efficace dei loro fratelli persiani e poterono mantenere le loro tradizioni nella società induista religiosamente tollerante senza essere ostacolati. Non è quindi un caso che proprio a Bombay gli storici europei fecero il primo incontro con la dottrina di Zarathustra. Il numero dei parsen si limita a centotrentamila persone circa. Se a loro si aggiungono i persiani, si arriva a un totale di circa centosettantamila credenti che sono rimasti fedeli a questa religione un tempo così importante.


La fede di Zarathustra non è mai diventata una religione universale.


Ma non ha neppure mai tentato di diventarlo.


Sulla base delle notizie in nostro possesso bisogna supporre che i suoi seguaci non abbiano mai sentito l'esigenza di predicare da missionari ai popoli stranieri. "Andate nel mondo...", questo comandamento di Gesù, che Maometto ha ripreso in forma analoga, manca ai seguaci di Zarathustra. Essi si comportarono come gli ebrei a cui bastava costatare che la fede nell'unico dio fosse ben radicata nel popolo eletto. Gli imperatori antico-persiani hanno favorito questa autolimitazione, reputavano fosse meglio lasciare agli altri popoli la loro religione, anche solo per amore di pace politica. Per questo sia pur non ultimo motivo la religione di Zarathustra dovette ben presto perdere la sua influenza appena il potere della chiesa di stato venne spezzato dai musulmani.


La scoperta di Zarathustra da parte della cultura europea iniziò nell'anno 1771. A quel tempo lo storico francese di religioni nonché‚ orientalista Abraham Anquetil-Duperon conobbe a Bombay i parsen e si imbatté‚ in qualcosa di più importante ancora: la loro bibbia, l'Avesta. Più precisamente: quegli importanti frammenti che erano rimasti dopo secoli di lotte religiose e politiche. Portò con sé‚ un esemplare a Parigi e lo tradusse in francese. Fu un'impresa pionieristica che fece scalpore; già cinque anni dopo era disponibile una traduzione tedesca, tanto era l'interesse che aveva suscitato negli specialisti e nel pubblico colto di lettori oltre il Reno. Non fu affatto un caso che ciò avvenne nel secolo dell’Illuminismo.


A quel tempo, nella seconda metà del XVIII secolo, poeti, filosofi e scienziati riuscirono a liberarsi dalla censura della chiesa e fecero ogni sforzo per conoscere, al di là dei pregiudizi, altre culture, anche altre religioni. Gli illuministi amavano la tolleranza e condannavano i gretti dogmatici che accettavano esclusivamente ciò che non contrastava col pensiero ereditato dal passato. In quegli anni Lessing scrisse il suo dramma borghese sulla tolleranza Nathan il saggio (1779) in cui invitava alla comprensione per quelle religioni fino ad allora considerate nemiche del cristianesimo come l’Ebraismo l'islamismo; egli relativizzò in maniera efficace, con l'arma della metafora, il concetto di verità assoluta.


L'importanza decisiva di Zarathustra rimase però ancora a lungo sconosciuta ad una più vasta cerchia di lettori; molti lo consideravano nel migliore dei casi un profeta messo in ombra dai padri fondatori di religioni seguenti, un uomo cioè sorpassato inesorabilmente dal corso degli eventi storici. Questa opinione non cambiò sostanzialmente neppure nel XIX secolo quando sempre più orientalisti si diressero in Persia e in India raccogliendo nuove copie dell'Avesta, traducendole, commentandole e comparandone criticamente le rispettive differenze. Fu così che si rivelò interamente ai ricercatori come la dottrina di Zarathustra anticipasse alcuni concetti che fino ad allora erano stati attribuiti all'ebraismo e al cristianesimo. I risultati di quelle ricerche incontrarono una vasta resistenza in larghi strati della popolazione. Gli scienziati si scontravano contro un tabù essi osavano affermare che il cristianesimo derivava i contenuti della sua dottrina non solo da Gesù Cristo e dai profeti dell'Antico Testamento, ma anche dal padre di una religione che apparteneva ad una cultura completamente estranea. Doveva forse voler dire che la fede cristiana era stata prodotta, in maniera contraddittoria e progressiva, dagli uomini stessi come tutta la loro cultura, e non proveniva quindi direttamente da Dio come verità assoluta?


La conclusione era logicamente ipotizzabile. Proprio per questo la scoperta di Zarathustra suonò per l'occidente cristiano come una sfida, per molti significò un inaccettabile provocazione. Il grande provocatore fu Friedrich Nietzsche. Negli anni ottanta del XIX secolo fece comparire Zarathustra nel titolo della sua opera principale Also sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra). Nietzsche ha preso quel titolo dall'Avesta dei parsen indiani in cui importanti concetti dottrinali venivano introdotti da quell'espressione ricorrente. A Nietzsche riuscì ciò che nessuno storico delle religioni aveva ottenuto: far conoscere a un vasto pubblico il nome di Zarathustra. La cosa è abbastanza paradossale dato che il testo (pubblicato per la prima volta nel 1892 in una raccolta di opere di Nietzsche in quattro volumi) non ha niente in comune con il vero insegnamento dottrinale del padre della religione antico-iraniana. Nietzsche vedeva in Zarathustra uno dei più grandi geni della storia religiosa, si, il profeta che aveva tracciato le coordinate spirituali secondo le quali noi, ancora oggi, viviamo.


Secondo Nietzsche però, ciò che di nuovo Zarathustra aveva portato nel mondo era "un errore gigantesco" che doveva essere retroattivamente abrogato. Nietzsche scelse la figura del profeta per la sua opera principale con l'intento di poter dimostrare quello che per lui era "il grande ritorno". Il personaggio di Zarathustra da lui inventato si ritira di nuovo in solitudine per riconoscere e smascherare come inganno la sua stessa geniale creazione - cioè la fede nella lotta universale tra bene e male, nell'aldilà dotato di giustizia compensatrice e nella metafisica in senso lato.


Zarathustra diventa il simbolo dell'uomo creativo che distrugge proprio ciò che ha creato per produrre ulteriormente qualcosa di nuovo - e il nuovo, un giorno, non reggerà più al suo accanito bisogno di conoscenza e verrà nuovamente superato. Tutto scorre, non esiste verità assoluta, esistono solo il divenire e la transitorietà dei prodotti della conoscenza; questa concezione che un tempo era insegnata dal filosofo greco Eraclito diventa nell'opera di Nietzsche l'elemento centrale.


Zarathustra negli scritti di Nietzsche è stato trasformato proprio nel contrario di ciò che era in origine: non tanto un uomo che si sentiva legato a un ordine metafisico bensì l'uomo che, senza più illusioni, afferma "il nulla" e riesce a crearsi degli ordini nuovi solo grazie alla sua "giocosa" fantasia - ben sapendo quanto siano transitori. Fino a oggi questo Zarathustra, cosi come lo caratterizzò Nietzsche, ci è ben più familiare di come fu in realtà.


Nonostante tutta la parzialità della sua interpretazione, nonostante la veemenza con cui è rifiutato il vero Zarathustra, una cosa è ormai evidente grazie anche a Nietzsche: come sia sempre stato sottovalutato il patrimonio di pensiero dell'antica Persia tramandato all'occidente.




Le vere origini del NATALE...

Eppure, nonostante la Bibbia offra un resoconto della natività di Cristo, la data di tale evento non è mai precisata, e in nessun punto delle Scritture è comandato di celebrarne la ricorrenza? Gli apostoli, infatti, non osservarono mai questo natalizio, e il testo biblico non menziona alcun membro della Chiesa apostolica che lo abbia mai fatto.
Nei primissimi tempi della Chiesa non esisteva una festa del genere. Allora come oggi, nessuno conosceva con esattezza la data della nascita di Gesù. Per inspiegabile che sembri, la data di nascita di Cristo non è nota. I Vangeli non indicano né il giorno né il mese, e neppure l’anno.


Ma, se è un fatto storicamente provabile che Gesù Cristo non nacque il 25 dicembre, come mai dunque il mondo cristiano celebra il Natale in quel particolare giorno dell'anno? «Secondo l'ipotesi . . . accolta oggi dalla maggioranza degli studiosi alla nascita di Cristo fu assegnata la data del solstizio invernale perché in quel giorno, in cui il sole inizia il suo ritorno nei cieli boreali, i pagani che adoravano Mitra celebravano il dies natalis Solis Invicti.
Il Natale . . . secondo molte fonti autorevoli, non veniva celebrato nei primi secoli della Chiesa cristiana, in quanto l'usanza cristiana in generale era quella di celebrare la morte delle persone più importanti, non il giorno della loro nascita... Una festa fu stabilita in memoria di questo evento [la nascita di Gesù nel quarto secolo... Poiché il giorno esatto della nascita di Cristo non era noto, la Chiesa occidentale nel quinto secolo ordinò che la festa venisse celebrata per sempre nello stesso giorno dell'antica festa romana in onore della nascita del dio Sole».
ciò che avvenne quando milioni di pagani cominciarono a convertirsi al Cristianesimo tradizionale: «Le feste pagane dei saturnali e della brumalia erano troppo radicate nel costume popolare per essere abolite dall'influenza del Cristianesimo... La festa pagana, con le sue baldorie e gozzoviglie, era talmente popolare che i Cristiani furono ben contenti d'aver trovato una scusa per perpetuarne la celebrazione con pochi cambiamenti, sia nello spirito che nelle usanze . . . i Cristiani della Mesopotamia accusarono i loro fratelli occidentali d' idolatria, e di adorare il Sole, per avere adottata questa festa pagana».

Fu così che la celebrazione del Natale entrò a far parte del Cristianesimo tradizionale. Quando si convertirono in massa a questa religione, milioni di pagani semplicemente si rifiutarono di rinunciare allo scambio di doni, alle baldorie e ai divertimenti che erano parte integrante dei riti di adorazione del Sole. Essi, quindi, cambiarono «l'etichetta» di queste celebrazioni e decisero di «onorare Gesù», che avevano recentemente accettato, nello stesso giorno e allo stesso modo in cui avevano in precedenza onorato il dio Sole del mitraismo.

Dapprima, l'osservanza di questa festa pagana, nel suo travestimento cristiano, incontrò una forte opposizione ma, col trascorrere del tempo, divenne profondamente radicata. La sua origine, però, era chiaramente pagana, Aureliano nel 274 d.C., introdusse per questo giorno la celebrazione del Sol Invictus, quale fine del solstizio invernale; era un influsso del culto mitraico.


Giuliano il Grande (detto “l'apostata” dai cristiani), ancora nel 362, scrisse il discorso `De Sole rege" da leggersi a Roma il 25 dicembre per celebrare il sole . . . una festa civile, pagana, del sole, alla data 25 dicembre. . .».


I Padri dei primi secoli non sembrano aver conosciuto una festa della natività di Gesù Cristo... La festa del 25 dicembre sarebbe stata istituita per contrapporre una celebrazione cristiana a quella mitraica del dies natalis Solis Invitti [giorno natalizio dell'invincibile Sole], nel solstizio invernale».

La festa del Natale, quindi, proviene da una celebrazione in onore del dio Sole del mitraismo, una religione pagana che perpetuava lo spirito dell'antica religione babilonese, che a partire dalla fine del set. I d.C. s'introdusse in Italia (Capua, Ostia) e in Roma, quindi in tutto l'Impero romano . . . dove la propagarono le guarnigioni militari, fra le quali il mitraismo trovò i suoi adepti più numerosi e fedeli... Il momento più splendido del mitraismo fu tra la fine del III e il principio del IV secolo, quando fu assunta a religione ufficiale sotto Aureliano dallo stato romano.


Storicamente, è facile provare che il Natale non fu mai osservato né dagli apostoli né dalla Chiesa durante i primi 350 anni della sua esistenza. È inoltre documentato che le origini di questa festa risalgono al culto politeistico del Sole. Nonostante ciò, molti Cristiani si chiedono ancora: «Che c'è di male nell'osservare il 25 dicembre, sempre che quel giorno sia santificato per adorare Cristo?». È una domanda logica. Siamo onesti: è davvero sbagliato seguire tradizioni un tempo radicate nel culto del dio Sole, alle quali, cambiati i nomi delle divinità originarie, si è conferita una patina cristiana?


A tale quesito si possono dare varie risposte. La più ovvia consiste nel citare l'ottavo comandamento: «Non attestare il falso» (Deuteronomio 5:20). Non è forse una violazione di questo comandamento insegnare ai bambini che Gesù nacque il 25 dicembre quando è dimostrabile che la Sua nascita avvenne all'inizio dell'autunno?. La risposta, ovviamente, è affermativa. Come può allora un genitore cristiano, che si sforza di insegnare alla prole che mentire è peccato, risolvere la contraddizione insita nel far credere che Cristo nacque il 25 dicembre, pur sapendo che non è vero?



MA QUANDO NACQUE GESU?


Premesso che :


  1. che Erode il Grande muore nel 4 a.C. e Matteo pone sotto questo controverso monarca la natività, cio' sarebbe avvalorato dalla congiunzione dei.pianeti Giove e Saturno (avvenuta nel 7 a.C.) che potrebbe essere stato il reale fenomeno celeste identificato poi nella cometa. Si tenga pero' presente che di un avvenimento eclatante quale la "Strage degli Innocenti" non vi e' alcuna traccia negli storici dell'epoca, neppure in un grande quale Giuseppe Flavio, che non era certo parco di dettagli sui misfatti perpetrati dai suoi conterranei (soprattutto su quelli di Erode).


  1. Luca, fa nascere Gesu' durante il censimento, indetto da Ottaviano Augusto, sotto la supervisione di Quirinio governatore della Siria; eh sì, ma questo censimento fu tenuto nel 7 dopo Cristo. Infatti è il famoso censimento catastale che portò alla sanguinosissima rivolta di Giuda il galileo, i morti tra gli insorti furono circa 10.000. Per sanare l'insanabile contraddizione temporale, molti storici cattedratici arrivano a supporre che anche poco prima della morte del tiranno vi sia stato un altro censimento (dopo tre anni con le difficoltà ed i costi che un’operazione del genere richiede??) e le prove di questo secondo censimento??


  1. Ed inoltre che Il calendario giuliano entrò in vigore nel 45 AC. Questo è talvolta chiamato l'anno della confusione, in quanto si dovettero aggiungere 85 giorni per compensare gli errori accumulati. Allo scopo furono aggiunti due mesi fra novembre e dicembre, uno di 33 giorni e l'altro di 34, oltre al mese di febbraio. Questa confusione ebbe varie ripercussioni nei successivi 50 anni fino a circa l'8 DC. Infatti dopo la morte di Giulio Cesare (44 AC si commisero vari errori facendo diventare bisestili alcuni anni che non lo dovevano essere e saltando quelli corretti). Fu poi Augusto nell'8 AC a sistemare l'errore ordinando che per un tot numero di anni non ci fossero più i bisestili. Le cose vennero ripristinate alla normalità dall'8 DC in poi. Gli anni bisestili furono quindi 45 AC, 42 AC, 39 AC, 36 AC, 33 AC, 30 AC, 27 AC, 24 AC, 21 AC, 18 AC, 15 AC, 12 AC, 9 AC, 8 A.C.


C’è n’è abbastanza??


In ogni caso la maggioranza degli storici che dei teologi riconosce che Cristo non nacque il 25 dicembre.


Qual è allora il giorno della Sua nascita? Anche se stabilire la data esatta è impossibile, è pur sempre dimostrabile che Maria diede alla luce il bambino Gesù all' incirca tra la fine di settembre e i primi di ottobre. L'Adam Clarke Commentary afferma a questo proposito: «Era un'antica usanza, tra i Giudei di quei giorni, il condurre i loro greggi all'aperto, nei campi, intorno alla Pasqua [all'inizio della primavera], per poi ricondurli a casa [in autunno] all' inizio delle prime piogge. Durante tutto il tempo in cui [i greggi] erano fuori al pascolo, i pastori li guardavano giorno e notte. Poiché . . . le prime piogge iniziavano al principio del mese di marheswan, che corrisponde a parte dei nostri mesi di ottobre e di novembre . . . e poiché quei pastori non avevano ancora ricondotto a casa i loro greggi [al tempo della nascita di Cristo], si può dedurre che ottobre non era ancora incominciato, e che pertanto il Signore non nacque il 25 dicembre quando non c'erano più greggi nei campi, né poteva essere nato dopo il mese di settembre, in quanto i greggi erano nei campi di notte». II punto da sottolineare è che il giorno in cui Gesù nacque «c'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge» (Luca 2:8).


Evidentemente la stagione fredda non era ancora iniziata. Basterebbe quindi questo brano di Luca a dimostrare che Gesù nacque non più tardi della metà di ottobre, quando il clima autunnale a Betlemme era ancora mite. Ma le Scritture forniscono altre prove di questo fatto. In Luca 1:24-38, apprendiamo che la vergine Maria rimase miracolosamente incinta quando la cugina Elisabetta era già al sesto mese di gravidanza di colui che fu poi Giovanni Battista. Per ottenere la data approssimativa in cui Gesù venne al mondo, basta stabilire il tempo della nascita del Battista ed aggiungervi sei mesi.


Ma la Bibbia consente di determinare quando nacque Giovanni? Sì, molto chiaramente. Notate che Zaccaria, marito di Elisabetta, era sacerdote presso il tempio di Gerusalemme. Luca 1:5 rivela che egli era «della classe di Abia [ebraico: Abijah]». AI tempo di Davide, re dell'antico Israele (X secolo a.C.), il numero dei sacerdoti era aumentato a tal punto che fu necessario dividerli in 24 «classi», corrispondenti ai turni in cui dovevano officiare nel Tempio (I Cronache 24). Ciascun turno durava una settimana, che cominciava e finiva di Sabato, giorno di riposo (II Cronache 23:8).


Quella di Abijah era l'ottava «classe» (I Cronache 24:10). II Talmud (raccolta di leggi religiose giudaiche) specifica che la prima classe officiava la prima settimana del primo mese del calendario ebraico. L'inizio di questo mese coincide con l'inizio della primavera nell'emisfero settentrionale. La seconda classe officiava la seconda settimana. La terza settimana, in cui ricorrevano le celebrazioni della Pasqua e dei Giorni dei Pani Azzimi, tutte le 24 classi provvedevano insieme alle funzioni relative a quelle solennità.


Durante la quarta settimana dell'anno era di turno la terza classe, e così via. La «classe di Abijah» (l'ottava, a cui apparteneva Zaccaria) officiava al tempio la nona settimana dell'anno, ma restava poi in servizio anche durante la decima per provvedere alla celebrazione della Festa di Pentecoste. Fu durante questo particolare periodo di due settimane, verso la fine della primavera, che l'arcangelo Gabriele annunciò a Zaccaria l'imminente concepimento della moglie (Luca 1:8-13). AI termine del suo turno, Zaccaria fece ritorno a casa ed Elisabetta concepì (vss. 23- 24) verso la fine di giugno o ai primi di luglio. II resto è una semplice questione di biologia e di aritmetica.


II sesto mese di gravidanza di Elisabetta sarebbe caduto in dicembre, per cui ella avrebbe dato alla luce il figlio tre mesi dopo, cioè alla fine di marzo o ai primi di aprile dell'anno seguente. Gesù nacque a sei mesi di distanza, cioè verso la fine di settembre o ai primi di ottobre. Inoltre, nel periodo compreso tra la fine di settembre e i primi di ottobre, cioè dopo il raccolto autunnale, venivano di solito pagati i tributi e, come sappiamo, Giuseppe e Maria si erano recati a Betlemme per farsi registrare a scopi fiscali (Luca 2:3-5).

II fatto che «non c'era posto per loro nell'albergo» (versetto 7) indica che il periodo in questione era quello del raccolto autunnale, perché le feste annuali che ricorrevano proprio in quel periodo attiravano enormi moltitudini di Giudei a Gerusalemme e nelle città vicine, come ad esempio Betlemme, causando il « tutto esaurito» in alberghi e locande.


IL 25 DICEMBRE


Il Natale come lo conosciamo oggi ha perciò origine in antiche festività pagane come la grande festa di Yule norvegese, il culto del Sole Invitto e i Saturnalia romani. Estendendo dall’avvento che comincia dal 30 novembre o nelle domenica ad esso più vicina, sino al giorno della Candelora il 2 di febbraio, il Natale sembra scostarsi, seppure ciò avviene solo in parte, dal solstizio d’inverno, ma acquista molte altre associazioni, in particolare con la cerimonia norvegese (il ceppo di Yule), di cui acquisisce molti canoni estetici e da cui mutua molti oggetti simbolici (l’albero, il vischio, ecc.). Questi elementi combinati con quelli appartenenti ai Saturnalia romani fornirono le basi alla primitiva festività cristiana.


Durante i Saturnalia, in particolare, venivano fatti dei doni da parte dei ricchi per i più poveri e ai servi era permesso di sedersi alla stessa tavola dei loro padroni, in onore ed in ricordo della mitica età dell’oro e della libertà, quando Saturno governava il mondo conosciuto. I Saturnalia poi implicavano apparentemente la più selvaggia dissolutezza e vennero considerati dai una festa degna di Pan stesso.


Qualcuno nella nuova dottrina del Cristo, che era alla ricerca di adepti e seguaci, sentì che se tale celebrazione pagana non poteva essere soppressa; doveva allora essere preservata in onore del dio cristiano, tanto che gli elementi pagani vennero mantenuti, indisturbati, per un lungo periodo. Il giorno in cui viene celebrata la natività di Cristo, il Natale, e tutti i costumi che ad esso sono associati, hanno perciò la loro origine proprio in ciò che verrà definito più tardi dagli autori della nuova fede il culto degli idoli pagani. Nelle scritture in primo luogo, e nel nuovo testamento poi, del resto, non v’è alcuna allusione ad una tale commemorazione.


Fu solo nel quarto secolo, difatti, che il 25 dicembre fu ufficialmente designato come data per la nascita di cristo, ma ci vorranno ancora 500 anni prima che venga abbandonati i vecchi riti e la nomenclatura di “Festa di Mezzoinverno”, propria in particolare alle regioni nordiche, in favore di quella di Natale. In tutta Europa, però, la festa continuò a mostrare molte caratteristiche ereditate dai Saturnalia, e più in generale dal paganesimo tutto. Del resto l’impossibilità di determinare la reale data di nascita del Cristo, giustificò il fatto di porla a ridosso della festa pagana più importante.


Durante i primi tre secoli dell’era cristiana, comunque, considerevole fu l’opposizione al costume considerato pagano di festeggiare la nascita del cristo: nel 245 d.C. Origene ripudiò l’idea di festeggiare la nascita di Cristo “come”, egli scrisse, “se Egli fosse un re Faraone”.


Dalla fine del quarto secolo l’intera cristianità aveva celebrato il Natale in questo giorno, con l’eccezione della chiesa dell’est, dove esso veniva e viene tuttora celebrato il 6 di gennaio. La scelta del 25 di dicembre era influenzata probabilmente proprio dal fatto che in questo giorno i romani celebrassero la festa mitraica del dio Sole (Natalis Solis Invicti), e che i Saturnalia anch’essi venissero celebrati in questi giorni. Le indicazioni sono dovute al fatto che in questo modo la chiesa prendeva l’occasione di allontanare le persone dall’osservanza pagana del solstizio d’inverno e le indirizzava all’adorazione del Cristo.


Entrambi i santi Cipriano e Giovanni Crisostomo nei loro scritti alludono a “la nascita del Cristo fu assegnata alla data del Solstizio d’Inverno (25 dicembre per il calendario giuliano e il 6 gennaio per quello egizio) perché in questo giorno come il Sole comincia il suo ritorno dai cieli nordici, i pagani devoti di Mitra celebravano il giorno natale del Sole Invincibile”.


Il sincretismo con il paganesimo come missione strategica, del resto, è chiaramente rivelato anche dalle istruzioni date ai missionari di Papa (Vescovo di Roma) Gregorio I : “Poiché i pagani continueranno a sacrificare al diavolo, altre celebrazioni dovranno prenderne il posto...”. Nel 354 d.C. Papa (Vescovo di Roma) Liberio di Roma ordinerà la sostituzione della festività dei Saturnalia con la nascita di Cristo “perché il popolo di Roma già osservava questo come Festa di Saturno, celebrando la nascita del Sole”.


Riguardo al sincretismo religioso c’è comunque da aggiungere che ben pochi culti sembrano potersi considerare del tutto ortodossi; e comunque molte sono le analogie e le similitudini riscontrabili nelle principali religioni.


A questo proposito va ricordato che il 25 di dicembre è considerato un giorno di natività per i Buddisti, che in tale giorno ricordano il Santo Spettro che discende sopra la vergine Maya, madre di Siddharta; e ancora di Horus, il dio egiziano della luce, figlio di Iside la vergine come di Ercole, figlio di Zeus e della mortale Alcmene; mentre gli scandinavi lo festeggiavano come natività di Freyr, il figlio del supremo Odino, per i romani Bacco-Dioniso era nato in questo giorno, Brumalia: lo stesso giorno sacro che l'imperatore Aureliano, nel 274 d.C. dedicherà alla nascita del dio del sole, Natalis Solis Invicti.


Il 25 dicembre come natività del cristo è perciò una festività né biblica e tantomeno apostolica, non praticata in alcun modo dalla chiesa nata il giorno della pentecoste.


Fu, anzi, proprio l’imperatore romano Costantino, giunto al culmine del suo potere nei primi anni del quarto secolo, che, convocando il concilio di Nicea nel 325 d.C. (in vero il primo concilio della storia della chiesa), diede impulso a questo: il concilio decise che il 25 dicembre la festa mitraica del sole invitto, dovesse essere riconvertita e ridedicata per l’appunto alla celebrazione della nascita di Gesù.


Così come la festa della nascita del Cristo si sovrappose agli antichi riti, così essa in qualche modo si appropriò dei simboli che a questi ultimi erano appartenuti: questa in sostanza è la storia di un simbolo fondamentale del natale, l’albero.


Di inequivocabili radici nordiche (ricordiamo a questo proposito l’albero di Odino Yggdrasill) esso entrò in principio nei costumi inglesi con provenienza scandinava: il ceppo di Yule proveniva dall’antica usanza nordica di un immenso falò di frasche che i veniva sacrificato in onore del solstizio d’inverno; nel continente esso ha però una più chiara e probabile provenienza celtica e teutonica : una promessa del ritorno del sole.


ANNO 274 d.C. IL NATALE DEL SOLE INVICTUS - L'OSTENSORIO SOLARE


Giorno festivo e "natale" del SOLE INVITTO. Anche questa e' una istituzione che dobbiamo ad AURELIANO. 

Le motivazioni come molti sanno è che il Sole da una concezione risalente alle età preistoriche in questo giorno 25 (ma non proprio esattamente questo, ma semmai dal 22 al 24)  l'astro si ferma in cielo. Il Solstitiu(m) = significa sole fermo


Questo giorno 23, è il giorno quando il Sole (dopo essere apparso nei giorni precedenti nel punto del massimo declino: in inverno) e apparentemente sembra per un giorno intero restare fermo in quel punto del cielo,  il giorno dopo, il 24, riprende il suo cammino verso l'alto, ogni giorno di più, fino al solstizio d'estate dove invece si verifica il fenomeno inverso (qui la religione cristiana celebrerà poi questo giorno come la festa di san Giovanni Battista).


In Egitto nell'Antico Regno dicevano il sole "è fermo" . Ma questo accade solo perche' l'Egitto si trova molto piu' vicino alla linea dell'equatore; il fenomeno avviene con un giorno di anticipo e molto piu' a lungo che in zone piu' a nord).

In poche parole quello dell'inverno significava che il sole giunto nella sua fase piu' debole come luce e calore, non sprofondava nelle tenebre dove sembrava precipitare, ma diventava con la sua vitalita' "invincibile" (invictus) sulle stesse tenebre,  "rinasceva", aveva un nuovo "natale". Appunto il Natale del Sole invictus.


(in un paese dell'Alto Adige, a Trafoi, il sole scompare tutti i mesi invernali dietro il massiccio dell'Ortles, e in primavera quando spunta nuovamente il primo raggio che lambisce il paese, la popolazione celebra ancora il Natale del Sole Invitto, che prende impropriamente il nome dal suo omonimo anche se è molto diverso il fenomeno, semplicemente territoriale come in questo caso (duvuto a una montagna che sovrasta il paese. Ma la curiosita' sta nel fatto che il nome - dall'uso romano- e' rimasto a indicare questo evento.


Solstitiu(m) lo abbiamo gia' detto, significa proprio "sole fermo". In Astronomia sono quei due giorni dove il sole si ferma per invertire il suo moto nel senso della DECLINAZIONE; è cioe' il punto dove raggiunge la massima distanza dal piano equatoriale.
Per spazzare via il paganesimo la religione Cristiana non potendo abolire questa festa pagana che continuamente celebravano i romani anche quando si instauro' il Cristianesimo, decisero di farla coincidere con la nascita di Cristo.


La nascita di Cristo, questa festa ricordo, in precedenza si celebrava non senza incontrare molte opposizioni (cito Origene e Arnobio) il 6 gennaio (Epifania- che significava l'apparizione del Cristo), fu spostata nel IV secolo al 25 Dicembre per soppiantare la festa appunto culturale pagana del "natale del sole invitto" di Aureliano istituita nel 273. E dato che il Natale significa anche "nascita", l'operazione "pulizia pagana" per i sacerdoti del cristianesimo (nel 321) fu molto semplice e divenne la ricorrenza che tutti oggi conosciamo.

Nell'albero di Natale sono rimaste legate e associati alcuni dei simboli legati all'arcaico che affonda nei tempi, anche se la prima ripresa di questa usanza per la prima volta la troviamo nel 1539 in Germania a Strasburgo e solo col XIX secolo esso divento' una usanza generale; ma aveva poco a che vedere con il cristianesimo, quindi con il Natale del Cristo (che ancora oggi si celebra in un altro giorno).

L'albero è un culto di tutte le religioni arcaiche; è l'albero cosmico della mitologia germanica (Yggdrasil, e la tradizione odierna riparte proprio dai germani), l'albero dei Veda (Asbvatta), l'albero della Vita che Dio stesso mette a dimora nel Paradiso (e da non confondersi con quello della conoscenza - Genesi II-27); è l'albero (babilonese) dei frutti , l'albero dove i primi popoli primitivi (in oriente rappresentava il risveglio della natura) osservarono proprio alla rinascita del sole solstiziale le gemme e il contemporaneo collegamento misterioso della crescenza delle stesse, e ne hanno fatto poi -nella fantasia delle varie religioni come abbiamo visto sopra - il simbolo portatore della vita in genere.

Abbiamo comunque un documento antichissimo, babilonese del 1850 a.C, trovato da Gauthiere Moussian; una tavoletta con un albero schematizzato e sui rami delle losanghe che raffigurano gli astri, e alla sommità il sole domina. Insomma un classico albero di natale dei nostri giorni.

MITHRA era il dio ("persiano") in seguito nominato fra gli dei di Stato dall' impero mesopotamico dei Mitanni. Identificavano questo dio col Sole gia' nel 1400 a.C.  Lo si festeggiava proprio il 25 Dicembre, con la festa del
son (vocabolo babilonese) invictis.  Nel culto del dio persiano, Mithra (in babilonese chiamato anche Bel) era del resto considerato il figlio del dio supremo: figlio del Sole e Sole egli stesso.
Componenti essenziali della religione di Mithra era la salute dell'anima  e l'immortalità; una dottrina legata alle idee di salvezza, di purificazione, di immortalità dopo la morte e dopo la fine del mondo.


Il culto  conosceva un battesimo, e una specie  di pasto sacro, consistente in pane, acqua e vino, e parimenti a ricordo dell'ultimo pasto (ultima cena?) del maestro, Mithra dopo averlo consumato come atto sacrificale, salì al cielo portato dal carro del Sole per unirsi al Sole.

Non di meno in Egitto dove a Heliopolis negli stessi anni 1400. a.C. il 24-25 dicembre (o meglio il rispettivo mese che corrispondeva al nostro) si celebrava la festa del Sole, che era la festa (astronomica) solstiziale e nello stesso tempo nella simbologia sacerdotale identificata nel  Ra (poi Aton) figlio del dio supremo: anche lui figlio del Sole e Sole  egli stesso.

Nelle tradizioni e ritualita' della festa del Sole troviamo anche molte altre cose in comune con il cristianesimo che certamente mutuò da entrambi i due paesi citati sopra. Sia nei riti, vedi il battesimo, il pasto sacro dove MITHRA dopo averlo consumato salì al cielo col carro del Sole; poi ritroviamo il banco di pietra davanti l'abside, l'altare dove veniva esposto il disco solare; e ritroviamo l'ascesa al cielo per gli eletti cui veniva garantita alla morte -se bevevano la bevanda dell'immortalità- l'ascesa verso le sette sfere planetarie trasportati dal carro del Sole. Poi c'era l'atto delle mani giunte che nel Parsismo (Zoroastrismo) era in uso nell'invocare i supremi spiriti dello Spenta Mainyu (o Amesha Spenta - I santi immortali che circondano il dio buono e supremo, creatore e giudice del mondo, che  servono umilmente per guidare le anime.


Altri oggetti e comportamenti: la stola, i copricapi dei vescovi (si chiama ancora mitra) le vesti, i colori, l'uso dell'incenso, l'aspersorio, i lumi accesi davanti all'altare, le genuflessioni ecc, e infine la stessa architettura delle basiliche, dove all'interno si eseguivano i riti in pompa magna, e non con degli stracci addosso; infine alcune cerimonie e liturgie si iniziarono a svolgerle  in quegli  stessi giorni che in precedenza  erano importanti appuntamenti di alcune feste e ricorrenze pagane.
Non ultimo l'oggetto piu' rappresentativo che domina il rito cristiano,
quello della esposizione dell'ostia che è contenuta dentro un disco, da dove partono e si irradiano i suoi raggi: l'Ostensorio.


L'ostensorio della liturgia cristiana, contrariamente a quello che si  pensa non prese il nome dall'ostia, ma l'incontrario. Si chiamava ostensorio un millennio prima di Cristo; ostiare corrispondeva a un etimo egizio (e si traslò anche nel latino) e significava  mostrare, fare vedere;  cioè mostrare il disco solare ai fedeli; la liturgia cristiana conservò anche l'abbassamento del capo, perchè nei primi riti di Aton all'aperto,  non era una proibizione guardare il sole, ma era solo un accorgimento, perchè fissando il sole si rischia di perdere la vista. Nei successivi riti trasferiti all'interno dei templi i sacerdoti di Aton ricorsero  a un disco d'oro con i raggi attorno; appunto l'ostensorio, elevato in alto (elevazione) ma l'abitudine di chinare il capo rimase, e fu poi successivamente, insieme all'oggetto, traslato anche nel rito cristiano.


Ostiare - significa infatti  "mostrare" la vittima del sacrificio, ed era la primordiale barbara scena e costumanza nel sacrificare alle divinità i nemici presi in guerra e "mostrarli" al popolo. Il vocabolo rimase anche nell'antico latino;  ma il Senato di Roma abolì questa "ostensione" fin dal 657 a.C., ritenendola una usanza indegna di un popolo civile.


Nei riguardi invece del vero e proprio ostensorio odierno; un papa  san Leone  Magno (nel 460 d.C.) sconsolato, dopo che erano passati quasi centotrenta anni dal bando del culto solare bandito da Costantino (pur essendo lui - fino alla morte- un cultore del Sole), scriveva: "..E' così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani prima di entrare nella basilica di San Pietro apostolo,  dedicata all'unico Dio, vivo e vero, dopo aver salito la scalinata che porta all'atrio superiore, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell'astro fulgente.


Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto in parte per ignoranza e in parte per mentalità pagana. Infatti anche se intendono venerare il Creatore della luce leggiadra, e non la luce stessa che è una creatura, devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei; qualora trovasse tra noi una simile usanza, potrebbe praticare, come incensurabile, questo elemento delle vecchie credenze perchè lo vedrebbe comune ai cristiani e agli infedeli." (San Leone Magno, 7° sermone tenuto nel Natale 460 - XXVII -4).


Per sradicare questi ultimi residui delle religioni solari occorse quasi un millennio.

Risolse il problema un monaco, nel secolo XV,  un dottore della Chiesa, san Bernardino da Siena (1380-1440). Al centro invece del disco in oro luccicante, mise una teca con dentro il simbolo dell'eucaristia il pane. (A. Cattabiani, Calendario, Le feste e i riti dell'anno, ed Rusconi 1988)


L'ostia consacrata risale invece alla fine del XV sec. -  dopo le tante dispute teologiche medievali (come la transustanziazione cattolica prima e la consustanziazione luterana poi). Mentre la forma dell'ostia fu stabilita all'epoca del Concilio di Trento, quando fu riproposta la dottrina della presenza reale e della messa come sacrificio e la stessa
consacrazione dell'ostia. 


La concezione della con-sacrazione ( = dal-sacrificio) era un rituale presente in tutti i riti arcaici delle antiche religione politeistiche, monoteistiche e anche dei riti pagani più lontani nel tempo, ed era concepita  -l'offerta sacrificale e la distribuzione ai presenti- come portatrice di speciali forze che andavano ad agire sui presenti sacrificanti, e per questo chiamata "communio" (cioè dividere una cosa con altri - e la cena, il pasto o la semplice assunzione  di un frammento dell'oggetto del sacrificio, era il rito per ricevere le speciali forze)

Così Bernardino (noto per le sue concrete prediche alle folle in volgare) conciliò e accontentò sia l'adorazione solare dei pagani che l'adorazione dei cristiani. Al termine delle sue trascinanti prediche soleva mostrare una tavoletta contornata da un cerchio di raggi fiammeggianti, con al centro incise in oro le lettere JHS. (ib. p.73)


L'accostamento al Sole Mithra non era del resto casuale. Giovanni nel Nuovo Testamento affermava "...in Lui era la vita e la vita era la Luce, la luce che splende nelle tenebre, la Luce vera che illumina ogni uomo" (Giovanni 1,4-5 e 9). 


Tertulliano che scrisse su quasi tutti i problemi che agitavano la Chiesa del tempo, e che coniò molti concetti  che dovevano poi essere alla base della dottrina della Trinità e della cristologia, scriveva  "...ritengono che il Dio cristiano sia il Sole perchè è un fatto notorio che noi preghiamo orientati verso il Sole che sorge e che nel Giorno del Sole ci diamo alla gioia, a dir il vero per una ragione del tutto diversa dall'adorazione del Sole" (
Tertulliano, Ad Nationes I, 13).


A cosa si riferiva Tertulliano con "a dire il vero"? Riandava all'Antico Testamento; il Messia veniva preannunciato dai profeti come Luce e Sole. Isaia scriveva "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande Luce, e su coloro che abitavano la terra tenebrosa una Luce rifulse" (Isaia 9,1).


Altrettanto scriveva Malachia "Sorgerà con raggi benefici il Sole di giustizia" (Malachia. 3,20).
Ma non dimentichiamo che il culto di Mithra nei Mitanni era più antico dell'Antico Testamento di quasi 500 anni, e che gli ebrei erano di origine "di là"  (= ebre  = eber) dall'Eufrate, mentre i vicini confinanti  Mitanni abitavano fra l'Eufrate e l'Habarù.


Insomma nel IV e V secolo, molti cristiani erano attirati da queste feste spettacolari e la Chiesa romana, preoccupata dalla straordinaria diffusione dei culti solari e soprattutto dal mithraismo, che con la sua morale e spiritualità, non dissimile dal cristianesimo poteva frenare se non arrestare la diffusione del vangelo, pensò di celebrare nello stesso giorno del Natale del Sole (Sole Invictus) il Natale del Cristo, come vero Sole. Sostituire cioè la "grande festa" del Sole

Il giorno del riposo settimanale (1°giorno della settimana, festa di Stato introdotta da Costantino nel 321) che si chiamava "Giorno del Sole" (
Dies Solis) fu cambiato il nome in Domenica (Dominicus) = Giorno del Signore. In alcuni Paesi perennemente rimase e rimane il nome che Wulfrida l'ariano (creatore della lingua tedesca) aveva introdotto e mutuato dal latino, sanscrito etc.; in inglese infatti rimase Sun-Day = Giorno del Sole e in tedesco Son-Tag = Giorno del Sole.


QUINDI RICAPITOLANDO :


  1. Non conosciamo il giorno esatto della nascita di Gesù, di certo Natale dei cristiani non è il 25 dicembre, ma tra settembre ed ottobre o forse marzo aprile;


  1. e persino l'anno è incerto, infatti a seguito di nuove ricerche e nuovi elementi storici, è stato scoperto l'errore di calcolo commesso dal monaco Dionigi il Piccolo, quando formulò il primo calendario con la cronologia cristiana, nel 525 d.C. e fissò la data di nascita di Cristo nell'anno 753 dopo la fondazione di Roma (in quell’epoca si calcolavano gli anni “ab urbe condita”, cioè a partire dalla fondazione di Roma). Ma gli studiosi sono in accordo sul fatto che tale data andrebbe anticipata di alcuni anni e posta intorno al 749-48. In questo modo la nascita del Cristo si collocherebbe tra il 4 o il 5, ma meglio al 7 a.C.!!!!!!;


  1. Il Natale è stato istituito da Aureliano nel 274 d.C. da un imperatore non cristiano, anzi fautore del culto mitraico per festeggiare la rinascita del “Sol invictus” dopo il solstizio d’inverno;


  1. La festa è passata ad essere considerata cristiana a seguito delle decisioni prese dal concilio di Nicea del 325 d.C. presieduto dall’imperatore Costantino, che non era né papa, né vescovo, ne’ cristiano, né lo e’ mai stato neppure in punto di morte (come qualcuno ha tentato di affermare), eppure presiedeva e decideva tutto quanto stabilito in quell’occasione, a livello filosofico e teologico dal consesso dei vescovi, e quanto deciso in quel concilio ha avuto conseguenze pesanti nei secoli fino ad arrivare a noi;


  1. Il mitraismo certamente già esisteva 1400 anni prima di Cristo , 600 prima di Zoroastro, 600 prima del Budda, 200 prima di Mosè e asseriva e propanava idee filosofiche e religiose profondamente simili anche nei rituali e negli arredi, addobbi, abbigliamenti degli officianti e dei religiosi, molto simili, quasi uguali;


  1. Tralascio altre considerazioni che lascio alle vostre personali riflessioni sulla enorme quantità di analogie tra il cristianesimo, lo zoroastrismo, e il mitraismo;


……..ma Infine ci sarà pure qualcosa di vero in tutto quanto riguarda la festa di Natale?? Vediamo…..


L'albero di Natale


Pare che il celebre alberello di Natale che noi tutti amiamo esporre dal 25 dicembre al 6 gennaio abbia avuto origine nella Germania dell' VIII. Secolo d.C. Si racconta che San Bonifacio, missionario britannico, stesse predicando un sermone sulla nascita di Gesù presso una tribù di druidi alle porte della città di Geismar. Nel tentativo di convincere gli astanti che il loro albero sacro, la quercia, non era una pianta dalle proprietà straordinarie, ne abbatte una davanti a tutti. La quercia cadendo travolse ogni genere di pianta circostante, tranne un piccolo abete. Bonifacio da quel fatto dedusse che l'abete era stato risparmiato per volere del Signore e che quindi quell'alberello doveva essere considerato l'albero di Gesù Bambino. Da quel momento, in Germania, tutti i natali vennero festeggiati piantando piccoli alberi d'abete.


In realtà è molto probabile che la tradizione dell'albero di Natale sia un amalgama di altre tradizioni che affondano le loro radici nella notte dei tempi e che hanno come tema fondamentale il concetto di "albero cosmico", cioè una rappresentazione terrena della manifestazione divina. I germani lo chiamavano yggdrasil e lo identificavano come abbiamo visto nella quercia; nell'antico Testamento è l'albero della Vita che si trova nell'Eden e dei cui frutti Adamo ed Eva vollero cibarsi nonostante il divieto divino.


L'albero potrebbe averlo inventato Martin Lutero


Secondo la tradizione fu Martin Lutero in persona a dare il via all'usanza di decorare l'albero di Natale con delle luci, che a quell'epoca non erano altro che delle piccole candele. L'idea gli venne una notte d'inverno, nel tornare a casa, quando venne colpito dalla straordinaria luminosità della volta celeste punteggiata di stelle che si intravedevano tra i rami degli alberi sempreverdi. Una volta giunto a casa decise di riprodurre lo stesso effetto decorando il suo albero con delle fiammelle.


Due secoli più tardi la tradizione dell'albero di Natale era diffusa in gran parte dell'Europa centrale. In Inghilterra giunse solo nel XIX. Secolo e lo stesso vale per l'America, dove l'usanza fu introdotta dagli immigrati tedeschi in Pennsylvania. Nel Nuovo Mondo l'albero fu introdotto cosi tardi a causa delle resistenze della cultura puritana dell'epoca che considerava questa tradizione natalizia come pagana e blasfema.


La vera storia di Babbo Natale

Il grasso signore rubicondo vestito di rosso che siamo abituati a vedere rappresentato dappertutto durante il periodo natalizio, non ha nulla a che vedere con il Babbo Natale delle origini. Babbo natale, infatti, era San Nicola, vescovo di Myra (Asia Minore) vissuto nel quarto secolo d. C.. Nato a Lycia, un'antica città turca, sin da bambino Nicola si dimostrò sempre molto devoto. Entrò presto in un seminario, deciso a dedicare la sua vita a servire Cristo. La tradizione vuole che cominciasse a compiere dei prodigi uno dei quali fu quello di calmare il mare in tempesta durante un suo viaggio in Palestina. Per questo più tardi questo santo verrà considerato il patrono dei marinai.


Divenuto vescovo, Nicola si distinse per la sua grande generosità nei confronti dei poveri, dei bambini e dei giovani in genere, che cercava di assistere e aiutare in ogni modo. Durante le persecuzioni contro i cristiani, l'imperatore Gaio Diocleziano lo fece imprigionare e torturare. In seguito l'imperatore Costantino (che non era cristiano ma riteneva utile la collaborazione coi cristiani, oramai divenuti importanti all’interno dell’impero) lo fece rilasciare e lo invitò a partecipare al primo concilio ecclesiastico di Nicea, nel 325 d.C..

Il 6 dicembre del 342 Nicola mori e la gente cominciò a considerarlo santo e patrono dei bambini. Questo anche perché quando era in vita San Nicola portava ogni anno ai suoi protetti dei piccoli regalini, dolciumi, statuine di legno frutta. In virtù del protrarsi di questo uso, il 6 dicembre divenne un appuntamento molto atteso dai piccoli.


Iconograficamente San Nicola veniva rappresentato come un uomo magro e alto, vestito con gli abiti rossi e la mitra da vescovo e una lunga barba bianca. Durante la Riforma Protestante (XVI. Secolo) la sua figura venne accantonata in molti paesi europei. Tranne in Olanda, dove continuava ad essere considerato il protettore dei marinai. Gli olandesi che sbarcarono nel Nuovo Mondo portarono con sé le tradizioni relative al santo, comprese quella della festività che cadeva nel periodo natalizio. Mano a mano, anzi, la tradizione si modificò fino a far coincidere questa ricorrenza con il 25 dicembre.


Gli olandesi chiamavano San Nicola "Sint Nikolass" che col tempo divenne "Sinterklass".

Quando gli olandesi cedettero i loro territori agli inglesi questi mantennero la tradizione ma cambiarono il nome di "Sinterklass" nell'ormai celebre "Santa Claus".


Bisognerà aspettare ancora un po' di tempo, però, prima che Santa Claus assuma le caratteristiche che oggi tutti conosciamo. Nel 1822 Dottor Clement Clarke Moore, di New York, scrisse una poesia intitolata "The Night Bifore Christmas" con l'intento di allietare i suoi bambini la notte della vigilia. La poesia venne pubblicata su un giornale locale e fu ripresa da molti altri giornali, tanto da diventare nota a tutti i bambini. I versi di quella poesia contengono gli elementi di cui è fatta la moderna concezione che abbiamo di Babbo Natale.


Santa Claus non ricordava in nulla San Nicola ed era vista come una creatura fantastica, piccola, grassa e tozza, simile a un elfo delle fiabe, che aveva il compito di allietare il natale dei bambini di tutto il mondo recando doni. Il tocco finale di questa metamorfosi venne dato dal disegnatore Thomas Nast nel 1863, quando per l'"Harper's Weekly" disegnò una serie di illustrazioni natalizie sulla base della poesia di Moore.


Nast aggiunse però molti particolari e perfezionò l'immagine del personaggio Babbo Natale trasformandolo nel paffutello e gioviale signore anziano che tutti conosciamo. Nelle sue illustrazioni il vignettista codificò anche il mondo in cui Babbo Natale - Santa Claus agiva. E cosi nacque la leggenda della sua residenza al Polo Nord e della sua incessante opera di fabbricazione di giocattoli durante l'anno. Apparvero gli elfi suoi aiutanti, la slitta trainata da renne e le cartoline inviate dai bambini di tutto il mondo con i desideri di ciascuno, etc., etc..


……………..E POI ……. FU COCA COLA


La quale Coca Cola all’inizio degli anni trenta in piena crisi economica, e in periodo di grande stagnazione dei consumi e soprattutto per incrementare le vendite durante il periodo invernale, quando semmai si beve, si bevono liquori, pensò

di mettere in piedi una campagna promozionale e pubblicitaria assumendo un disegnatore svedese, Huddon Sundblom (Girasole), che nelle sue tavole inserì il personaggio di Santa Claus (Babbo Natale) raffigurandolo associato alla bottiglia della Coca Cola (quella classica), e la sinergia ha evidentemente dato i suoi frutti visto il salto di qualità nell’immaginario collettivo ed appunto nella diffusione dell’immagine di entrambi i soggetti della campagna pubblicitaria, Babbo Natale e la Coca Cola.

Tant’è vero che da allora la Coca Cola non ha mai smesso di incentivare le vendite nel periodo natalizio con campagne pubblicitarie spesso, o quasi sempre, utilizzando il personaggio di Babbo Natale,.

Davvero una grande campagna pubblicitaria, ma nulla a che vedere con i grandi ed insuperabili maestri del passato più remoto.

E SAN NI - COLA?….Che sia diventato SAN COCA COLA??…. O meglio … SANTA COCA COLA???


IN OGNI CASO, A DISPETTO DI QUANTO DETTO, ED IN ONORE DI CHI VOLETE VOI, ………………


E SOPRATTUTTO PERCHE’ LA MENTE DEI BAMBINI, ED ANCOR PIU’ DEGLI ADULTI HA BISOGNO PERIODICAMENTE DI MOMENTI DI DISTACCO DALLA REALTA’,


VI AUGURO DI TRASCORRERE DELLE BUONE E FELICI FESTE, EVVIVA LE FESTE IN ONORE DI CHI SIA SIA!!!!!!


A ROMA SI TRAMANDA UN SAGGIO, FULMINANTE, ERMETICO E PROFONDO DETTO CHE RISALE ALLA FINE 1400 - INIZIO 1500 CHE DICE : <DE FRANZA O DE SPAGNA PURCHE’ SE MAGNA.>. MEDITARE.


ORAZIO FERGNANI.



N.B. Tutto il materiale qui riprodotto e’ stato prelevato dal Web ed è di proprietà dei legittimi proprietari, io molto modestamente ho rielaborato ed ordinato secondo un mio personale punto di vista il materiale e le conoscenze derivate da altri. Fergnani orazio.-