sabato 2 dicembre 2017

LA SITUAZIONE NEL TRATTEMPO E' MOLTO PEGGIORATA !!!

Chi deve cosa a chi

(M.Blondet 26-11-12)



Per una volta gioco facile; in pratica, traduco un servizio con immagini della BBC News. È l’incrocio dei debiti esteri e dei crediti (esposizioni) che i Paesi hanno reciprocamente. Germania La maggior economia della UE è in debito soprattutto con Francia, Italia e USA – economie che reciprocamente devono alla Germania miliardi.

La Germania è esposta soprattutto con la Spagna, di cui ha comprato i titoli di debito, e poi Grecia, Irlanda e Portogallo: Paesi il cui rischio d’insolvenza è segnalato dai colori, più o meno carichi verso il rosso. Se uno di questi fa default, per Berlino sono guai grossi; e siccome la Germania è una potenza industriale mondiale, sarebbero guai per il mondo. Vistoso il debito estero che grava su ogni tedesco: 50.659 euro. Il debito pubblico, 83% sul PIL, è ben al disopra del 60% che la Germania prescrive agli altri Paesi europei.

Francia La seconda economia d’Europa è in debito soprattutto con gran Bretagna, USA e Germania, verso cui in cambio vanta crediti ragguardevoli. Il problema francese è la sua grossa esposizione all’economie più indebitate dell’eurozona: le sue banche hanno molti titoli di debito di Grecia, Italia e Spagna. Situazione di fragilità, in un’economia che non cresce. Impressionante la quota di debito estero pro-capite: 66.508 euro.

Spagna È in debito soprattutto con Germania e Francia. Ma a preoccupare è il credito che la Spagna ha verso il Portogallo, piccolo ma pericolante. Le austerità imposte al Paese con l’intento di mettere ordine nell’indebitamento, dopo lo scoppio della bolla immobiliare, hanno prodotto ovviamente il risultato prevedibilmente peggiore. Recessione e disoccupazione alla stelle. Si noti che il debito pubblico spagnolo si mantiene moderato e virtuoso: 67% del PIL. Conferma del fatto che la crisi spagnola (e dei periferici) non è una crisi del debito pubblico di Stati-cicala – come sostiene la dottrina tedesca – ma è una crisi degli squilibri accumulatisi nella bilancia dei pagamenti fra i vari Paesi intra-europei, a causa dell’euro forte: moneta che penalizza l’export dei periferici, e che avvantaggia solo la Germania – la quale da anni sottrae quote di mercato ai periferici, mentre le banche tedesche prestano (prestavano) loro i propri enormi surplus che non sanno come meglio impiegare, indebitandoli troppo. Portogallo Ha già avuto bisogno di un salvataggio (come Grecia e Irlanda), e sta applicando con stoica disciplina le durissime «cure» di austerità pretese dall’eurocrazia e da Berlino per rimettere i conti in ordine, e ridurre il debito. Risultati dubbi. Il Portogallo è altamente indebitato con la Spagna (l’una mette in pericolo l’altra e vicerversa) e nello stesso tempo le banche portoghesi sono esposte per 7,5 miliardi di euro con la Grecia. Assurdità della finanza... Irlanda Non ha nemmeno 5 milioni di abitanti ma la finanza globale non ha esitato a profonderle a prestito fiumi di liquidità, in quanto era l’allievo modello secondo la dogmatica liberista: poche tasse per gli investimenti esteri, finanze pubbliche snelle, flessibilià del lavoro, per giunta anglofono. Così oggi ogni abitante ha sul gobbo quasi 391.000 euro di debito estero, e rispetto al PIL il debito estero irlandese supera il mille per cento. Indebitato soprattutto con Londra, il piccolo Paese ha dovuto chiedere un salvataggio europeo. Grecia La situazione è nota. Ogni greco ha 32 mila euro di debito estero sulla testa, nonostante sia probabilmente un disoccupato – il Paese ha già fatto default parziale (verso i creditori privati), ha subìto un «salvataggio» dietro l’altro (salvataggi dei suoi creditori esteri, in realtà) e ne ha bisogno di un altro. Il problema non è il fallimento della Grecia in sè, ma l’effetto contagio che questo fatto può provocare su grosse economie europee molto indebitate, come Spagna e Italia. Il temuto effetto-domino. E l’Italia, in confronto? D’accordo, siamo entrati nella crisi col più grosso debito pubblico, che il governo Monti è riuscito a far crescere ancora (nel 2007 era solo il 104% del PIL); ma il nostro debito estero è più moderato di quello tedesco (anche perché non attraiamo investimenti, e per lo stato rallentatissimo della nostra economia), e il nostro settore manifatturiero – nonostante lo strangolamento di Befera – è ancora robusto. Nel complesso, una situazione più sana di tanti col debito pubblico giusto, come la Spagna. I «mercati» però ci tolgono fiducia, esitano a prestarci e a comprare i nostri BOT. Perché? Perché conoscono la nostra classe politica corrotta e spogliatrice, oltre che incapace di raddrizzare il timone, conoscono gli sprechi e le macine da mulino pubbliche che pesano su un’economia che non cresce, anche per scarsità di investimenti privati (i nostri sono sempre stati capitalisti senza capitale), e non dimenticano l’invecchiamento della popolazione. I nostri problemi di competitività sarebbero risolti da una svalutazione; quelli dei cattivi politici, da una piazzale Loreto. Entrambe le cose sono, per ora, impossibili.Ed ora vediamo, per confronto, il Regno Unito Ha un enorme debito estero, quattro volte il PIL ma ciò – dicono loro – è un bene: «conseguenza di un attivo settore finanziario con un gran movimento di capitali». Insomma, è tutta salute per la City. Anche se per far pagare al contribuente britannico quel debito di 117 mila e passa euro a testa, e turare le falle delle sue vivacissime banche, il governo british sta tagliando ferocemente pensioni, assistenza sanitaria, scuole e spese sociali varie, e aggravando la torchia tributaria (probabilmente aumenterà l’IVA dal 20% al 25%); perché è sempre il contribuente nazionale che paga per la bella salute della finanza scatenata, ed è dalla capacità di uno Stato di torchiare i soldi dalle tasche dei sudditi, che dipende la sua credibilità come creditore (per la miseria avanzante il gettito sta declinando, da cui l’aumento dell’IVA ventilato). L’alto livello del debito, assicura la BBC, «non è visto come un problema» nei mercati mondiali, «perché la Gran Bretagna ha anche degli attivi di alto valore» (quali, ci sfugge). Tutto bene, se non fosse che Londra è altamente esposta con l’Irlanda, l’Italia e il Portogallo, e deve centinaia di miliardi a Germania e Spagna.Sì, è proprio la BBC: right or wrong, my country. Nella realtà, l’economia britannica, de-industrializzata, de-agricolizzata, è in forma molto peggiore di quella italiana. Perché i «mercati» non aggrediscono il suo debito come aggrediscono il nostro? In parte, perché i «mercati» abitano a Londra. In parte maggiore, perché il Regno Unito ha ancora la sua moneta sovrana, di cui può creare a volontà le quantità necessarie per pagare i debiti, e una Banca Centrale che continua a fare Quantitative Easing – ossia appunto a stampare. È il bello della sovranità monetaria, ragazzi. Ed è la rinuncia alla sovranità monetaria che ci sta facendo affondare. Giappone Ha notoriamente un debito pubblico di quasi 2 volte e mezzo il suo colossale Prodotto Interno Lordo (il doppio dell’Italia) ma non sarà mai giudicato insolvente sia perché questo debito lo Stato nipponico l’ha contratto coi suoi cittadini (nella speranza di innescare una ripresa, purtroppo soffocata dalla decisione di piegarsi al diktat di Washington negli anni ‘70: rivalutare lo yen), sia perché ha la sovranità sulla sua moneta e sulla sua Banca Centrale, e qualcosa mi dice che nessun governo nipponico ci rinuncerà mai. Il debito estero del Giappone è invece bassissimo, motivo di più per non dipendere dai «mercati». Al contrario, sono i prestiti agli Stati Uniti che possono preoccupare. Stati Uniti L’«ultima superpotenza rimasta» ha un debito estero «solo» del 101% del PIL (sulla carta, meglio della Germania), e un debito pubblico «solo» del 100% del PIL, meno di quello italiano e giapponese. I «mercati» continuano a considerare il debito americano il più sicuro e protettivo contro il default, non da ultimo perché ha la piena sovranità monetaria e una Banca Centrale allegrissima nello stampare carta. Inoltre, ha un’economia che è considerata un modello di liberismo dottrinario: pochi costi sociali, lavoro ultra-flessibile, privatizzate persino le prigioni e parte delle forze armate, appaltate a ditte di mercenari. Non da ultimo, il grande debitore dispone di quelle famose portaerei che contano qualcosa sui mercati mondiali.La realtà è alquanto meno favorevole, e sta nella rapidità esponenziale con cui il debito USA è cresciuto. Rubo i dati da Giuseppe Cloza, consigliere finanziario, autore dell’aureo libretto «Siamo Fritti» e tenutario dell’acuto blog «Bassa Finanza»: dal 1981 ad oggi, il debito americano è cresciuto del 1.560% mentre la popolazione è cresciuta solo del 35%. E il debito estero americani, quasi 11 trilioni (mille miliardi di euro), Cloza ci aiuta a metterlo nel contesto: un trilione sono mille miliardi di euro. Potete facilmente indebitarvi di un trilione anche voi, basta che spendiate a prestito un milione di euro al giorno per 2700 anni. O per dirla altrimenti: se Romolo, dal momento della fondazione di Roma, avesse speso un milione di euro ogni giorno, avrebbe raggiunto il trilione più o meno ai nostri giorni. E questo, è un trilione; gli USA hanno 11 trilioni di debiti. Con l’estero. Il che significa, con Cina e Giappone. Funziona notoriamente così: la Cina presta i soldi agli USA perché gli USA comprino i loro prodotti industriali e di consumo; il Giappone fa altrettanto. Ma il Giappone invecchia rapidamente, declina e tira i remi in barca, dunque ha meno surplus da usare per comprare i Treasury Bills americani; quanto alla Cina, anch’essa declina perché gli europei comprano meno delle loro carabattole, e avrà sempre meno «riserve valutarie» da prestare agli USA; tanto più che Pechino comincia a dubitare della solidità della superpotenza come debitore. Non ricordo quale politico americano ha fatto dello spirito: «Se entriamo in guerra con la Cina, dovremo chiedere ai cinesi di prestarci i soldi per farla». E non basta: i secondi creditori dopo gli asiatici, siamo noi europei. Come vedete, Gran Bretagna, Francia Germania e persino Spagna (più la Svizzera che non appare nella figura) hanno prestato agli USA un bel paio di trilioni, ossia duemila miliardi di euro. Un crollo nella o dell’eurozona avrebbe un tremendo immediato contraccolpo nelle banche dell’unica-superpotenza-eccetera; ecco perché Washington ci impone i governi via Goldman Sachs. È il bello della finanza globale, ragazzi. Tutto ciò crollerà, è inevitabile. Vediamo qui plasticamente le «piramidi di debiti accumulate l’una sull’altra in equilibrio instabile» di cui parlava, Nobel inascoltato, Maurice Allais. Il prevedibile «dopo» consisterà di insolvenze finanziarie a catena e di iper-inflazione («o un mix dei due», preconizza Cloza) in ogni caso un «brutale» impoverimento generalizzato, con perdita di potere d’acquisto per tutti.


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