Chi deve cosa a chi
(M.Blondet 26-11-12)
Per
una volta gioco facile; in pratica, traduco un servizio con immagini
della BBC News. È l’incrocio dei debiti esteri e dei crediti
(esposizioni) che i Paesi hanno reciprocamente. Germania La maggior
economia della UE è in debito soprattutto con Francia, Italia e USA
– economie che reciprocamente devono alla Germania miliardi.
La
Germania è esposta soprattutto con la Spagna, di cui ha comprato i
titoli di debito, e poi Grecia, Irlanda e Portogallo: Paesi il cui
rischio d’insolvenza è segnalato dai colori, più o meno carichi
verso il rosso. Se uno di questi fa default, per Berlino sono guai
grossi; e siccome la Germania è una potenza industriale mondiale,
sarebbero guai per il mondo. Vistoso il debito estero che grava su
ogni tedesco: 50.659 euro. Il debito pubblico, 83% sul PIL, è ben al
disopra del 60% che la Germania prescrive agli altri Paesi europei.
Francia
La seconda economia d’Europa è in debito soprattutto con gran
Bretagna, USA e Germania, verso cui in cambio vanta crediti
ragguardevoli. Il problema francese è la sua grossa esposizione
all’economie più indebitate dell’eurozona: le sue banche hanno
molti titoli di debito di Grecia, Italia e Spagna. Situazione di
fragilità, in un’economia che non cresce. Impressionante la quota
di debito estero pro-capite: 66.508 euro.
Spagna
È in debito soprattutto con Germania e Francia. Ma a preoccupare è
il credito che la Spagna ha verso il Portogallo, piccolo ma
pericolante. Le austerità imposte al Paese con l’intento di
mettere ordine nell’indebitamento, dopo lo scoppio della bolla
immobiliare, hanno prodotto ovviamente il risultato prevedibilmente
peggiore. Recessione e disoccupazione alla stelle. Si noti che il
debito pubblico spagnolo si mantiene moderato e virtuoso: 67% del
PIL. Conferma del fatto che la crisi spagnola (e dei periferici) non
è una crisi del debito pubblico di Stati-cicala – come sostiene la
dottrina tedesca – ma è una crisi degli squilibri accumulatisi
nella bilancia dei pagamenti fra i vari Paesi intra-europei, a causa
dell’euro forte: moneta che penalizza l’export dei periferici, e
che avvantaggia solo la Germania – la quale da anni sottrae quote
di mercato ai periferici, mentre le banche tedesche prestano
(prestavano) loro i propri enormi surplus che non sanno come meglio
impiegare, indebitandoli troppo. Portogallo Ha già avuto bisogno di
un salvataggio (come Grecia e Irlanda), e sta applicando con stoica
disciplina le durissime «cure» di austerità pretese
dall’eurocrazia e da Berlino per rimettere i conti in ordine, e
ridurre il debito. Risultati dubbi. Il Portogallo è altamente
indebitato con la Spagna (l’una mette in pericolo l’altra e
vicerversa) e nello stesso tempo le banche portoghesi sono esposte
per 7,5 miliardi di euro con la Grecia. Assurdità della finanza...
Irlanda Non ha nemmeno 5 milioni di abitanti ma la finanza globale
non ha esitato a profonderle a prestito fiumi di liquidità, in
quanto era l’allievo modello secondo la dogmatica liberista: poche
tasse per gli investimenti esteri, finanze pubbliche snelle,
flessibilià del lavoro, per giunta anglofono. Così oggi ogni
abitante ha sul gobbo quasi 391.000 euro di debito estero, e rispetto
al PIL il debito estero irlandese supera il mille per cento.
Indebitato soprattutto con Londra, il piccolo Paese ha dovuto
chiedere un salvataggio europeo. Grecia La situazione è nota. Ogni
greco ha 32 mila euro di debito estero sulla testa, nonostante sia
probabilmente un disoccupato – il Paese ha già fatto default
parziale (verso i creditori privati), ha subìto un «salvataggio»
dietro l’altro (salvataggi dei suoi creditori esteri, in realtà) e
ne ha bisogno di un altro. Il problema non è il fallimento della
Grecia in sè, ma l’effetto contagio che questo fatto può
provocare su grosse economie europee molto indebitate, come Spagna e
Italia. Il temuto effetto-domino. E l’Italia, in confronto?
D’accordo, siamo entrati nella crisi col più grosso debito
pubblico, che il governo Monti è riuscito a far crescere ancora (nel
2007 era solo il 104% del PIL); ma il nostro debito estero è più
moderato di quello tedesco (anche perché non attraiamo investimenti,
e per lo stato rallentatissimo della nostra economia), e il nostro
settore manifatturiero – nonostante lo strangolamento di Befera –
è ancora robusto. Nel complesso, una situazione più sana di tanti
col debito pubblico giusto, come la Spagna. I «mercati» però ci
tolgono fiducia, esitano a prestarci e a comprare i nostri BOT.
Perché? Perché conoscono la nostra classe politica corrotta e
spogliatrice, oltre che incapace di raddrizzare il timone, conoscono
gli sprechi e le macine da mulino pubbliche che pesano su un’economia
che non cresce, anche per scarsità di investimenti privati (i nostri
sono sempre stati capitalisti senza capitale), e non dimenticano
l’invecchiamento della popolazione. I nostri problemi di
competitività sarebbero risolti da una svalutazione; quelli dei
cattivi politici, da una piazzale Loreto. Entrambe le cose sono, per
ora, impossibili.Ed ora vediamo, per confronto, il Regno Unito Ha un
enorme debito estero, quattro volte il PIL ma ciò – dicono loro –
è un bene: «conseguenza di un attivo settore finanziario con un
gran movimento di capitali». Insomma, è tutta salute per la City.
Anche se per far pagare al contribuente britannico quel debito di 117
mila e passa euro a testa, e turare le falle delle sue vivacissime
banche, il governo british sta tagliando ferocemente pensioni,
assistenza sanitaria, scuole e spese sociali varie, e aggravando la
torchia tributaria (probabilmente aumenterà l’IVA dal 20% al 25%);
perché è sempre il contribuente nazionale che paga per la bella
salute della finanza scatenata, ed è dalla capacità di uno Stato di
torchiare i soldi dalle tasche dei sudditi, che dipende la sua
credibilità come creditore (per la miseria avanzante il gettito sta
declinando, da cui l’aumento dell’IVA ventilato). L’alto
livello del debito, assicura la BBC, «non è visto come un problema»
nei mercati mondiali, «perché la Gran Bretagna ha anche degli
attivi di alto valore» (quali, ci sfugge). Tutto bene, se non fosse
che Londra è altamente esposta con l’Irlanda, l’Italia e il
Portogallo, e deve centinaia di miliardi a Germania e Spagna.Sì, è
proprio la BBC: right or wrong, my country. Nella realtà, l’economia
britannica, de-industrializzata, de-agricolizzata, è in forma molto
peggiore di quella italiana. Perché i «mercati» non aggrediscono
il suo debito come aggrediscono il nostro? In parte, perché i
«mercati» abitano a Londra. In parte maggiore, perché il Regno
Unito ha ancora la sua moneta sovrana, di cui può creare a volontà
le quantità necessarie per pagare i debiti, e una Banca Centrale che
continua a fare Quantitative Easing – ossia appunto a stampare. È
il bello della sovranità monetaria, ragazzi. Ed è la rinuncia alla
sovranità monetaria che ci sta facendo affondare. Giappone Ha
notoriamente un debito pubblico di quasi 2 volte e mezzo il suo
colossale Prodotto Interno Lordo (il doppio dell’Italia) ma non
sarà mai giudicato insolvente sia perché questo debito lo Stato
nipponico l’ha contratto coi suoi cittadini (nella speranza di
innescare una ripresa, purtroppo soffocata dalla decisione di
piegarsi al diktat di Washington negli anni ‘70: rivalutare lo
yen), sia perché ha la sovranità sulla sua moneta e sulla sua Banca
Centrale, e qualcosa mi dice che nessun governo nipponico ci
rinuncerà mai. Il debito estero del Giappone è invece bassissimo,
motivo di più per non dipendere dai «mercati». Al contrario, sono
i prestiti agli Stati Uniti che possono preoccupare. Stati Uniti
L’«ultima superpotenza rimasta» ha un debito estero «solo» del
101% del PIL (sulla carta, meglio della Germania), e un debito
pubblico «solo» del 100% del PIL, meno di quello italiano e
giapponese. I «mercati» continuano a considerare il debito
americano il più sicuro e protettivo contro il default, non da
ultimo perché ha la piena sovranità monetaria e una Banca Centrale
allegrissima nello stampare carta. Inoltre, ha un’economia che è
considerata un modello di liberismo dottrinario: pochi costi sociali,
lavoro ultra-flessibile, privatizzate persino le prigioni e parte
delle forze armate, appaltate a ditte di mercenari. Non da ultimo, il
grande debitore dispone di quelle famose portaerei che contano
qualcosa sui mercati mondiali.La realtà è alquanto meno favorevole,
e sta nella rapidità esponenziale con cui il debito USA è
cresciuto. Rubo i dati da Giuseppe Cloza, consigliere finanziario,
autore dell’aureo libretto «Siamo Fritti» e tenutario dell’acuto
blog «Bassa Finanza»: dal 1981 ad oggi, il debito americano è
cresciuto del 1.560% mentre la popolazione è cresciuta solo del 35%.
E il debito estero americani, quasi 11 trilioni (mille miliardi di
euro), Cloza ci aiuta a metterlo nel contesto: un trilione sono mille
miliardi di euro. Potete facilmente indebitarvi di un trilione anche
voi, basta che spendiate a prestito un milione di euro al giorno per
2700 anni. O per dirla altrimenti: se Romolo, dal momento della
fondazione di Roma, avesse speso un milione di euro ogni giorno,
avrebbe raggiunto il trilione più o meno ai nostri giorni. E questo,
è un trilione; gli USA hanno 11 trilioni di debiti. Con l’estero.
Il che significa, con Cina e Giappone. Funziona notoriamente così:
la Cina presta i soldi agli USA perché gli USA comprino i loro
prodotti industriali e di consumo; il Giappone fa altrettanto. Ma il
Giappone invecchia rapidamente, declina e tira i remi in barca,
dunque ha meno surplus da usare per comprare i Treasury Bills
americani; quanto alla Cina, anch’essa declina perché gli europei
comprano meno delle loro carabattole, e avrà sempre meno «riserve
valutarie» da prestare agli USA; tanto più che Pechino comincia a
dubitare della solidità della superpotenza come debitore. Non
ricordo quale politico americano ha fatto dello spirito: «Se
entriamo in guerra con la Cina, dovremo chiedere ai cinesi di
prestarci i soldi per farla». E non basta: i secondi creditori dopo
gli asiatici, siamo noi europei. Come vedete, Gran Bretagna, Francia
Germania e persino Spagna (più la Svizzera che non appare nella
figura) hanno prestato agli USA un bel paio di trilioni, ossia
duemila miliardi di euro. Un crollo nella o dell’eurozona avrebbe
un tremendo immediato contraccolpo nelle banche
dell’unica-superpotenza-eccetera; ecco
perché Washington ci impone i governi via Goldman Sachs. È il bello
della finanza globale, ragazzi. Tutto ciò crollerà, è inevitabile.
Vediamo qui plasticamente le «piramidi di debiti accumulate l’una
sull’altra in equilibrio instabile» di cui parlava, Nobel
inascoltato, Maurice Allais. Il prevedibile «dopo» consisterà di
insolvenze finanziarie a catena e di iper-inflazione («o un mix dei
due», preconizza Cloza) in ogni caso un «brutale» impoverimento
generalizzato, con perdita di potere d’acquisto per tutti.
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