Chi detiene il debito pubblico italiano
2 aprile 2011
E’
noto a tutti che il debito pubblico italiano ha raggiunto livelli
esorbitanti. Meno noti sono due aspetti: che per la metà è in mano
a soggetti stranieri e le conseguenze che questo comporta.
1.
Nel 1837 Benjamin Disraeli scriveva che “Il debito è il padre
d’una numerosa figliolanza di follie e di delitti.” In altre
parole, ogni debitore, specie se di lungo corso, finisce sempre per
avventurarsi in comportamenti irrazionali. Soprattutto se si tratta
di uno Stato sovrano, capace di impegnare la responsabilità delle
proprie generazioni future. Uno Stato in deficit, ossia che
spende più i quanto incassa, copre l’ammanco emettendo titoli di
debito. È risaputo che, più il debito cresce, più lo
Stato debitore incontrerà delle difficoltà nel restituirlo. Meno
ovvio è che c’è molta differenza se i creditori sono i propri
cittadini o soggetti stranieri.
2.
Fino a poco tempo fa i titoli di Stato erano la forma d’investimento
in cui confluivano i risparmi delle famiglie. Secondo la
Banca d’Italia, nel 1995 il 90% del debito pubblico era nelle mani
di investitori italiani. La storia economica ci insegna che,
dall’Illuminismo in poi, questo rapporto ha rappresentato il più
forte legame tra gli Stati e i loro popoli nelle nazioni
democratiche. Ciò perché i cittadini, essendo creditori dello
Stato, erano cointeressati alla gestione delle finanze pubbliche. E
lo Stato, dal canto suo, era in un certo senso “obbligato” a fare
buon uso dei fondi introitati attraverso il debito. Gli
obiettivi di governanti e governati finivano così per coincidere.
In Italia, dove più di ogni altro Paese in Europa tali interessi
sono tra loro distanti, questo meccanismo ha portato ad alcune
distorsioni. Per coprire il deficit senza aumentare il debito si
sarebbe potuto aumentare le tasse. Ma così i governi avrebbero perso
voti. Quindi, meglio indebitare lo Stato, lasciando i soldi in tasca
agli italiani e illudendoli che avrebbero potuto riempirsele
investendo in Bot e Btp. Ma così facendo le tasse non potevano che
aumentare comunque, poiché aumentando il debito, aumentano gli
interessi da pagare. Con l’aggravante di appesantire il bilancio
statale con un onere per gli interessi che entro l’anno
supererà gli 82 miliardi di euro. Nel frattempo ci
hanno guadagnato i ricchi e ci hanno perso i poveri: i titoli di
Stato sono stati accumulati da banche, assicurazioni o nababbi per
avere una rendita sicura con interessi alti. Interessi, ovviamente, a
carico dei contribuenti. Cioè dei lavoratori dipendenti, quelli che
le tasse le pagano sempre. E che possedevano solo il 10% del debito
totale. La rendita sicura è stata garantita anche da una tassazione
ridicola, fissata in un’aliquota unica del 12,5% dalla riforma
Visco sul finire degli anni Novanta. Con buona pace del
criterio di progressività sancito dalla Costituzione. In pratica gli
italiani più ricchi hanno pagato meno tasse, in compenso facendo
raddoppiare il debito. Un cortocircuito finanziario che ha
contribuito a rendere i ricchi ancora più ricchi e i poveri più
poveri. Non è un caso se l’Ocse rivela che negli ultimi
15 anni in Italia la differenza tra ricchi e poveri è aumentata del
triplo rispetto alla media europea. Alla faccia dei buoni propositi
sulla redistribuzione della ricchezza.
3.
Oggi la situazione è mutata. Complice la sopraggiunta “povertà”
delle famiglie italiane, queste ultime hanno drasticamente ridotto la
loro percentuale di risparmio in titoli di Stato, mentre è
enormemente cresciuta la quota di debito in mano a soggetti
stranieri. Esponendo il Paese al rischio di gravissimi
problemi. Il Bollettino
statistico della Banca d’Italia sottolinea che
dal 1995 ad oggi la percentuale del nostro debito pubblico
detenuto da soggetti non residenti è progressivamente cresciuta dal
10% all’attuale 56%. E il debito attuale ammonta a quasi
1.900 miliardi di euro, oltre il 120% del PIL, che ci porta ad essere
l’ottavo
Paese più indebitato al mondo. Questo significa
che, ragionando per assurdo, anche se noi italiani per amor di patria
regalassimo allo Stato tutto il credito concesso, il debito
resterebbe almeno per la metà dell’attuale valore. Per assurdo,
perché la maggior parte di quei denari sono costituiti da
fondi pensione o assicurativi. E dunque, intoccabili.
4.
A chi appartiene oggi il debito pubblico italiano? La risposta l’ha
data il New
York Times, in seguito alla crisi greca dello
scorso anno. La Francia detiene 511 miliardi del nostro
debito, pari al 30% del debito stesso e al 20% del PIL d’oltralpe.
Il quotidiano della Grande Mela voleva evidenziare che, se il nostro
Paese piombasse in una crisi di liquidità, ne soffrirebbe tutta
l’area euro, al punto da metterne a rischio la stessa esistenza. Ma
c’è un altro aspetto da considerare. Che ci riguarda molto da
vicino. Un Paese che sottoscrive il debito pubblico di un
altro, oltre ad investire la propria liquidità e garantirsi un
flusso di cassa pluriennale, ne ricava un altro effetto positivo.
Calcolabile nel lungo periodo. Se gli acquisti del Paese creditore
sono fatti durante un periodo di crisi (come sappiamo ne è in corso
una, e ci siamo dentro fino al collo), il potere negoziale
esercitabile è notevole. Il creditore può ottenere in contropartita
delle clausole nei trattati commerciali. La Cina, ad
esempio, sottoscrivendo il debito greco ha chiesto l’uso del porto
del Pireo e che le future navi in dotazione alla marina di Atene
siano comperate in Cina. Il debito ha l’effetto di
incrementare le esportazioni dal Paese creditore al debitore,
favorendo la competitività delle proprie industrie. E
orientando le scelte commerciali (e strategiche) del debitore a
proprio vantaggio.
5.
Alla luce di queste considerazioni possiamo comprendere
perché il governo non fa nulla per impedire che i colossi francesi
acquisiscano aziende italiane. Ma sopratutto perché ha
tanta premura di tornare al nucleare, acquistando le
centrali dalla francese EDF. Ora che il nostro debito non è più “in
famiglia”, potrebbero essere proprio le famiglie italiane a pagarne
le conseguenze, a cominciare dalle pensioni. E nella peggiore delle
ipotesi, con le radiazioni. I 511 miliardi di debito che pesano come
un macigno sulle nostre spalle, a parere della maggioranza, sono una
ragione sufficiente per svendere il nostro futuro e la nostra
sicurezza. Come sa bene
Beppe Grillo, che nel suo blog aveva già denunciato a
suo tempo: “EDF è il mandante, Berlusconi e la Confindustria
gli esecutori materiali interessati”. Il ritorno al
nucleare potrebbe rivelarsi la più drammatica delle “follie del
debitore” di cui Disraeli parlava, e a pagare sarebbe l’Italia di
domani. Quella dei nostri figli. Che schiava di Roma Iddio
la creò, declamava Mameli. E che il debito rese l’ombra della Tour
Eiffel.
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