BOND “Profumo di Chanel”, storia di 565 miliardi di titoli Usa falsi e di vecchi nomi che riemergono
Di
Elio Ciolini non si sentiva parlare da anni. Era il 2005 e il suo
nome si era legato a contatti che esponenti dell’estrema destra
italiana avevano cercato a Bruxelles per trovare fondi con cui
finanziare attività non meglio definite. Ma il suo nome viene
associato a ben altre vicende, come i depistaggi sulla strage alla
stazione di Bologna del 2 agosto 1980 e sulla sparizione dei
giornalisti italiani Italo Toni e Graziella De Palo, scomparsi da
Beirut un mese più tardi. Oltre ad aver predetto a più cicli, tra
l’inizio degli anni Novanta e il decennio successivo, altri
attentati.
Ora
invece torna a far parlare di sé perché la scorsa primavera è
stato rinviato a giudizio dal tribunale di Roma per una presunta
attività di ricettazione tra Italia, Dubai, Malesia, Londra e la
Svizzera. Le ipotesi di reato formulate dalla Procura della capitale
– ed estese ad altre sette persone – raccontano infatti di una
associazione a delinquere che avrebbe prodotto e venduto “almeno”
trentotto titoli di credito del Tesoro americano, gli International
bill of exchange,
in sigla, Iboe. Di questi, a metà 2010, la guardia di finanza di
Roma ne aveva recuperati venti per «un valore complessivo di 565
miliardi di dollari Usa».
In questa vicenda Ciolini ci sarebbe finito dentro «procacciando clienti per conto dell’organizzazione» e il suo ruolo non sarebbe stato apicale. Più rilevante invece quello di altri finiti nella rete degli inquirenti romani. Tra loro c’è Vittore Pascucci, nato 73 anni fa a San Bartolomeo in Galdo (Benevento) e residente a Roma, che sarebbe stato il «promotore, costitutore e organizzatore dell’associazione impartendo le direttive necessarie per il conseguimento degli obiettivi prefissi e quindi punto di riferimento degli associati».
In questa vicenda Ciolini ci sarebbe finito dentro «procacciando clienti per conto dell’organizzazione» e il suo ruolo non sarebbe stato apicale. Più rilevante invece quello di altri finiti nella rete degli inquirenti romani. Tra loro c’è Vittore Pascucci, nato 73 anni fa a San Bartolomeo in Galdo (Benevento) e residente a Roma, che sarebbe stato il «promotore, costitutore e organizzatore dell’associazione impartendo le direttive necessarie per il conseguimento degli obiettivi prefissi e quindi punto di riferimento degli associati».
Se
Pascucci andrà a rito ordinario con Ciolini, in questa vicenda hanno
già patteggiato altre persone. Tra queste Nino Sobrero, 50 anni, lo
statunitense Jonathan Todd Clinard, 48 anni, Stefano Loy, 50, Tiziana
Scordo, 47, Fabrizio Mori, 50, e Roberto Biasizzo, 39. A vario titolo
sono loro che – hanno ricostruito magistrati e fiamme gialle –
avrebbero fornito i titoli falsi, trattato la loro vendita in vari
continenti, fatto da referenti per istituti bancari mediorientali e
asiatici e procacciato clienti. In tutto senza le autorizzazioni
dell’organo di vigilanza.
L’indagine
nasce alla fine del 2008 e all’inizio dell’estate 2010 una
informativa del nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di
finanza può tracciare la fisionomia dell’organizzazione a cui
aderiscono soggetti che per lo più hanno precedenti per reati
simili. Oltre ai trentotto Iboe documentati nell’inchiesta, ne sono
stati sequestrati altri dodici per un valore di 83,5 miliari di
dollari. Quasi due anni di indagini, fatte di di intercettazioni,
pedinamenti, controlli doganali, accertamenti internazionali e
perquisizioni, ricostruiscono un quadro che poteva arrivare a
“intossicare” i mercati finanziari ben oltre quanto avvenuto.
Perché
– si legge ancora nelle carte delle magistratura – chi aderiva a
questo progetto si stava dando parecchio da fare per entrare nelle
buone grazie di pezzi da novanta della finanza. Vediamo cosa si legge
in un’intercettazione dell’ottobre 2008 tra il mediatore Stefano
Loy e Sobrero (che aveva affidato a Pascucci il compito di collocare
«al meglio presso primari istituti» i titoli tossici).
Loy:
allora io gli ho detto (a Ciolini, ndr)
per noi per quanto ci concerne sono buoni… Ok?Sobrero:
sì sì sì.Loy:
gli ho detto comunque, fai tu le tue verifiche che devi fare nel
senso… Allora mi dice guarda se sono buoni in questo momento lo
porto direttamente… Me li prende tutti Profumo (Alessandro Profumo,
ai tempi amministratore delegato del gruppo Unicredit, ndr)perché
gli salvo il culo…Sobrero:
eh, infatti.Loy:
e ha detto se sono buoni ti porto… Andiamo perché mi deve dei
favori… Adesso mi dovrebbe degli altri, se sono buoni gli ho detto
e lì non c’è… Non c’è… Non c’è storia cioè nel senso
che quello che vogliamo prendiamo… Perché gli pariamo il culo
perché sennò salta.Sobrero:
ah certo certo …(incomprensibile, ndr)
salvare l’Unicredit sarebbe il massimo.
A
Ciolini sarebbe stata affidata la verifica sui titoli («allora
confermato per quello che tu sai […], io ho già preso contatto per
l’amico tuo canadese, per intenderci…», dice a Stefano Loy in
una conversazione intercettata nell’ottobre 2008) e l’obiettivo è
quindi quello di arrivare a trattare direttamente con Profumo,
chiamato spesso “Coco Chanel” nelle telefonate tra le persone
coinvolte. Sembra cosa fatta, ma poi non tutto va secondo i piani. Si
dicono Sobrero e Loy il 14 ottobre 2008:
Loy:
Coco Chanel, come vuoi chiamarlo, è nella peste più nera.Sobrero:
ah.Loy:
nel senso che lui ha due tipi di problemi, uno che è Geronzi che non
sa come fare a toglierselo dai coglioni…Sobrero:
ah, Geronzi, sì.Loy:
due, la famosa ricapitalizzazione Sicav… Sicavlussemburghese
fatta sulla borsa di Londra.Sobrero:
sì sì.Loy:
è stata fatta con dei titoli del “Bundes reich”.Sobrero:
e la Madonna!Loy:
bene, dati da uno che si è spacciato per il figlio del “Ales
Elasie” (…) il quale adesso sta apparendo su tutti i giornali
italiani per farsi pubblicità (…) e la stampa sotto che sta
cercando di capire da dove questo ha trovato ischei.Sobrero:
ho capito.Loy:
quindi anche lui sarebbe disposto a prenderne due (di Ibeo, ndr).
Lui ci dà una cifra minore, ci darebbe un 15%…
Vittore,
Fabrizio & Silvio
Se
la presunta trattativa con Unicredit procede a fasi alterne e
comunque sembra destinata ad arenarsi, a fine novembre 2008 sono
altri i nomi grossi che si fanno per dare maggior credito
all’operazione. Pascucci infatti chiama Loy per dirgli: «ho
l’appuntamento con Profumo lunedì».
Loy:
e perché non l’hai visto oggi?Pascucci:
no, sono andato da Cicchitto (Fabrizio, pdl, ndr)
oggi (…). L’ha chiamato davanti a me, no perché sta al convegno
e torna domenica mattina, hai capito?Loy:
ah, ah, ah, e cosa dice il buon Fabrizio?Pascucci:
che se è quello che dicevo io… Non gli ho fatto vedere niente, no?
(…). Gli ho fatto vedere solo il contratto di giù (di Dubai, ndr)
(…). Ha detto che se è quello che dici tu consideralo già fatto
perché dobbiamo solo scegliere il banchiere giusto, comunque lo
diceva pure a Silvio.
Contatti
veri? Millantatori che, oltre che le banche, cercano di fregarsi
anche tra di loro? A stabilirlo saranno le sentenze, ma pare che ci
fosse almeno qualche “ex” potente che remava a favore
dell’organizzazione. Come Francesco Froio, 77 anni, catanzarese
d’origine e torinese d’adozione, il deputato nella sesta e
settima legislatura arrestato nel 1993 per le tangenti del Frejus.
Sarebbe lui, sempre secondo quanto emerge dalle intercettazioni, a
essersi proposto come contatto con Cicchitto, il quale però non
avrebbe dimostrato chissà quale entusiasmo per l’operazione.
«Cicchitto fa orecchie da mercante, noi ce ne freghiamo!» dice il 5
dicembre 2008 Pascucci a Froio. Il quale assicura: «Io adesso vedo
di arrivare a coso, all’Unicredit».
Ma
c’è un’altra trattativa importante – forse la più importante
– in questa vicenda: il tentativo di vendere titoli a banche di
Dubai. Per farlo si sarebbero costituite delle joint venture con due
società, l’araba Al
Rahba Holding Investment & Trust Company e
la Kosmo
Seraya Sdn Bhd della
Malesia. I profitti derivanti dalle operazioni sarebbero poi
transitati da conti correnti dello Ior (la banca vaticana) intestati
a una fondazione, la Ivec
– In veritate et charitate,
gestita da monsignor Francesco Cuccarese, mentre una parte dei
proventi era indirizzata a un altro religioso, monsignor Bruno
Guiotto. Quando Pascucci racconta al telefono a Loy di questa
trattativa, per contestualizzarla gli dice che «è sempre dall’altra
parte del Tevere» che deve guardare.
Ma
poi si presenta un problema. Il 21 novembre 2008 Pascucci, di rientro
da Dubai, viene fermato a Fiumicino dalla guardia di finanza che gli
trova 12 titoli sospetti e uno dei contratti per la creazione delle
joint venture. Se non sembra serpeggiare particolare preoccupazione
per il sequestro, un po’ di maretta comunque c’è, tanto che
monsignor Guiotto avrebbe chiamato per informarsi della situazione e
gli altri devono darsi da fare per «concordare un po’ la linea di
comportamento». Cambiano alcuni numeri di telefono, si lavora per
produrre documentazione che faccia proseguire le trattative e bisogna
parare il colpo con «gli americani che si sono spaventati, adesso
stanno diventando aggressivi, hanno preso paura».
A
fronte di qualche problema di liquidità, Ciolini trova un «canale
che ce lo fa arrivare alla Banca of America», mentre sembra che la
situazione proceda più rapida con una filiale di Cuneo della Finanza
& Futuro Banca del gruppo Deutsche Bank, tanto che il 15 giugno
2010 la guardia di finanza sequestra i documenti che attestano qui il
deposito di un po’ di titoli. A questa data una cosa è certa per
gli investigatori: non solo le negoziazioni in essere stanno
proseguendo, ma ne stanno nascendo di nuove.
Dunque,
«senza alcuno scrupolo evidente, strutturano operazioni
completamente prive di garanzia alla clientela che viene attirata
presumibilmente dalle offerte commerciali convenienti nonché
rassicurata dall’apparente affidabilità e professionalità
trasmessa dai vari membri dell’organizzazione». E il rischio è
quello di «destabilizzare il comparto del pubblico risparmio».
Questo, almeno, in base a quanto hanno ricostruito gli inquirenti.
Ora la parola passa al processo.
Box – Professione depistatore
Elio
Braccioni Ciolini viene così descritto dalla richiesta d’arresto
firmata nel luglio 2010 dal sostituto procuratore della Repubblica di
Roma Stefano Fava e dall’aggiunto Alberto Caperna: «Nato a Firenze
il 18 agosto 1946 e anagraficamente ivi residente (…), a suo carico
sono stati ritrovati numerosi riscontri (…) e risulta censito anche
come Ciolini Elio (…) e come Rivera Sanchez Bruno Raul, nato in
Perù il 18 agosto 1951. Arrestato diverse volte per truffe e
denunciato per reati contro la persona, bancarotta fraudolenta,
emissione di assegni a vuoto e violazione del divieto di espatrio».
Ma
soprattutto – si legge più avanti – «noto alle cronache quale
“depistatore” nelle indagini sulla strage alla stazione di
Bologna nonché soggetto che avrebbe segnalato il progetto
dell’attentato a Berlusconi. Nella vicenda (dei titoli di Stato
americani falsi, ndr)
si presenta quale “generale Bruni”, asserito alto ufficiale
dichiaratamente in grado di intrattenere rapporti di altissimo
livello con l’intelligence statunitense e araba e con istituzioni
del mondo militare e civile, in particolar modo istituti di credito».
Se
un anno fa, dunque, millantava il grado di generale, negli anni
Ottanta Ciolini si era presentato con quello di colonnello (si faceva
chiamare colonnello Bastiani) alla banda belga di Patrick Haemers,
specializzata nell’assalto a furgoni portavalori. Ciolini-Bastiani,
raccontano varie ricostruzioni giudiziarie, vi si era infiltrato
proprio nel periodo in cui la potenza di fuoco del gruppo cresceva e
virava verso un celebre sequestro di persona. Quello, avvenuto nel
1989,
dell’ex primo ministro socialista Paul Vanden Boeynants per la cui liberazione il riscatto fu pagato da Israele (benché sia rimasto il sospetto che si potesse trattare di un autosequestro).
dell’ex primo ministro socialista Paul Vanden Boeynants per la cui liberazione il riscatto fu pagato da Israele (benché sia rimasto il sospetto che si potesse trattare di un autosequestro).
Descritto
dal generale Nino Lugaresi, subentrato ai vertici del Sismi dopo lo
scandalo P2 che aveva coinvolto il suo predecessore, Giuseppe
Santovito, come un «esecutore di ordini altrui e uomo legato a
Gelli», nel 1982 Ciolini parlò dell’attentato del 2 agosto di due
anni prima che fece 85 morti e più di 200 feriti. Si trovava nel
carcere svizzero di Champ Dollon e, come avevano fatto Licio Gelli,
Santovito e Francesco Pazienza, tentò di indirizzare le indagini
verso “piste internazionali” che comprendevano tangenti
Montedison, Commissione Trilaterale e la loggia di Montecarlo, che in
base alle sue affermazioni sarebbe stata la vera mandante della
strage di Bologna.
Tutto
falso, stabilirono gli inquirenti, e dello stesso tenore furono
ritenute le sue affermazioni sul caso Toni-De Palo. I giornalisti –
raccontò – erano stati fatti sparire per ordine di un politico
italiano visto a un vertice in Libano per la cessione di partite
d’armi. Calunnia e falso aggravato le accuse che gli mossero Gianni
De Michelis, allora ministro per le partecipazioni statali, e Claudio
Martelli.
Non
pago, Ciolini a inizio anni ’90 sostenne l’esistenza di un
progetto golpista in Italia orchestrato in Jugoslavia da massoni e
mafiosi. E ancora nel 2001 parlò di un piano per uccidere il premier
Silvio Berlusconi, oltre che di altri attentati da compiere in varie
città italiane.
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