CATALOGNA E DINTORNI: ETNONAZIONALISMO O ETNOMONDIALISMO?
Quanto
si sta ultimamente verificando in quel di Catalogna, nonostante le
parvenze di una questione prettamente iberica, dal carattere di
passeggera rivendicazione a carattere localistico, riveste, invece,
un carattere di problematicità tale, da non poter essere passato
sotto silenzio o, quanto meno, giustificato e spiegato con le solite
nenie buoniste e solidariste, che identificano in quel problema, un
fatto di egoismo contrapposto allo strabordante e nauseabondo
buonismo legalitario delle istituzioni statuali europee. E’
praticamente dall’inizio del processo di nascita degli Stati
Nazionali europei e dal suo venire a compimento nel Secolo Breve che,
in Europa si verificano periodici conati di autonomismo ed
indipendenza delle varie regioni o macro regioni considerate.
Tale
fenomeno è andato poi amplificandosi a livello globale, in quel
lasso di tempo che va tra le due guerre mondiali, con la fine degli
Imperi Centrali e quella, per lo più successiva al Secondo Conflitto
Mondiale, degli Imperi Coloniali. Da quel momento in poi, sarà tutto
un fiorire di rivendicazioni a livello europeo e mondiale. Palestina
e Kurdistan, in Medio Oriente, Kashmir in India, Tibet e Turkestan in
Cina, Cecenia ed Akhbazia in Russia, Regione Miskito in Nicaragua,
Casamance in Senegal, Sahara Spagnolo in Marocco, Moros nelle
Filippine, Timor Est, Molucche, Banda Aceh e West Papua in Indonesia,
ma in Europa anche Irlanda del Nord, Paesi Baschi, Corsica, Sud
Tirolo, Val d’ Aosta, Vallonia, Scozia, Bretagna, Galles, Catalogna
e tanti altri ancora…tutti accomunati da frettolose suddivisioni
territoriali operate a colpi di matita, all’insegna di quella
“ragion di stato” che, alla fine dei vari Risorgimenti nazionali
e dei vari conflitti mondiali, determinarono confini e stati, troppo
spesso senza tener conto delle popolazioni che abitavano i territori
presi in considerazione.
Rivendicazioni
spesso sfociate in sanguinosi conflitti (Palestina, Kurdistan,
Ulster, Paesi Baschi, etc.) o rimaste allo stadio di rivendicazioni
politiche “forti” ( Scozia, Bretagna, Catalogna ed altri…). Ad
onor del vero, per dare una prima risposta al problema, bisognerebbe
risalire all’origine dello Stato Occidentale Moderno, ovverosia,
così come esso è andato prefigurandosi dal 16 e dal 17° secolo in
poi, per voce dei vari Bodin, Grozio, Pufendorf e Hobbes e che, per
quanto assurdo possa sembrare, troverà la propria più compiuta
espressione in quel Giacobinismo che della Rivoluzione Francese
costituirà l’anima più radicale e contraddittoria.
Da
Luigi XVI a Robespierre, va quindi determinandosi un percorso volto a
fare dello Stato un’Entità centripeta ed accentratrice al massimo
livello. Un monolite sorretto da reciproci interessi commerciali,
all’insegna dell’ “homo homini lupus”, ben lontano quindi
dall’ethos comunitario che caratterizzava le Città-Stato dell’Evo
Medio, quanto le più antiche Poleis Elleniche e la Res Publica
Romana. Uno Stato animato dall’intento di uniformare e distruggere
qualunque forma di residuale autonomia interna, eredità di quegli
ordinamenti universalistici dell’Evo Medio e dell’Evo Antico che,
invece, con tutti i propri limiti, nel nome di un superiore ideale,
avevano saputo concedere statuti ed autonomie a Gilde, Corporazioni,
Compagnonnage, ma anche a Feudi, Principati, Contee, Comuni.
Lo
Stato della nascente Modernità va, pertanto, prefigurandosi quale
ottuso Moloch uniformatore, creando la premessa per tutti i problemi
a venire, a cui abbiamo poc’anzi accennato. Il primo
episodio-simbolo di questa nuova situazione, sarà la vicenda
vandeana, immediatamente succedanea a quella Rivoluzione Francese,
sulla quale getterà un primo, oscuro, velo di ambiguità, lasciando
scomodi interrogativi sul tavolino della storiografia ufficiale.
A
questa iniziale trasformazione dello Stato, se ne andrà presto
aggiungendo un’altra, se vogliamo, ancor più esiziale e micidiale
di questa prima, nelle sue conseguenze: quella della graduale perdita
del primato della politica e del peso specifico dello Stato stesso,
in favore dell’economia e dei suoi aggregati sociali, inizialmente
nel ruolo di assoluti detentori del primato tecnologico, quale volano
della Rivoluzione industriale, a cui avrebbe fatto seguito una
graduale virtualizzazione dei processi economici attraverso la loro
finanziarizzazione a livello globale.
La
disumanizzazione dello Stato, dei processi economici e delle
relazioni che ne stanno alla base, finiscono con il disconoscere
qualsiasi dignità a rivendicazioni, istanze o esigenze che non siano
strettamente finalizzate a questo scopo. Le premesse sin qui
trattate, vengono a determinare scenari geopolitici e geoeconomici
del tutto differenti da quelli sin qui succedutisi, nel corso della
lunga vicenda occidentale.
Gli
Stati si muovono all’interno di uno scenario caratterizzato da
aggregati macroeconomici, coordinati da organismi a carattere
politico o economico sovrastante i singoli ordinamenti (Comunità
Europea, Nafta, etc.) e che, a loro volta, rispondono ad altri
organismi che, in qualche modo ne sovrastano o limitano l’attività
(FMI, Nazioni Unite, Accordi WTO, etc.). Se, apparentemente, questo
interrelarsi e coordinarsi di forze sembra aver la parvenza di una
egualitaria combinazione e redistribuzione di risorse
economiche, finanziarie e politiche, in verità così non è.
Anzi.
Lo
scettro del comando oggi è saldamente detenuto da una potenza
mondiale, gli Usa, in stretta simbiosi con quei centri del potere
economico e finanziario globale che, guarda un po’, ad oggi
continuano per lo più a concentrarsi proprio sul territorio di
questi ultimi. Questo, anche e nonostante il processo di
deterritorializzazione della finanza e dell’economia, che vede il
sorgere di nuovi attori come la Cina ma che, non potrà mai fare a
meno degli Usa, detentori del primato assoluto di stampa, emissione
ed esportazione di valuta (dollari) al mondo. E si sa, chi detiene il
primato nella produzione ed esportazione del denaro, ad oggi,
problemi o non problemi, ha saldamente nelle proprie mani le redini
del potere mondiale.
In
uno scenario del genere, qualsiasi lotta o frizione di tipo meramente
geopolitico, perde di qualsiasi rilevanza, poiché a mutare
radicalmente ora, sono le esigenze dei singoli Stati e dei loro
popoli che, sempre più, dovranno pensare a preservare la propria
indipendenza economico-finanziaria e la propria identità politica,
per non soccombere schiacciati da un sistema mondiale,
caratterizzato da una sempre maggior volatilità delle prospettive
economiche e finanziarie, su cui un sempre minor numero di
speculatori trae profitto, a fronte di un sempre più diffuso stato
di indigenza e povertà.
Un
sistema che, nella perdita di identità e coscienza dei singoli
popoli, fonda la propria forza di perpetuazione, spingendo su una
massiccia leva migratoria dal Terzo Mondo da immettere nei delicati
equilibri sistemici del Vecchio Mondo, al fine di alterarne
irrimediabilmente quelle componenti caratteriali, in grado di opporre
una qualsivoglia resistenza a tale progetto. Lo stesso degrado delle
condizioni dell’ecosistema globale, è portato avanti al fine di
portare all’estremo e nel più breve termine possibile, il lucro
delle varie lobbies economiche e finanziarie legate all’utilizzo
degli idrocarburi. Un confronto o, per meglio dire, uno scontro di
dimensioni ed entità tali, da non poter permettere l’esistenza di
micro entità statuali, scollegate e distaccate da un contesto
comunitario più forte, quale quello rappresentato dagli
stati- nazione.
Questo,
a meno di non voler addivenire, di comune accordo, alla costituzione
di un mondo equamente diviso e frazionato dall’ “A” alla “Zeta”
dei suoi componenti, economici, politici, statuali e spirituali.
Un’Europa spezzettata in tanti staterelli e macro regioni, non ha
alcun senso se non avremo anche degli Usa spezzettati, magari con una
New York indipendente, accanto agli antichi Stati Sioux e magari un
New Mexico libero ed ispanico al 100%.
Né
avrà senso, se non avremo una Cina altrettanto spezzettata, con un
Tibet finalmente libero, un Turkestan Islamico Indipendente e, magari
una Mongolia e uno Guangxi altrettanto liberi. Stesso discorso, per
paesi come la Russia, l’India o il Brasile, senza parlare di
Israele che dovrebbe di nuovo lasciare molte terre alle
rivendicazioni Palestinesi. Senza contare la ridefinizione dei
confini tra Iraq, Turchia, Siria ed Iran, con la nascita di un
Kurdistan libero.
Gli
stessi organismi sovranazionali andrebbero ridefiniti su base etnica
e regionale, pertanto, tutti a pari potere decisionale. Ma questo non
servirebbe a nulla, se quanto sin qui prospettato,non venisse
realizzato anche nell’ambito della finanza e dell’economia
globali. Tutte le grandi concentrazioni di potere economico e
finanziario, dovrebbero essere immancabilmente spezzettate e
suddivise nel nome di un principio di proprietà ed azionariato
diffuso, di modo che nessuno possa mai più detenere quote di
maggioranza o di potere, tali da condizionare (come ora invece
avviene…) gli equilibri di un contesto geoeconomico o geopolitico
che dir si voglia. Stesso destino dovrebbe immancabilmente toccare a
tutte le istituzioni religiose, doverosamente e doviziosamente
suddivise per regione, etnia o popolo d’appartenenza, senza fare
sconti proprio a nessuno.
Siamo
forse al ritorno delle suggestioni anarchiche di Fourier, Proudhon e
Bakunin? Forse, chi lo può dire… Certo è che, se si vuole essere
coerenti con se stessi e, specialmente, con il proprio istinto di
autoconservazione, non si può permettere un’Europa spezzettata, a
fronte di un contesto di strabordante presenza di forti aggregati di
natura macro politica (Usa, Cina, etc.) o economico-finanziaria
(Multinazionali, Bilderberg, etc.). Pertanto, la conclusione più
ovvia è che, visto lo scenario attuale, che, almeno per ora, per
nulla propende a soluzioni come quella poc’anzi indicata, la
riscoperta delle “piccole patrie”, deve sicuramente fungere da
volano per una riscoperta più profonda ed autentica delle radici di
un Popolo, varie e multiformi come deve essere la sua storia, non
senza però dimenticarne quell’ultimo orizzonte dato da una
imprescindibile comunanza di Destino, che solo l’idea di nazione
può incarnare.
UMBERTO
BIANCHI
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