giovedì 23 novembre 2017

IL CASO SPADA: QUANDO LA CAPOCCIATA SI FA “MAFIOSA”

IL CASO SPADA: QUANDO LA CAPOCCIATA SI FA “MAFIOSA”

Certo, oggi più che mai, il nostro paese sembra esser caratterizzato da un’opinione pubblica a dir poco inerte o, quanto meno, proclive a farsi prendere vistosamente per i fondelli. Già. Perché voi mi dovete dire dove si è mai visto un paese nel quale si imputa per mafia uno colpevole di aver tirato un cazzotto o una capocciata sul volto di un qualsivoglia malcapitato. Una cosa che, agli occhi di una persona che ragiona in modo “normale”, dovrebbe stonare vistosamente. Già. Ma se il malcapitato è un giornalista inviato in rappresentanza di uno dei soliti palinsesti buonisti ed ipocriti della nostrana Rai cambia, eccome. Ma fermiamoci un momento per analizzare i fatti un po’ più da vicino. Dunque, il nostro giornalista-buonista si reca tra i grigi e cadenti palazzoni della periferia di quel di Ostia per realizzare uno dei soliti servizi-scoop sul cattivaccio di turno, in questo caso impersonificato da quel Roberto Spada che, fratello di quel Carmine/Romoletto, ora dietro le sbarre perché accusato di vari reati, vive dei proventi della propria palestra di boxe, in cui insegna e di un malconcio baretto di periferia.

La famiglia Spada, di origine nomade, è accusata di tante malefatte. Ma una sopra tutte, sembra non possa proprio essere emendata: la presunta simpatia del Roberto nei riguardi del movimento destro-radicale Casa Pound, che alle ultime amministrative di Ostia ha conseguito un insperato risultato, dovuto alla sua costante presenza dei propri militanti sul litorale romano, sempre pronti segnalare e denunciare il degrado presente in quei territori. Una presenza tanto forte, da aver anche avuto l’effetto di accendere l’interesse di personaggi che, a detta di quanto in giro si riferisce, con gli slanci ideali di un movimento antagonista giovanile alla Casa Pound, poco o nulla hanno a che vedere. Però tanto è bastato, per far scattare nella mente degli improvvisati salvatori della patria, l’idea che, i voti di Casa Pound fossero stati conquistati con il supporto della famiglia Spada o di qualsivoglia altro clan malavitoso del litorale.

L’intervistatore procede pertanto con la dovizia e l’insistenza di un novello inquisitore. Bombarda, insiste con un interrogatorio a raffica, spesso interloquendo con il proprio volto quasi attaccato a quello dello Spada che, alla fine, reagirà come abbiamo visto, con tutto il codazzo di reazioni e sdegni telecomandati a cui abbiamo in questi giorni assistito.

Ora però, se non vogliamo passare per fessi davanti a Lor Signori, in tutta questa vicenda ci sarebbero alcune note stonate da mettere in evidenza.

Punto primo. Sembra al limite dell’assurdo e del grottesco che, una qualsivoglia organizzazione malavitosa prenda in considerazione una partnership con un movimento come, in questo caso Casa Pound che, quanto a consensi, peso politico e quant’altro, è ancora ben lontano dal poter suscitare appetiti o mire entriste da parte di qualche malintenzionato….

Punto secondo. L’ipocrisia buonista ancora una volta ha dato prova della propria pochezza e delle proprie lampanti, contraddizioni. Nell’Italietta buonista e solidarista di Renzi, della Boldrini e compagnia bella, esser nomadi è quasi un privilegio costituzionale. Si può campare “sine ulla facere”, accattonando, mendicando, trafficando, rubando, sfruttando minori, ricevendo blande sanzioni e continuare a far quel che si faceva senza restrizioni o impedimenti di sorta, se non il dover subire le sporadiche proteste degli esasperati cittadini di qualche degradata periferia metropolitana. E poi, guai a chiamarli zingari: in loro soccorso correranno le varie ochette buoniste, pronte a strillare rampogne ed a sputar scomuniche per presunto razzismo…

Ma quando lo “zingaro” comincia a pensare, ad aver dubbi e magari a mostrare una qualsivoglia generica simpatia per chi, proprio in linea non è, allora, apriti cielo! Il nomade viene prontamente trasformato nel mostro da sbattere in prima pagina.

Un episodio di umana esasperazione, un momento di coatta spavalderia, un gesto sì deprecabile, viene subitaneamente bollato di “atteggiamento mafioso” ed implacabile cala la condanna . Le facette sdolcinate, le ochette buoniste, si trasformano in Furie Vendicatrici, nelle Erinni del più peloso e disgustoso buonismo. E allora tutti in piazza a danzare per pane, amore e fantasia; giù a stigmatizzare, a mettere in guardia i cittadini dal pericolo “fascio-malavitoso” ( e da quello rappresentato da una vistosa perdita di consenso elettorale, sic!). E ditemi care ochette, se per una “capocciata” data sul grugno di un giornalista-buonista Rai si può parlare di mafia, per le due ragazzine quattordicenni recentemente stuprate da due nomadi “politically correct” in quel di Roma, di cosa si dovrebbe parlare? Per tutte le violenze ed i crimini commessi da rom ed immigrati ai danni di indifesi cittadini, cosa si potrebbe prefigurare? Qui però nessuno scende in piazza, niente balletti con la sindaca-solidale, solo tanto, troppo silenzio e tanti distinguo, sintomatici di una vigliacca accettazione. E poi suona così strano, in un paese come questo, parlare di collusioni tra malavita e neofascismo; sa veramente di insulto alla Storia.

Basterebbe ricordare la sanguinosa epopea dell’anonima sequestri negli anni’70 ed ’80. Persone strappate all’affetto dei propri cari e poi fatte sparire senza tante storie e, se a costoro restituite, solo dopo lunghi periodi di prigionia, in condizioni disumane e dopo aver subito maltrattamenti e violenze d’ogni tipo. Bene, in quel caso nessuno si mobilitò. Nessuno strillò, né ebbe alcunché a ridire. Organizzazioni sanguinarie i cui aderenti, se scoperti, non esitavano a sparare addosso alle forze dell’ordine. Una pubblica opinione nostrana che si limitò a registrare quei fatti, macchiandosi di vergognoso spirito di rassegnazione e di resa a quelle organizzazioni criminali. D’altronde quegli episodi si verificarono in un Paese allora, per lo più governato sia a livello nazionale che a quello locale, da amministrazioni di centro sinistra ed erano molto spesso visti all’insegna di una deformata ottica di invidia sociale ed odio di classe, per i quali, una quanto mai vaga e generica categoria dei “benestanti” doveva esser colpita e punita con ogni mezzo.

Basterebbe ricordare figure come Sante Notarnicola oltre a vari esponenti del banditismo sardo, troppo spesso connotati da forti simpatie e connivenze con ambienti ”progressisti”. Certo, anche dall’ “altra parte” vi furono episodi di connivenza con ambienti malavitosi, sempre però inquadrabili in un’ottica funzionale a singoli interessi che andavano a portar acqua al mulino dei Poteri Forti, in un più esteso ambito geostrategico. Cosa questa, assolutamente non riscontrabile nel caso delle accuse ad un’organizzazione come Casa Pound, i cui obiettivi e la cui collocazione nel presente ambito politico non è e non può essere assolutamente paragonata a quella delle organizzazioni politiche extra parlamentari destro-radicali dei precedenti decenni e pertanto, come abbiamo poc’anzi detto, non possono suscitare interessi e mire da parte di malintenzionati di vario tipo, singoli od organizzazioni che siano. Il fatto, poi, che singoli elementi, provenienti da contesti sociali degradati o da ambienti malavitosi o, comunque, in modo tale da altri designati, mostrino simpatia o interesse alle iniziative locali di un’organizzazione antagonista, non significa proprio nulla.

Sicuramente ha però rappresentato un’occasione ghiotta per certa gente, per strillare e riacquistare quella prima pagina dei giornali, clamorosamente perduta dal clamoroso exploit elettorale di persone, da cui proprio non se lo sarebbero aspettato. Un capitolo a parte, andrebbe poi dedicato al ruolo dei media in tutta questa vicenda ed a come la famosa intervista sia stata condotta. Tampinare una persona, chiunque essa sia, per un’ora e più, bombardandola con domande che sanno di asserzioni, accuse è, non solo, opera di maleducazione ed assoluto non rispetto della privacy di una individuo, ma una vera e propria forma di molestia e violenza psicologica, un abuso che dovrebbe essere invece punito in modo esemplare, con una sanzione legale.

Questo perché, riteniamo, si debba tornare a porre dei giusti limiti e paletti a soggetti che, con la scusa di agire nel nome del diritto di cronaca, finiscono con il commettere una doppia categoria di abusi. Il primo contro l’integrità e la dignità di una qualsivoglia persona, dileggiandola, insultandola, mettendola alla gogna, anche senza l’avallo morale e giuridico di specifiche sentenze passate in giudicato.

Oltre al caso presente, andrebbero ricordati per dovere di cronaca, i gratuiti ed indebiti “trattamenti” mediatici a cui sono stati (volendo solo ricordare esempi recenti, sic!) sottoposti alcuni tra gli imputati del processo a “Mafia Capitale”. Il Carminati, chiamato pubblicamente “ Cecato” , accusato e dichiarato colpevole di tutto e di più molto prima di una dovuta conclusione del procedimento giudiziario in cui era imputato ed il cui arresto è stato ripreso e mostrato centinaia di volte in tivvù, cosa mai verificatasi per altri ben più temibili soggetti, sia nel ruolo di capi di organizzazioni criminali, che in quello di protagonisti di varie altre gesta (pedofilia, violenze carnali, delitti in famiglia e contro le donne, etc.). “Cecato”, “Spezzapollici” ed altri similari esempi, tra cui quello più recente di Ostia, sono solo la punta di un fenomeno che, da troppo tempo, aspetta una sua giusta e definitiva messa in regola. I media non possono e non debbono assolutamente sostituirsi al lavoro degli organi inquirenti, commettendo, in questo caso, un vero e proprio abuso di potere, sanzionabile d’ufficio, senza bisogno di una specifica denuncia penale di parte.

L’andare a cercare di fermare una persona in strada, il continuare a seguirla ponendole domande a raffica, contro la sua volontà, oltre a prefigurare il reato di molestia di cui abbiamo già parlato, è indicativo di un esercizio abusivo di quella funzione, il cui carattere indagatorio ed inquisitorio è proprio ed esclusivo dei pubblici ufficiali, nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali. Né gli organi inquirenti, dovrebbero e potrebbero lasciarsi trascinare o influenzare dalle sirene mediatiche del momento. Né intercettazioni o filmati il cui contenuto potrebbe compromettere una posizione processuale in “itinere”, dovrebbero esser mostrati prima di un definitivo accertamento processuale. Ma, nemmeno, è compito di chi scrive prender le parti dell’uno o dell’altro ma, questo sì, denunciare degli abusi che da troppo tempo vanno avanti e che sono indicativi di uno strapotere mediatico il cui unico interesse è quello di asservire ai vari piani dei Poteri Forti che intendono promuovere o rimuovere, esaltare o condannare alla perpetua “damnatio memoriae”, chiunque non sia funzionale ai loro disegni.

Lo stesso caso della vicenda degli abusi nel mondo del cinema ( a cui dedicheremo un pezzo a parte), dovrebbe essere sufficientemente indicativa di quanto sin qui affermato. Ora alla classica domanda sul: “che fare?” la risposta non può essere altra, se non quella di denunciare e di scoperchiare senza esitazione certi fenomeni, perché in questo modo si andranno sicuramente a colpire gli interessi di quei Poteri Forti tenutari del Globalismo che, mai come ora, credono di poter godere di una impunità infinita, garantita proprio dal sistematico controllo dei “media” che garantiscono quella totale manipolazione delle coscienze che, del loro (sinora) incontrastato dominio, costituisce un ineludibile e fondamentale tassello.

                                                        UMBERTO BIANCHI


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