IL
CASO SPADA: QUANDO LA CAPOCCIATA SI FA “MAFIOSA”
Certo,
oggi più che mai, il nostro paese sembra esser caratterizzato da
un’opinione pubblica a dir poco inerte o, quanto meno, proclive a
farsi prendere vistosamente per i fondelli. Già. Perché voi mi
dovete dire dove si è mai visto un paese nel quale si imputa per
mafia uno colpevole di aver tirato un cazzotto o una capocciata sul
volto di un qualsivoglia malcapitato. Una cosa che, agli occhi di una
persona che ragiona in modo “normale”, dovrebbe stonare
vistosamente. Già. Ma se il malcapitato è un giornalista inviato in
rappresentanza di uno dei soliti palinsesti buonisti ed ipocriti
della nostrana Rai cambia, eccome. Ma fermiamoci un momento per
analizzare i fatti un po’ più da vicino. Dunque, il nostro
giornalista-buonista si reca tra i grigi e cadenti palazzoni della
periferia di quel di Ostia per realizzare uno dei soliti
servizi-scoop sul cattivaccio di turno, in questo caso
impersonificato da quel Roberto Spada che, fratello di quel
Carmine/Romoletto, ora dietro le sbarre perché accusato di vari
reati, vive dei proventi della propria palestra di boxe, in cui
insegna e di un malconcio baretto di periferia.
La
famiglia Spada, di origine nomade, è accusata di tante malefatte. Ma
una sopra tutte, sembra non possa proprio essere emendata: la
presunta simpatia del Roberto nei riguardi del movimento
destro-radicale Casa Pound, che alle ultime amministrative di Ostia
ha conseguito un insperato risultato, dovuto alla sua costante
presenza dei propri militanti sul litorale romano, sempre pronti
segnalare e denunciare il degrado presente in quei territori. Una
presenza tanto forte, da aver anche avuto l’effetto di accendere
l’interesse di personaggi che, a detta di quanto in giro si
riferisce, con gli slanci ideali di un movimento antagonista
giovanile alla Casa Pound, poco o nulla hanno a che vedere. Però
tanto è bastato, per far scattare nella mente degli improvvisati
salvatori della patria, l’idea che, i voti di Casa Pound fossero
stati conquistati con il supporto della famiglia Spada o di
qualsivoglia altro clan malavitoso del litorale.
L’intervistatore
procede pertanto con la dovizia e l’insistenza di un novello
inquisitore. Bombarda, insiste con un interrogatorio a raffica,
spesso interloquendo con il proprio volto quasi attaccato a quello
dello Spada che, alla fine, reagirà come abbiamo visto, con tutto il
codazzo di reazioni e sdegni telecomandati a cui abbiamo in questi
giorni assistito.
Ora
però, se non vogliamo passare per fessi davanti a Lor Signori, in
tutta questa vicenda ci sarebbero alcune note stonate da mettere in
evidenza.
Punto
primo. Sembra al limite dell’assurdo e del grottesco che, una
qualsivoglia organizzazione malavitosa prenda in considerazione una
partnership con un movimento come, in questo caso Casa Pound che,
quanto a consensi, peso politico e quant’altro, è ancora ben
lontano dal poter suscitare appetiti o mire entriste da parte di
qualche malintenzionato….
Punto
secondo. L’ipocrisia buonista ancora una volta ha dato prova della
propria pochezza e delle proprie lampanti, contraddizioni.
Nell’Italietta buonista e solidarista di Renzi, della Boldrini e
compagnia bella, esser nomadi è quasi un privilegio costituzionale.
Si può campare “sine ulla facere”, accattonando, mendicando,
trafficando, rubando, sfruttando minori, ricevendo blande sanzioni e
continuare a far quel che si faceva senza restrizioni o impedimenti
di sorta, se non il dover subire le sporadiche proteste degli
esasperati cittadini di qualche degradata periferia metropolitana. E
poi, guai a chiamarli zingari: in loro soccorso correranno le varie
ochette buoniste, pronte a strillare rampogne ed a sputar scomuniche
per presunto razzismo…
Ma
quando lo “zingaro” comincia a pensare, ad aver dubbi e magari a
mostrare una qualsivoglia generica simpatia per chi, proprio in linea
non è, allora, apriti cielo! Il nomade viene prontamente trasformato
nel mostro da sbattere in prima pagina.
Un
episodio di umana esasperazione, un momento di coatta spavalderia, un
gesto sì deprecabile, viene subitaneamente bollato di “atteggiamento
mafioso” ed implacabile cala la condanna . Le facette sdolcinate,
le ochette buoniste, si trasformano in Furie Vendicatrici, nelle
Erinni del più peloso e disgustoso buonismo. E allora tutti in
piazza a danzare per pane, amore e fantasia; giù a stigmatizzare, a
mettere in guardia i cittadini dal pericolo “fascio-malavitoso”
( e da quello rappresentato da una vistosa perdita di consenso
elettorale, sic!). E ditemi care ochette, se per una “capocciata”
data sul grugno di un giornalista-buonista Rai si può parlare di
mafia, per le due ragazzine quattordicenni recentemente stuprate da
due nomadi “politically correct” in quel di Roma, di cosa si
dovrebbe parlare? Per tutte le violenze ed i crimini commessi da rom
ed immigrati ai danni di indifesi cittadini, cosa si potrebbe
prefigurare? Qui però nessuno scende in piazza, niente balletti
con la sindaca-solidale, solo tanto, troppo silenzio e tanti
distinguo, sintomatici di una vigliacca accettazione. E poi suona
così strano, in un paese come questo, parlare di collusioni tra
malavita e neofascismo; sa veramente di insulto alla Storia.
Basterebbe
ricordare la sanguinosa epopea dell’anonima sequestri negli
anni’70 ed ’80. Persone strappate all’affetto dei propri cari e
poi fatte sparire senza tante storie e, se a costoro restituite, solo
dopo lunghi periodi di prigionia, in condizioni disumane e dopo aver
subito maltrattamenti e violenze d’ogni tipo. Bene, in quel caso
nessuno si mobilitò. Nessuno strillò, né ebbe alcunché a ridire.
Organizzazioni sanguinarie i cui aderenti, se scoperti, non esitavano
a sparare addosso alle forze dell’ordine. Una pubblica opinione
nostrana che si limitò a registrare quei fatti, macchiandosi di
vergognoso spirito di rassegnazione e di resa a quelle organizzazioni
criminali. D’altronde quegli episodi si verificarono in un Paese
allora, per lo più governato sia a livello nazionale che a quello
locale, da amministrazioni di centro sinistra ed erano molto spesso
visti all’insegna di una deformata ottica di invidia sociale ed
odio di classe, per i quali, una quanto mai vaga e generica categoria
dei “benestanti” doveva esser colpita e punita con ogni mezzo.
Basterebbe
ricordare figure come Sante Notarnicola oltre a vari esponenti
del banditismo sardo, troppo spesso connotati da forti simpatie e
connivenze con ambienti ”progressisti”. Certo, anche dall’
“altra parte” vi furono episodi di connivenza con ambienti
malavitosi, sempre però inquadrabili in un’ottica funzionale a
singoli interessi che andavano a portar acqua al mulino dei Poteri
Forti, in un più esteso ambito geostrategico. Cosa questa,
assolutamente non riscontrabile nel caso delle accuse ad
un’organizzazione come Casa Pound, i cui obiettivi e la cui
collocazione nel presente ambito politico non è e non può essere
assolutamente paragonata a quella delle organizzazioni politiche
extra parlamentari destro-radicali dei precedenti decenni e pertanto,
come abbiamo poc’anzi detto, non possono suscitare interessi e mire
da parte di malintenzionati di vario tipo, singoli od organizzazioni
che siano. Il fatto, poi, che singoli elementi, provenienti da
contesti sociali degradati o da ambienti malavitosi o, comunque, in
modo tale da altri designati, mostrino simpatia o interesse alle
iniziative locali di un’organizzazione antagonista, non significa
proprio nulla.
Sicuramente
ha però rappresentato un’occasione ghiotta per certa gente, per
strillare e riacquistare quella prima pagina dei giornali,
clamorosamente perduta dal clamoroso exploit elettorale di
persone, da cui proprio non se lo sarebbero aspettato. Un capitolo a
parte, andrebbe poi dedicato al ruolo dei media in tutta questa
vicenda ed a come la famosa intervista sia stata condotta. Tampinare
una persona, chiunque essa sia, per un’ora e più, bombardandola
con domande che sanno di asserzioni, accuse è, non solo, opera di
maleducazione ed assoluto non rispetto della privacy di una
individuo, ma una vera e propria forma di molestia e violenza
psicologica, un abuso che dovrebbe essere invece punito in modo
esemplare, con una sanzione legale.
Questo
perché, riteniamo, si debba tornare a porre dei giusti limiti e
paletti a soggetti che, con la scusa di agire nel nome del diritto di
cronaca, finiscono con il commettere una doppia categoria di abusi.
Il primo contro l’integrità e la dignità di una qualsivoglia
persona, dileggiandola, insultandola, mettendola alla gogna, anche
senza l’avallo morale e giuridico di specifiche sentenze passate in
giudicato.
Oltre
al caso presente, andrebbero ricordati per dovere di cronaca, i
gratuiti ed indebiti “trattamenti” mediatici a cui sono stati
(volendo solo ricordare esempi recenti, sic!) sottoposti alcuni tra
gli imputati del processo a “Mafia Capitale”. Il Carminati,
chiamato pubblicamente “ Cecato” , accusato e dichiarato
colpevole di tutto e di più molto prima di una dovuta conclusione
del procedimento giudiziario in cui era imputato ed il cui arresto è
stato ripreso e mostrato centinaia di volte in tivvù, cosa mai
verificatasi per altri ben più temibili soggetti, sia nel ruolo di
capi di organizzazioni criminali, che in quello di protagonisti di
varie altre gesta (pedofilia, violenze carnali, delitti in famiglia e
contro le donne, etc.). “Cecato”, “Spezzapollici” ed altri
similari esempi, tra cui quello più recente di Ostia, sono solo la
punta di un fenomeno che, da troppo tempo, aspetta una sua giusta e
definitiva messa in regola. I media non possono e non debbono
assolutamente sostituirsi al lavoro degli organi inquirenti,
commettendo, in questo caso, un vero e proprio abuso di potere,
sanzionabile d’ufficio, senza bisogno di una specifica denuncia
penale di parte.
L’andare
a cercare di fermare una persona in strada, il continuare a seguirla
ponendole domande a raffica, contro la sua volontà, oltre a
prefigurare il reato di molestia di cui abbiamo già parlato, è
indicativo di un esercizio abusivo di quella funzione, il cui
carattere indagatorio ed inquisitorio è proprio ed esclusivo dei
pubblici ufficiali, nell’esercizio delle loro funzioni
giurisdizionali. Né gli organi inquirenti, dovrebbero e potrebbero
lasciarsi trascinare o influenzare dalle sirene mediatiche del
momento. Né intercettazioni o filmati il cui contenuto potrebbe
compromettere una posizione processuale in “itinere”, dovrebbero
esser mostrati prima di un definitivo accertamento processuale. Ma,
nemmeno, è compito di chi scrive prender le parti dell’uno o
dell’altro ma, questo sì, denunciare degli abusi che da troppo
tempo vanno avanti e che sono indicativi di uno strapotere mediatico
il cui unico interesse è quello di asservire ai vari piani dei
Poteri Forti che intendono promuovere o rimuovere, esaltare o
condannare alla perpetua “damnatio memoriae”, chiunque non sia
funzionale ai loro disegni.
Lo
stesso caso della vicenda degli abusi nel mondo del cinema ( a cui
dedicheremo un pezzo a parte), dovrebbe essere sufficientemente
indicativa di quanto sin qui affermato. Ora alla classica domanda
sul: “che fare?” la risposta non può essere altra, se non
quella di denunciare e di scoperchiare senza esitazione certi
fenomeni, perché in questo modo si andranno sicuramente a colpire
gli interessi di quei Poteri Forti tenutari del Globalismo che, mai
come ora, credono di poter godere di una impunità infinita,
garantita proprio dal sistematico controllo dei “media” che
garantiscono quella totale manipolazione delle coscienze che, del
loro (sinora) incontrastato dominio, costituisce un ineludibile
e fondamentale tassello.
UMBERTO
BIANCHI
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